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    Joseph Coates

    Chicago, 22/07/1998
    Altro che progresso: il futuro è pieno di rischi
  • “Cosa succede all’immagine quando si spegne il televisore?” Solitamente a questa domanda, sostiene Joseph Coates, la gente risponde con un mormorio divertito. Questa reazione riflette il disagio di non sapere più come funzioni il mondo. Coates mette in guardia contro il generico ottimismo che accompagna lo sviluppo tecnologico e spiega alcune delle ripercussioni negative che l’avanzamento tecnologico può produrre sulla società futura (1) .
  • L’intervistato spiega i motivi per cui il mercato e le corporazioni non possono sostituirsi ai governi. L’unico strumento che gli uomini hanno sviluppato per limitare gli abusi nei sistemi complessi è la normativa di legge, e l’unico strumento per stabilire quest’ultima è il governo. Oltre al governo locale ci sarà bisogno di un governo “globale” per le questioni che riguardano tutte le nazioni come ad esempio l’inquinamento (2) .
  • La tecnologia sta apportando benefici ovunque ma l’intervistato crede che ciascuno di essi abbia in sé una potenziale negatività. Secondo Coates dobbiamo apprendere a controllare l’influenza della negatività che l’avanzamento tecnologico si porta con sé (3) .
  • L’Information Technology offre una grande opportunità di miglioramento dell’istruzione specialmente attraverso la formazione a distanza. Imparare da casa e continuamente, lungo l’intero corso della nostra vita (life-long learning) è la sfida dell’istruzione futura (4) .
  • La formazione a distanza creerà una competizione nazionale e mondiale fra le scuole. Nella competizione saranno avvantaggiate scuole dal nome prestigioso come Harvard, Cambridge a danno magari di scuole meno note. Per questo Coates ritiene che sia necessario un controllo contro eventuali abusi di potere (5) .
  • L’intervistato spiega come sia cambiato il concetto di progresso da quando fu introdotto nell’’800 e come questo si differenzi da quello di evoluzione (6) .
  • Coates descrive lo scopo e l’utilità di un progetto in cui è impegnato con “Humanity 3000”, un programma di ricerca che si propone di pensare al futuro su una scala di 1000 anni (7) .




  • INTERVISTA:

    Domanda 1
    Domina oggi un generale ottimismo sulle prospettive del futuro, soprattutto in relazione allo sviluppo tecnologico. Tuttavia, al convegno della World Future Society lei ha presentato una relazione dal titolo “Ten Dark Clouds on the Horizon”, dieci nubi all’orizzonte. Quali sono queste dieci ragioni di preoccupazione, e su cosa fonda questo sguardo eccentrico in un contesto di ottimismo?

    Risposta
    Ci troviamo in una fase di transizione che non ha precedenti dalla rivoluzione industriale, nella quale le opportunità sono talmente abbondanti che non si può non vedere la potenzialità di uno straordinario progresso per l’intero mondo. Abbiamo di fronte “rivoluzioni benefiche” che investono la nostra vita nelle aree dell’energia, della Information Technology, della genetica, dei materiali. L’atteggiamento verso l’ambiente si trasformerà radicalmente e assisteremo infine all’emergere delle tecnologie cerebrali. Queste rivoluzioni senz’altro giustificano un fondamentale ottimismo sul futuro del genere umano. Tuttavia, non dovremmo consentirci di essere così sopraffatti dall’ottimismo da ignorare le “nubi” all’orizzonte, di non vedere la possibilità che di fronte a noi si trovino difficoltà importanti. Se non dovessimo affrontare queste difficoltà in modo tempestivo potremmo vanificare tutti i benefici in chiave di progresso di queste rivoluzioni. Ad esempio, pensiamo allo scenario nel quale la terra sia colpita da un asteroide o da un meteorite: il fatto che ciò sia già avvenuto, come testimoniano prove geofisiche incontestabili, non spinge nessuno, a livello governativo, a investire denaro in un progetto che possa stabilire quando ciò potrebbe avvenire, e cosa fare per affrontare una simile evenienza. Abbiamo la tendenza a chiudere gli occhi di fronte a difficoltà che sono, a livello psicologico o temporale, distanti da noi. Questo è solo un esempio di un ampio numero di situazioni per qualche verso analoghe, come la possibilità di controllare i terremoti o le condizioni meteorologiche, di cui nessuno sembra percepire l’utilità come importanti applicazioni pratiche delle nuove tecnologie. Ma abbiamo poi altre difficoltà che dobbiamo affrontare, praticamente in ogni categoria. Ad esempio, oggi il modello di gran lunga più adottato nel mondo è quello democratico: su 193 paesi, circa 120 sono democratici, se non altro tecnicamente. Tuttavia, in molti dei paesi che hanno recentemente adottato il regime democratico coloro che si sono insediati al potere abusano del potere stesso, e ignorano l’imperativo del bene comune. Ciò è dovuto al fatto che il sistema democratico diffuso nell’Europa occidentale, in Inghilterra e negli Stati Uniti, si fonda su un corpo di valori quali il rispetto della legge e della gente, e non, semplicemente, su un sistema elettorale. La democrazia che si è diffusa nel mondo spesso viene utilizzata negativamente come strumento per consentire a figure discutibili di insediarsi al potere. Abbiamo numerosi altri esempi, e non è interessante qui produrne una lista, ma vorrei ricordare come nel mio paese, gli Stati Uniti, il documento fondamentale per la democrazia, ossia la Costituzione, è uno strumento che sta diventando obsoleto. La struttura del governo e della costituzione riflettono il periodo storico in cui sono stati costituiti e i problemi cui intendevano rispondere, dagli arbitri della corona inglese a vecchie nozioni su come organizzare la terra, il trasporto e la sicurezza. Oggi cerchiamo di affrontare il cambiamento con uno strumento funzionale a una società e a un’epoca a noi molto distanti, il che evidentemente non può dare buoni risultati. E’ ovvio che riscrivere la Costituzione, con la sua carta dei diritti, sia un’operazione temuta ma sono convinto che resistere alla necessità di un suo aggiornamento ai problemi attuali sia un ostacolo decisivo per gli Stati Uniti del futuro. Abbiamo poi ovviamente problemi più difficili da gestire. Nel processo di urbanizzazione della società, col che intendo la perdita di contatto diretto con la terra e con la manualità, si è spezzato il rapporto fra la gente e l’esperienza e la comprensione del modo in cui funziona il mondo. Ad esempio, quanti sono in grado di descrivere come l’acqua raggiunga gli impianti domestici, oppure cosa succeda all’immagine quando si spegne il televisore. Solitamente, a questa domanda risponde un mormorio divertito, ma quest

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    Domanda 2
    Un recente studio, apparso in volume con il titolo The Commanding Heights, sostiene che il potere si stia trasferendo dagli stati e dalle istituzioni pubbliche al mercato, e rivolge a questa prospettiva uno sguardo profondamente critico. Qual è la sua posizione in merito?

    Risposta
    Il variare dei ruoli di mercato e governo è un argomento di grande attualità e fascino. Molti, credo, spinti dal proprio entusiasmo e dalle proprie motivazioni ideologiche identificano un portato salvifico nel declino dei governi e nell’ascesa delle corporation. Questo, credo, è assolutamente fuori luogo su entrambi i piani di ottimismo, rispetto alla complessità e al ruolo delle corporation. In primo luogo, l’incremento di complessità globale, la dipendenza dalla tecnologia, l’interazione fra persone, istituzioni e affari, producono uno scenario di complessità non rassicurante, e per due ragioni. Da un lato i sistemi complessi rischiano il collasso sotto il peso della propria complessità; dall’altro questa complessità favorisce una strategia volta al vantaggio individuale, o al beneficio di un singolo gruppo, a scapito del bene collettivo. L’unico strumento che abbiamo sviluppato per controllare e limitare gli abusi nei sistemi complessi è la normativa di legge, e l’unico strumento a nostra disposizione per stabilire quest’ultima è il governo. Pertanto, a differenza di chi inneggia alla corporazione come risposta a ogni problema, ritengo che a un incremento di complessità deve corrispondere un incremento di sofisticatezza del sistema di governo per gestire la tecnologia globale. Per il momento abbiamo tre livelli di governo: locale, provinciale, centrale o federativo. Secondo me assisteremo all’emergere di un quarto livello, il governo globale, e in tempi abbastanza prossimi. Già ora ci sono segnali di questa tendenza, se si guarda all’attività recente delle Nazioni Unite. Anche se le Nazioni Unite non possono rappresentare la forma definitiva di governo globale, tuttavia costituiscono un segnale decisivo di un processo di controllo di questioni globali come l’inquinamento, oceanico o atmosferico, il trasporto dei beni, i flussi di popolazione, o questioni strettamente tecnologiche come il controllo delle frequenze radio. In secondo luogo, l’identificare nella dimensione corporativa la risposta a ogni problema contrasta evidentemente con ogni lezione storica. Storicamente la corporation ha sempre spinto i propri limiti al punto in cui il fine coincideva con avidità e pratiche monopolistiche. E in ogni paese si è reso necessario vincolarne le operazioni, disporre regole e leggi per fermare la sua natura essenzialmente predatoria. Oggi vediamo che la corporation attraversa nel mondo il tipico percorso di sviluppo, abuso e fallimento. Lo vediamo negli Stati Uniti, dove le corporation stanno attuando incredibili tagli di costi del lavoro, di benefit, e di pensioni, assegnando ai lavoratori il compito di farsi carico del proprio futuro; assistiamo a una fuga delle corporation verso paesi in cui il costo del lavoro è 5-10 volte inferiore agli Stati Uniti. Assistiamo a un tentativo da parte delle corporation di rappresentarsi come imprese globali, intendendo con ciò la negazione delle proprie responsabilità verso chiunque non siano i propri azionisti, cui in inglese si fa oggi riferimento con il termine di shareholder, ben più rassicurante e ruffiano del vecchio termine tecnico, stockholder. Tutti questi fenomeni conducono a un incremento degli abusi, che non si arresterà se non attraverso un intervento nazionale e internazionale di controllo. Ciò non significa che la dimensione della corporation non possa apportare benefici a moltissimi di noi, a livello mondiale. Semplicemente, dobbiamo mantenere la guardia contro i suoi abusi e prepararci a porre un freno a essi.

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    Domanda 3
    Spesso si dà per assunto che il nostro cammino verso il futuro dipenda, in larga misura, dalle scoperte tecnologiche. Ritiene che questa visione abbia una validità, anche a lungo termine?

    Risposta
    Si tratta di una questione interessante, quale sia il ruolo della tecnologia nel futuro immediato e a lungo termine. Non credo ci siano dubbi sul fatto che l’attuale proliferazione di capacità tecnologiche costituisca una possibilità straordinaria per l’intera umanità. Abbiamo sistemi di telecomunicazione, di Information Technology, che aprono un universo di potenziali opportunità di formazione, di condivisione dell’informazione, e non solo per chi vive nei paesi avanzati. E’ ovvio che la maggior parte della popolazione mondiale è ancora esclusa dalla tecnologia come strumento positivo: molti hanno radio e televisione, ma non hanno ancora la possibilità di usufruire dell’aspetto interattivo della tecnologia. Certamente è solo una questione di tempo; fra dieci, vent’anni o poco più, praticamente tutti saranno impegnati in modo interattivo, con tutti i benefici che ciò comporta. Analogamente, ci sono dei progressi in campo medico che produrranno interventi decisivi sulle malattie croniche e contagiose. La tecnologia sta apportando benefici ovunque, settore dopo settore. Il problema è che però dobbiamo chiederci se questi “benefici” siano completamente positivi, oppure se, come credo, ciascuno di essi abbia in sé una potenziale negatività. Quello che dobbiamo fare è apprendere, e l’unico modo di apprendere è attraverso l’esperienza di questa negatività; dobbiamo imparare a gestirla, a controllare la sua influenza e a minimizzarne i danni. Ritengo che non vi sia nulla, entro i prossimi cinquant’anni, che apporterà benefici paragonabili a quelli delle nuove tecnologie. Tuttavia, se rivolgiamo lo sguardo al futuro a lunghissimo termine, fra cento, trecento, cinquecento, mille anni, è ovvio che altre forze, già visibili e influenti sul breve e medio termine, diverranno fattori primari. Ci sono insomma questioni non strettamente di ordine tecnologico che devono essere affrontate. In un mondo di crescente prosperità dobbiamo confrontarci con una serie di questioni, come il controllo delle nascite. Non possiamo continuare a crescere indefinitamente su un piano globale: anche un tasso di crescita del 100% ogni cinquant’anni è probabilmente insostenibile. C’è poi il problema della distribuzione dei benefici. Non si tratta di questioni tecniche, bensì di questioni socioeconomiche, politiche, e il potenziale di prosperità universale che ci si profila all’orizzonte è strettamente legato a queste problematiche. Non bisogna pensare a un’opzione alternativa, se si debba favorire questo o quest’altro nel determinare il futuro, ma a una complessa serie, in costante riformulazione, di priorità relative fra i fattori che hanno un potere di determinazione.

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    Domanda 4
    Come ritiene si debba riformare l’istruzione, per affrontare i possibili cambiamenti nel futuro? E come può il cambiamento stesso, a sua volta, influenzare i sistemi tradizionali di acquisizione del sapere?

    Risposta
    L’istruzione è cruciale perché vi sia progresso: si tratta dello strumento più efficace per spostare le barriere intellettuali e disegnare nuove possibilità. L’istruzione è essenziale per l’apprendimento dei saperi elementari e per la nostra prosperità individuale, è la base per il benessere nazionale, e ciononostante almeno nel mio paese, gli Stati Uniti, essa è in un processo di drammatico declino. L’istruzione primaria e secondaria, i primi dodici anni di studio negli Stati Uniti, è prossima al collasso. I nostri ragazzi sono meno istruiti, meno informati, meno competenti rispetto a venti, trent’anni fa. Il sistema scolastico è diventato sede di finalità che non hanno nulla a che spartire con l’istruzione. Non esistono né standard né dati comparativi, e cosa ancor più importante, questa condizione cognitiva catastrofica trova una diffusa compiacenza perché non è recentissima ma alla seconda generazione. Il collasso è iniziato fra la fine degli anni 60 e i primi anni 70, e oggi abbiamo pertanto una generazione di genitori che sono stati “truffati” da quel sistema educativo, e che non possono percepire la mediocrità dell’istruzione che ricevono i loro figli. Ciò è evidente nel declino delle high school, e della qualità degli studenti che si iscrivono all’università. Una percentuale sorprendentemente alta di studenti universitari americani deve fare corsi integrativi, che ripetono loro quello che avrebbero dovuto apprendere alle superiori. L’istruzione universitaria si sta contraendo in termini di durata, di contenuti, e di efficacia. L’unico settore di grande qualità negli Stati Uniti è l’istruzione post-laurea, per la quale siamo ancora invidiati da tutto il mondo; ma non dobbiamo dimenticare che coloro che conseguono master e dottorati di ricerca sono solo l’apice, composto del resto per una buona metà da studenti stranieri, di una enorme piramide nella quale la gran parte degli studenti è penalizzata. Ora, cosa può cambiare questa situazione? Credo che il fattore più determinante sarà l’apprendimento a distanza, grazie alla Information Technology. E’ estremamente probabile, secondo me, che in futuro i giovani si sposteranno fisicamente per andare in università solo per due ragioni: per seguire corsi che richiedono una presenza fisica, come le arti, la danza, la scultura, la ricerca di laboratorio e per curare i rapporti sociali, o per cercare un compagno. Sempre più il curriculum universitario sarà accessibile a distanza, attraverso Internet dal computer di casa. E questa tendenza toccherà anche la scuola secondaria, in particolare gli ultimi due anni di high school. Ciò implica una mutazione radicale nei curricula, nelle aspettative, nella valutazioni, nel controllo della qualità dell’apprendimento, ma il principio economico è così a favore di questo processo che ritengo sia destinato a concretizzarsi. E inoltre c’è un ampio numero di genitori insoddisfatti dell’istruzione dei figli che sono disposti a integrarla attraverso un’istruzione domestica, man mano che i computer e altre tecnologie dell’informazione diventano più accessibili. Il che rende probabile che l’apprendimento a distanza quale integrazione della scuola si diffonda a ogni livello. Se si guarda poi a paesi come Francia, Italia, Germania, alla gran parte dell’Europa, dove si ha un grosso problema di spazi, ad esempio di aule, in rapporto al numero degli studenti universitari, l’apprendimento a distanza costituirà una vantaggiosa alternativa. La capacità di compiere l’intero curriculum universitario da qualsiasi luogo e a un costo sostenibile potrebbe produrre una rivoluzione del sistema formativo in questi paesi. Invece di avere studenti che impazziscono per trovare un posto nell’aula, che non frequentano le lezioni più utili, che si affidano agli appunti del compagno, potremo raggiungere un nuovo livello di qualità e impegno. E vorrei ricordare il ruolo che negli Stati Uniti e sempre più nel mondo va assumendo il life-long

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    Domanda 5
    In Italia non è infrequente che gli insegnanti reagiscano con diffidenza a richieste di cambiamenti radicali rispetto ai curricula e al rapporto fra docente e studente. Si tratta di un fenomeno diffuso anche negli Stati Uniti?

    Risposta
    Quando si affronta un cambiamento radicale nel sistema dell’istruzione, come quello ad esempio dell’apprendimento a distanza, non possiamo dimenticare che gli insegnanti, come è normale che sia, temono tremendamente ogni mutamento radicale nel proprio ambiente. Ciò non riguarda, nel caso degli insegnanti, solo un problema di nuove tecniche, o di obsolescenza del sapere acquisito e del metodo didattico. Problemi questi che possono essere superati da un nuovo apprendimento. Gli effetti più clamorosi dell’insegnamento a distanza sono rappresentati dal fatto che i professori saranno in competizione con i migliori colleghi del proprio paese, e del mondo. Negli Stati Uniti, chi vorrebbe più seguire i corsi di storia europea di un’università di infimo ordine, quando si possono seguire le lezioni del docente più insigne di Harvard, oppure della London School of Economics, o di Cambridge? Saremo di fronte a una competizione nazionale e mondiale per avere i migliori docenti, che tengono le migliori lezioni attraverso i media, il che costituisce chiaramente motivo di preoccupazione perché può cancellare il lavoro di molti docenti mediocri. Ritengo che l’apprendimento a distanza eliminerà il concetto di “tenure”, che significa avere il posto di lavoro a vita di cui godono negli Stati Uniti i full professor. Questa è stata una straordinaria tecnica sociale dell’800 per controllare i rischi che correva chi era dissidente politico, ma che è oggi assolutamente obsoleta. Negli Stati Uniti, se qualcuno venisse licenziato per il proprio estremismo politico, raddoppierebbe probabilmente il proprio stipendio presso un’altra università, che sarebbe ben lieta di accoglierlo per le medesime ragioni. E pertanto oggi il concetto del posto fisso non è altro che un modo di tenere in vita una incipiente organizzazione di stampo geriatrico. Inoltre un aspetto primario della struttura organizzativa dell’università è l’amministrazione. Anche il settore amministrativo sarà interessato dall’apprendimento a distanza, perché dovrà studiare strategie per raggiungere nuovi utenti. Ci sono oggi nel mio paese scuole e università che organizzano eventi estivi che coinvolgono i nuclei familiari. Si va sviluppando un mercato di adulti, paragonabile a quello dei giovani, in cui le persone si incontrano, svolgono attività fisica, si spostano nel paese e nel mondo, apprendono, si divertono e fanno un’esperienza intellettuale. Uno dei problemi decisivi per le amministrazioni è definire quale sia il nuovo ruolo delle università, e questo confronto con il cambiamento porta molti alla paralisi. Ritengo che l’università stia attraversando una fase di intenso cambiamento, che investe il corpo docente e l’amministrazione. Spesso invece di affrontare questo cambiamento come una grande opportunità, lo si nega. Ma ci sono ovviamente eccezioni, soprattutto nei dipartimenti scientifici dove si ha già familiarità con le nuove tecnologie della formazione.

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    Domanda 6
    Spesso nei "future study" si usa il termine “evoluzione”. Qual è il concetto che descrive, e che rapporto ha con il concetto di “progresso”?

    Risposta
    Uno dei concetti che hanno segnato l’800, credo nato nel Regno Unito ma adottato nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti, fu quello di progresso, in base al quale si riteneva che gli sviluppi tecnologici in larga misura portassero grandi benefici alla gente e alla società. Oggi, la fiducia in quel progresso ha perso parte della propria forza e la vecchia nozione di progresso si è resa ormai inattuale. Nelle nazioni sviluppate all’incremento di prosperità, ai benefici di quelle prime spinte di progresso, è corrisposta un’attenzione crescente agli elementi negativi, alle inadeguatezze, ai fallimenti, alle difficoltà connesse con esso. Le classi medie sono sempre più orientate a prevedere, a fronte di novità, cosa potrebbe non funzionare, qual è il problema, quale il potenziale fallimento, come evitarlo, e così via. Pertanto, una sorta di paura sistematica ha rimpiazzato il passato entusiasmo verso il progresso tecnologico. Mi auguro che potremo recuperare una visione positiva del progresso considerando la molteplicità di potenziali positivi che la genetica, i nuovi materiali e l’information technology potranno offrire.
    Tutto ciò, a ogni modo, è distinto dal concetto correlato di evoluzione. Ora, è ovvio che le società e gli individui si evolvono quotidianamente; ma non bisogna confondere questo processo con il concetto di evoluzione che si è imposto nel secolo scorso con Darwin, in base al quale l’evoluzione delle specie produce da una specie esistente una o più nuove specie fondamentalmente diverse. E’ possibile che questa evoluzione si applichi a intere società, e in senso non necessariamente progressivo. Se si guarda alla storia degli antichi imperi, si può osservare quasi sempre una traiettoria di ascesa, di maturità, e di declino. Ciò dimostra come l’evoluzione non sia necessariamente positiva. Ma è frequente incontrare un rifiuto implicito del processo evolutivo umano, al quale bisogna però contrapporre la consapevolezza del nostro essere parte del regno animale, e dunque in costante, benché impercettibile, evoluzione . Una delle domande interessanti per il futuro sarà allora come vogliamo evolverci, perché ora, a differenza di 50 o 25 anni fa, siamo la prima specie a essere in grado di intervenire consapevolmente sulla propria evoluzione. Questa è una delle conseguenze primarie dell’emergere della genetica e delle tecnologie connesse. Di fronte a noi abbiamo dunque una questione estremamente interessante: in quale direzione noi, in quanto specie umana, scegliamo di andare.

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    Domanda 7
    E’ di questi problemi di cui si fa carico un programma di ricerca sul futuro a lunghissimo termine come Humanity 3000. Ce ne può descrivere i fini e l’utilità?

    Risposta
    Recentemente sono stato impegnato in un’interessante attività con Humanity 3000, che si propone di pensare al futuro su una scala di mille anni. Non credo che si tratti di un puro divertimento, un passatempo sterile, o un esercizio stupido, ma di un tentativo di guardare al potenziale a lungo termine dell’umanità. Quali sono i diversi modi in cui, in senso sociale, istituzionale, personale, possiamo evolverci? Potremmo avere nuovi tipi di persone con moduli informatici a livello cerebrale, o risultanti da tecniche genetiche? Cosa potrebbe accadere fra mille anni, cosa sarebbe auspicabile e cosa sarebbe assolutamente da rifiutare? Supponiamo che in questi scenari alternativi del futuro si identifichino alcuni futuri desiderabili, e altri indesiderabili; cosa significa questo per noi oggi? Dopo aver definito un obiettivo positivo, dobbiamo abbandonare un atteggiamento di censura e esaltazione e dobbiamo rivolgerci al futuro a breve e medio termine, da qui a cento, centocinquanta anni, e dobbiamo lavorare per far sì che ci si muova in una direzione preferibile a lungo termine, evitando le direzioni che potrebbero condurre a uno scenario non desiderabile. Pensiamo a scenari desiderabili lungo termine, per poter ipotizzare il nostro futuro a breve termine da qui a cento anni. Darsi una prospettiva di un millennio può influenzare il modo in cui diamo forma al nostro agire e alle nostre pianificazioni del futuro a medio termine, e consentirci di rendere probabile un futuro più sicuro e felice per l’umanità.

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