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    Luca De Biase

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    "All'imprenditoria italiana manca la visione a lungo termine"


    Luca De Biase, giornalista e presidente di Skillpass, il progetto lanciato da Sviluppo Italia che si propone di formare e trovare lavoro a decine di migliaia di specialisti del Sud Italia, fa il punto sulla situazione dell' imprenditorialità italiana

    Ha senso parlare di valley italiane?

    L'Italia è il paese dei distretti, come è stato già ricordato. Al'inizio degli anni '90, l'America usciva da un decennio drammatico; era un vagone, non la locomotiva che conosciamo adesso. Clinton venne in Italia con una delegazione di imprenditori per vedere il distretto industriale dell'Emilia Romagna. Rimase così entusiasta da dire "questi saranno anche comunisti, ma sono capitalisti migliori di noi". Questa storia ci dice due cose: da un lato, che le fortune economiche cambiano velocemente, quindi adesso l'America è leader mondiale; dall'altra, che l'Italia, la Germania o il Giappone tra 5 anni potrebbero essere di nuovo in testa. C'è da dire però che negli anni '90 il sistema industriale italiano non ha tenuto il passo rispetto a quello americano. Il motivo per cui l'imprenditorialità, pur essendo così forte in Italia (le imprese sono 4 milioni), non è riuscita a costruire un distretto industriale tecnologico come quello della Silicon Valley, va intanto ricondotto al fatto che tale esperienza ha alle spalle una storia decennale: ma poi bisogna anche considerare che il tipico sistema industriale del distretto italiano è fatto da imprese che vivono nella trappola della flessibilità, la capacità di rispondere molto velocemente al mercato, ma non di anticiparlo.

    Quindi, si tratta di una mancanza di visione che ha colto impreparata l'Italia nel cambiamento della new economy…

    Nell'ambito della tecnologia occorre pensare molto a lungo termine (tra i 2 e i 5 anni) immaginando un mercato e un mondo che non esistono adesso.

    Dunque, in Italia ci sono e ci sono stati pochi Soru?

    Sì. Anche se in realtà alcuni ce ne sono, non sono stati in numero sufficiente, con una forza e una tradizione in grado di guidare e costruire grandi distretti, salvo in alcuni casi come Catania.

    Cosa manca al mondo imprenditoriale italiano per entrare nel flusso? Mancano forse i capitali?

    I capitali ormai ci sono. La stragrande maggioranza di venture capitalist italiani investono all'estero perché non trovano le imprese italiane da valorizzare. Manca quella massa critica di idee proiettate verso un medio termine futuro, che consentono al venture capital di vedere la sua storia.

    Uno dei più grandi venture capitalist italiani, Elserino Piol, dice spesso che il grande potere della nuova economia in Italia è quello di trasformare la vecchia in nuova imprenditoria "Internetable", un imprenditoria cioè che Internet riesce a potenziare e globalizzare. Lei è d'accordo?

    Siamo dei grandi trasformatori, quindi in grado di integrare e adattare la nuova tecnologia alle nostre condizioni. Possiamo immaginare dei settori nei quali giocare un ruolo innovativo e importante come quello del wireless o dell'etere digitale, dove potremmo partire allo stesso livello degli altri. Dai distretti tessili sono nati i distretti delle macchine tessili, dalle macchine tessili sono nati i distretti dei robot del settore tessile. Possiamo immaginare uno sviluppo di questo tipo per cui si creino dei distretti del futuro del tessile, dei vestiti intelligenti, dei vestiti computerizzati, dei nuovi materiali. Queste sono cose possibili se si hanno una visione e un'importanza mondiale, come accade per la Silicon Valley.