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    Francesco Antinucci

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    "Il gioco è una cosa seria"


    Francesco Antinucci, direttore della sezione Processi cognitivi e nuove tecnologie dell'istituto di Psicologia del Cnr

    Professor Antinucci, lei videogioca o fa sul serio?

    Bisogna fare assolutamente sul serio: il gioco è una delle cose più serie che ci sia al mondo, nel senso che è una formidabile attività di apprendimento. Quando diciamo che il bambino piccolo, prima dei due anni, gioca, in realtà sta imparando tutto sul mondo. Anche per i bambini sui dieci anni e perfino per gli uomini sui quaranta o cinquanta, è assolutamente la stessa cosa: ogni volta che si gioca si impara e si apprende in una maniera molto più naturale di quanto avviene attraverso i metodi tradizionali. Se a scuola si giocasse, apprenderemmo molto di più. Tutto si può apprendere nella vita: a tirare una freccia, a sparare colpi con una pistola, ad essere degli strateghi che governano mondi.

    Nel settore dei videogiochi sembrano in ribasso i modelli di lotta, gli "sparatutto", mentre si stanno affermando sempre di più i modelli strategici. Ha anche lei questa impressione?

    Sì, in parte, perché per costruire questo secondo tipo di giochi, il lavoro intellettuale, il lavoro di ricerca è molto più impegnativo. Come i giochi "sparatutto" sono parenti dei simulatori fisici, del tipo, ad esempio, dei simulatori di volo, i giochi di strategia sono parenti delle grandi simulazioni con cui si studia l'economia del pianeta. In ogni caso si apprende, e si apprende in maniera empirica, esperienziale.

    Cosa pensa del gioco in rete?

    La logica del gioco non cambia: si tratta di una simulazione della realtà, quindi è più o meno buona quanto più è potente e approssima la realtà. Il fatto di poter giocare sulla rete - e ciò presuppone la banda larga - è una cosa piuttosto innovativa socialmente. Per esempio, si può immaginare che ci sia un grande gioco nel quale le persone entrano ed escono, e ciò è un po' diverso da quello che abbiamo visto finora.