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    Gerald Edelman

    1/12/2000
    Il cervello non e' la mente



    Lo stadio attuale della ricerca sul funzionamento del cervello. Ostacoli e speranze raccontati da Gerald Edelman.

    "Mi interessano le zone d'ombra. Quando mi convinco di aver capito qualcosa a grandi linee, il che è il massimo che si possa fare, allora mi piace spostarmi verso altre aree d'oscurità." Così, il premio Nobel per la embriologia molecolare, Gerald Edelman, motiva il suo spostamento di interessi dall'immunologia e alla chimica ad un campo ancora denso di incognite qual è quello inerente allo studio dei processi cerebrali. Attraverso il suo approccio neurodarwinista, Edelman ribadisce l'autonomia del cervello rispetto alla mente, nonché la sua irriducibilità a modelli computazionali e ad approcci, come quello connettivista, che ne sacrificherebbero proprio le modalità di funzionamento più peculiari.

    Come funziona il cervello? In che direzione si muove la ricerca in questo ambito?

    Per rispondere alla sua domanda non possiamo che ripeterla e riproporcela. Ci piacerebbe sapere come funziona il cervello, ma ancora non abbiamo informazioni soddisfacenti su quest'organo, come invece ne abbiamo in riguardo ad altre parti del corpo. Uno dei metodi seguiti dalla ricerca è di suddividere questo grande interrogativo in una serie di problemi minori, perché è evidente che in ogni caso non ci sarà una risposta unica e semplice. Perciò l'obiettivo della neurologia è cercare di ricostruire il funzionamento del cervello relativamente a percezione, sensazione, visione, sentimento, tatto, odorato, memoria, e infine anche in riguardo alla comprensione del linguaggio. Tutti questi aspetti, benché distinti e separati, sono connessi l'uno all'altro. Non si può capire adeguatamente la natura del linguaggio senza sapere cosa siano la percezione e la memoria.

    Il campo è ora aperto a profonde trasformazioni tecniche. Per la prima volta siamo in grado di svolgere indagini a tutti i livelli organizzativi del sistema nervoso. Dal punto di vista metodologico, possiamo analizzare qualunque cosa, dalle molecole fino ai modelli di comportamento, e ciò consentirà, in ultima analisi, di collegare la psicologia alla biologia. Questa ritengo che sia la direzione che gli studi prenderanno in futuro, fermo restando che possono sempre esserci sorprese.

    Qual è, attualmente, l'ostacolo maggiore nella ricerca?

    Non saprei identificare un singolo grande ostacolo. Posso solo dire che esistono alcune questioni molto complesse che non abbiamo ancora risolto. Una di esse riguarda la neuroanatomia, che rappresenta di per sé l'argomento più importante e necessario per comprendere il cervello. Il cervello è strutturato secondo una tipica configurazione di modalità, ma al contempo è un pezzo unico, e non ce ne sono due perfettamente uguali. E' un organo in costante trasformazione. In questo preciso istante i suoi neuroni si stanno trasformando, e così i miei. Dobbiamo pertanto guardare al cervello nel quadro di un costante processo di sviluppo, dall'infanzia all'età adulta, fino alla vecchiaia. I cambiamenti sono continui.

    Che tipo di obiettivi si possono allora prefiggere gli scienziati?

    Uno degli obiettivi che ci prefiggiamo è, di conseguenza, arrivare a comprendere la geometria di ciascun fascio di nervi. Ed è un compito estremamente arduo, basti pensare che i nervi sono collegati fra loro da 10.000 sinapsi: è come prendere tutti gli alberi di una foresta e ammucchiarli insieme in un enorme groviglio. Noi non sappiamo esattamente quale sia il significato di questo groviglio, e non abbiamo ancora metodi efficaci a indagarne la struttura, ma credo sia di estrema importanza riuscirci. Dobbiamo sempre ricordare che il groviglio non è statico. Al contrario è sempre in movimento. Non disponiamo ancora di strumenti che ci raccontino come questo avvenga; come pure non siamo in grado di osservare il comportamento di un animale a tutti i livelli di organizzazione contemporaneamente.

    Quali sono i risultati che la neurologia del futuro potrà conseguire?

    Benché si tratti di un compito assai arduo, la neurologia del futuro potrà essere in grado di analizzare il flusso di elettricità all'interno del mio cervello, di controllare le reazioni chimiche, di accedere a una cellula particolare e osservare quel che le succede, di collegare tutto questo a un movimento della mia mano, e di prendere nota di tutti questi diversi livelli di controllo, per arrivare fino ai singoli geni.

    Alcuni ricercatori del mio istituto, ad esempio, stanno studiando cosa accade ai geni di un animale quando questi si addormenta e poi quando si sveglia. A quanto sembra, quando l'animale è sveglio i geni si attivano, e quando dorme si disattivano. Alcuni hanno compiti del tutto specifici, ad esempio l'apprendimento in stato di veglia: quando si dorme, questi geni smettono di funzionare, ed è evidente che questo dipende dal fatto che in stato di sonno non si apprende granché. Tutt'al più ci può essere un ripasso dei propri ricordi, ma non si impara nulla di nuovo. Perciò non serve a nulla mettere il registratore sotto il cuscino.

    Che cos'è il neuro-darwinismo?

    Il neuro-darwinismo è solo un'etichetta e una metafora per indicare l'idea centrale della biologia, ossia il concetto di popolazione, che venne introdotto da Charles Darwin, e rappresenta con tutta probabilità la nozione più importante di tutta la storia della biologia. Secondo questa concezione, il mondo esterno non dà al corpo istruzioni perché sia fatto in un determinato modo, abbia una certa forma, o perché una specie si evolva in una certa direzione, come in base a una formula scritta. Al contrario, diversi individui, in modo del tutto indipendente, sviluppano profonde differenze nella loro struttura, così da formare una popolazione, ossia un insieme di individui non identici, ma differenziati. Per effetto della struttura di questa popolazione, quando si verificano determinati eventi nell'ambiente, alcuni individui sono in media più capaci di adattarsi, e per questo hanno una progenie più numerosa. Di conseguenza, i loro geni, attraverso la progenie, tendono a sopravvivere più a lungo dei geni di individui incapaci di adattarsi.

    Questo stesso concetto può venire esteso al sistema immunitario nel quale esistono cellule che producono anticorpi senza ricevere istruzioni dal mondo esterno; poi arrivano molecole estranee, e scelgono quelli più adatti alla loro conformazione. Ovviamente, occorre avere una grande varietà di anticorpi perché il sistema funzioni. Lo stesso dicasi per il cervello. Dal momento che ogni cervello differisce nei dettagli da qualunque altro, ed ha una sua storia personale, si può pensare che le cellule nervose e le rispettive proprietà vengano selezionate in questa maniera darwiniana: alcune sono più adatte di altre, funzionano meglio. Questo viene chiamato neurodarwinismo.

    Quali sono i limiti del modello computazionale?

    Secondo la mia scuola di pensiero, tali limiti sono sfortunatamente così angusti che quella del calcolatore si rivela una metafora del tutto inutile. Non credo ci sia alcun elemento che dimostri la somiglianza fra il cervello e un calcolatore elettronico. In un calcolatore è indispensabile la precisione, cosa che invece manca nel cervello, dove ciascun dettaglio è variabile. Secondo il neurodarwinismo la forza del cervello sta proprio nella variazione. In secondo luogo, se un computer potesse esprimere sentimenti ed emozioni, solo allora accetterei la metafora del computer. I computer funzionano non in base alla selezione, ma alle istruzioni, e non contengono di per sé alcun significato. Il calcolatore digitale non pensa, e non é soggetto ad alcun tipo di selezione, mentre nel cervello la selezione si svolge continuamente. Nessun computer prova emozioni. Se non altro per questo motivo, fino a quando non mi verrà dimostrato che un calcolatore elettronico prova sentimenti ed emozioni, e sa esprimere uno stato comune a un altro soggetto, credo che la metafora computazionale faccia solo perdere tempo.

    Cosa pensa degli studi sull'intelligenza artificiale?

    La pretesa di riprodurre con sistemi digitali il comportamento di un animale si è rivelata un completo disastro, ha fallito miseramente. In altre parole, l'intelligenza artificiale non ha nulla che corrisponde al buon senso, o a un gatto che salta in cima al frigorifero. Non ha neppure un sistema di guida intelligente al modo degli organismi inferiori, quando attraversano un ambiente a loro sconosciuto. Pertanto, l'idea che sia possibile programmare qualunque cosa, idea che sottende l'intelligenza artificiale, è per me una promessa mancata.

    Come giudica l'approccio connettivista?

    Anche l'approccio connettivista ricade in questa categoria, perché le reti nervose che pretende di produrre non sono veramente tali, non hanno un'anatomia nervosa. Come ho detto, l'elemento-chiave del cervello è la neuroanatomia; se rifacessi i collegamenti interni al suo cervello, questo non funzionerebbe, o funzionerebbe molto male. Viceversa, una rete nervosa non ha una vera e propria anatomia né un'architettura. Piuttosto si basa su una tecnica matematica, statistica che dà vita alla cosiddetta regressione multidimensionale. La si conosce fin dalla seconda guerra mondiale, ha subito suscitato un grandissimo interesse ed è effettivamente utile a determinati scopi. Ma non funziona alla maniera di un paradigma selettivo; si basa pur sempre su istruzioni, sebbene di natura statistica.

    Ci può parlare del "test di Turing"?

    Alan Turing fu indubbiamente uno straordinario genio matematico, ma il suo test presenta evidenti difficoltà perché non tiene in alcun conto tutte quelle altre cose a cui mi riferivo prima, come l'espressione, l'emozione e via dicendo. Ora, esistono due tipi di linguaggio: c'è quello dichiarativo, che sarebbe presente nel test di Turing se questo tentasse di ingannarci; e poi ci sono gli aspetti espressivi del linguaggio. Per dimostrare l'infondatezza del test di Turing, ciò che farei è verificare se la macchina si arrabbia al momento giusto. Il mio giudizio è perciò molto semplice: tanto l'intelligenza artificiale quanto il test di Turing mi sembrano del tutto fuori strada. E li sfido a contraddire la seguente affermazione: una macchina non si chiederebbe mai se un essere umano è una macchina oppure no. Noi possiamo inventare il test di Turing, ma una macchina non può inventare noi. Punto e basta. E' così bello provare sentimenti, come quando si va al cinema.

    Come si puo' definire la coscienza?

    Non userei la parola "definizione". La scienza non si occupa di definizioni: quello è compito della matematica, o della linguistica. Gli aspetti essenziali della coscienza sono stati indicati dal grande psicologo e filosofo americano William James, il quale affermò anzitutto che la coscienza non è un oggetto, bensì un processo, qualcosa in continuo svolgimento. Secondo punto, la coscienza per lo più si relaziona a oggetti esterni, e non a se stessa, e dice, ad esempio, "sono cosciente della luce". Naturalmente ci sono aspetti che non hanno un referente esterno, come essere di un certo umore, o sentire un certo disagio stando seduti qui dinanzi a questa telecamera e a queste quattro belle ragazze che mi guardano come fossi un animale dello zoo. Terzo, la coscienza si presenta come qualcosa che non vuole esaurire l'intera realtà, ma ne prende soltanto una parte, quella su cui si focalizza l'attenzione. Infine, essa possiede altre due notevoli qualità: la prima è che non può essere suddivisa. Nella coscienza non c'è niente di puro, c'è la scena nella sua interezza. Questo è ciò che chiamiamo l'aspetto integrato o unitario della coscienza, che James illustrò magistralmente. La seconda qualità sta nel fatto che è possibile avere miliardi di stati di coscienza nel medesimo istante. Perciò, da un lato la coscienza è integrata, dall'altro sembra senza fine per i diversi modi in cui si possono modificare le cose. Queste sono tutte proprietà della coscienza, così come la conosciamo.

    Che differenza c'e' tra la coscienza dell'uomo e cio' che pensano gli animali?

    Esistono poi due tipi fondamentali di coscienza. C'è la coscienza del mio cane, la cui esistenza non posso provare perché lui non parla, ma questo è il punto: la sua è una coscienza primaria, nel senso che è cosciente di una situazione, probabilmente, ma non ha la coscienza di ordine superiore, che compare soltanto con il linguaggio. Quando a una coscienza primaria si aggiunge il linguaggio, che l'uomo possiede, si ottiene una visione interiore, e non si è più ancorati al presente. Si possono immaginare scenari, programmi TV, drammi teatrali, trame di film, e via discorrendo. Potrei dire che se lei dà un calcio a un cane, la prossima volta che vi incontrate lui potrebbe morderla o scappare via, poiché è dotato di una memoria a lungo termine. Ma nel frattempo non starà a rimuginare su come farle perdere il lavoro. Un altro modo di vedere la questione è che il cane può essere irritato e anche, fino a un certo punto, consapevole della sua irritazione, ma credo gli sarebbe piuttosto difficile mostrarsi indignato, o per così dire, assumere un'espressione risentita, e tutte quelle sfumature che per noi sono possibili in quanto esseri dotati di linguaggio. L'uomo è perciò in una strana situazione: ha una coscienza primaria. Per esempio, se lei mi tocca il dito e mi fa male, io urlo. Ma d'altro canto, io e lei in questo momento stiamo parlando ad altissimo livello, in una scena che sarebbe impossibile senza linguaggio. Possiamo essere coscienti di essere coscienti, e siamo una specie auto-referente. A volte questo è un guaio. Mi capita spesso di pensare che un mistico non sia altro che un uomo che cerca di diventare un cane.

    Perché ha scelto questo campo di studi, e perché continua a lavorarci?

    Perché Dio ha creato le mosche? E' molto difficile rispondere a questa domanda. Credo che di scienziati ce ne siano di tutti i tipi, e non si possa dire in anticipo chi di loro sia più adatto a fare che cosa. So soltanto che mi interessano le zone d'ombra. Quando mi convinco di aver capito qualcosa a grandi linee, il che è il massimo che si possa fare, allora mi piace spostarmi verso altre aree d'oscurità. Certo è che dopo aver lavorato all'immunologia, che stava diventando troppo luminosa per me, la mia curiosità si è rivolta ai processi di sviluppo e al cervello. Questo è tutto ciò che posso dire.