Torna alle interviste

    Emanuele Severino

    22/12/2000
    Dove sfuma il confine tra naturale e artificiale. Severino e il destino della tecnica



    Nel modo contemporaneo "cade la distinzione tra natura e artificio, ma tutto diventa costruibile e dunque artificiale, almeno tendenzialmente". Così il filosofo Emanuele Severino ripensa il mondo diviso tra natura e cultura

    "L'apparato scientifico e tecnologico sta diventando adesso il signore che non deve più accontentarsi del riconoscimento di un servo". Queste le parole conclusive di un suo articolo comparso su "Telema" nel '97. L'idea che l'uomo sia in grado di controllare le macchine è dunque solo un'illusione?

    Quella a cui si riferisce è una espressione di Hegel sulla dialettica 'signore-servo'. Si deve partire dal concetto di "potenza": la potenza e quindi anche la potenza tecnologica e' tale solo se viene riconosciuta. Un potente che non sia riconosciuto tale non è un potente. Il riconoscimento della potenza della tecnica oggi può avvenire soltanto a condizione che si presenti nelle forme del grande riconoscimento pubblico. Ciò si traduce in un riconoscimento telematico, informatico. Vale a dire che la potenza della tecnica deve essere riconosciuta dalla tecnica stessa.

    L'idea che l'uomo sia in grado di controllare le macchine e la tecnologia è un'illusione?

    Questo è un destino. Intanto si badi a non confondere la tecnica con le macchine. C'è una concezione ingenuamente tecnicistica della tecnica che deve essere abbandonata. Rispetto ad una singola macchina la capacità di controllo sussiste, ma quando si parla di tecnica si deve tener presente il sistema, direi addirittura planetario della tecnica. Dal momento che le forze della tradizione occidentale intendono servirsi della tecnica come mezzo, è in relazione a questo sistema che bisogna rapportare la propria analisi. È inevitabile che la tecnica, per servire tali forze, debba esserela più efficace e potente possibile. È quindi inevitabile che si produca quel tradizionale rovesciamento per cui lo strumento diventa lo scopo delle forze che vorrebbero servirsi di esso per realizzare i loro scopi ideologici. Da questo punto di vista, allora, è ingenuo pensare che gli individui, gli uomini, i singoli, ma anche le forze sociali, riescano a controllare l'apparato scientifico e tecnologico planetario.

    Il carattere che definisce il limite tra l'artificiale e il naturale sfugge, tradizionalmente, al controllo umano. Dove è possibile stabilire un limite tra artificiale e naturale?

    Chi stabiliva i limiti tra la natura e l'artificio, intesi anche come hybris, prevaricazione dell'uomo sulla natura, erano le grandi forze della tradizione occidentale. In altri termini questo compito era appannaggio del pensiero filosofico, teologico, metafisico. È il pensiero che indica l'esistenza di un ordine immutabile, necessario, eterno, a cui l'azione dell'uomo, etica e anche politica, deve adeguarsi. Allora il limite era l'ordine a cui l'uomo, l'agire umano, deve adeguarsi. Nella storia dell'occidente è accaduto lo straordinario capovolgimento che soprattutto la cultura filosofica del nostro tempo ha mostrato: l'impossibilità di un limite. Questo significa che i confini tra il naturale e l'artificiale non possono più avere la pretesa di assolutezza.

    Se sfuma il confine tra naturale ad artificiale in che senso tutto diventa artificiale?

    Il limite tra la dimensione del naturale e quella dell'artificiale era posto dalla sapienza e dalla tradizione dell'Occidente, dunque soprattutto dalla sapienza filosofica, che poi era anche sapienza religiosa. Il limite era sostanzialmente una forma di ordine, l'ordinamento necessario del mondo a cui l'agire umano doveva adeguarsi. Con la cultura del nostro tempo affiora invece alla luce l'impossibilità di ogni limite di questo genere e quindi l'impossibilità di un senso definitivo divino del mondo. Stando così le cose, i confini tra la natura, che era appunto ciò che sottostava all'ordinamento assoluto del mondo e l'artificiale tendono a non distinguersi più nel senso che tutto diventa aggredibile, tutto diventa dominabile, nulla rimane come naturale e quindi come inviolabile, inoltrepassabile. In questo senso tutto diventa artificiale. Questa è la tendenza verso la quale ci muoviamo.

    Heidegger dice che ciò che veramente inquietante non è tanto che il mondo si stia trasformando in un dominio della tecnica ma che l'uomo non sia pronto a questo radicale mutamento del mondo. Che ne pensa?

    La tendenza del progressivo annullamento di confine tra naturale ed artificiale porta inevitabilmente con se' i residui, le permanenze del passato. La grande avventura della filosofia contemporanea è compiuta da una Élite che capisce come i valori del passato non siano più sostenibili, ma è pur sempre un Élite che paga spesso in prima persona questa sua avventura, questa sua scoperta. Finalmente quello che era patrimonio di una Élite sta diventando qualcosa di conosciuto dalle masse e, tuttavia, la grande tradizione occidentale nelle masse è ancora presente. l'uomo inteso come massa, come popolo, è ancora intriso di tradizione, quella tradizione che stabilisce un limite inoltrepassabile rispetto all'attività tecnologica. In questo senso, certamente Heidegger ha ragione perché se d una parte la tendenza del nostro tempo va verso il dominio della tecnica, dall'altra noi siamo ancora fatti secondo la vecchia maniera, siamo educati secondo valori che appartengono alla tradizione e quindi siamo impreparati a essere uomini della tecnica.

    In che modo gli effetti potenzialmente devastanti di uno sviluppo tecnologico possono insegnarci qualcosa?

    Un primo modo banale di rispondere a questa domanda è costituito dal fatto che dagli errori si impara. La questione più interessante è invece quella secondo cui la tecnica è in grado di rimediare ai propri errori. L'uomo può imparare dai benefici che la tecnica gli propone. La tecnica diventa in grado di costruire quello che ormai non è più utopico chiamare 'paradiso della tecnica'. Senonché questo è un paradiso costruito dalla logica del sapere scientifico moderno e cioè con una logica ipotetica. E allora il beneficio della tecnica consisterà nel fatto che, in base a una logica ipotetica, l'uomo raggiungerà la massima felicità che abbia mai sperimentato sulla terra. Ma il fatto che la felicità ipotetica aumenta in lui l'angoscia di perderla. E allora ecco che dal massimo beneficio che la tecnica può produrre potrebbe scaturire provenire un sommo insegnamento. L'angoscia in relazione alla felicità e alla sicurezza che possono esser perdute consegna all'uomo la possibilità di ripensare al significato della verità e della non verità, cioè al significato di quelle categorie in relazione alle quali si è costituita la scienza moderna come ipotesi.

    La tecnica può, di per se stessa, rimediare ai propri errori?

    Credo che la tecnica sia in grado di rimediare ai propri errori e credo anche che le devastazioni compiute dalla tecnica siano imputabili alla amministrazione ideologica della tecnica più che alla tecnica in quanto tale. Da questo punto di vista, allora, bisogna preoccuparsi più delle ideologie che oggi intendono controllare la tecnica, che non della tecnica di per se stessa.

    Che spazio resta per la filosofia nel mondo della tecnica ?

    C'è un modo ingenuo di concepire i rapporti tra filosofia e tecnica: quello di vederle separate. Invece la tecnica alla quale mi riferisco è essenzialmente fondata sulla filosofia e in particolare sulla filosofia contemporanea, la quale, lungi dall'essere qualcosa che deve andare a cercare uno spazio, è ciò che fornisce lo spazio al campo di gioco della tecnica. La filosofia ha la funzione di preparare il terreno, lo spazio della tecnica perché, contrariamente a quello che ancora si pensa, la filosofia del nostro tempo e la scienza sono essenzialmente solidali anche laddove la filosofia si presenta come critica della scienza. La filosofia del nostro tempo prepara il campo di gioco, sgombra il terreno per consentire alla tecnica quel dominio che altrimenti non potrebbe esercitare senza sapere che il terreno è sgombro. In secondo luogo c'è un significato più profondo connesso al sapere filosofico. E' quello che mette in questione l'intera storia dell'Occidente e il significato stesso della tecnica perche' la tecnica la si può considerare come il modo più rigoroso in cui si presenta la filosofia greca e la filosofia greca inventa un mondo in cui le cose diventano altro da sé. Bisognerebbe quindi incominciare a pensare che questo diventare altro da sé, da parte delle cose, esprime una follia estrema perché paradossale pensare che l'essenza di una cosa si esprima nell'altro da sé. Eppure, nella nostra cultura è evidente che le cose cambino e diventino altro da sé. Da questo punto di vista, la filosofia dovrebbe realizzare il compito massimo, che è quello di articolare il senso di questo divenire altro e quindi ripensare il fondamento della tecnica. E' la tecnica, infatti, che spinge al limite massimo la volontà di far diventare altro le cose che sono.

    Qual è, a suo avviso, il rapporto che l'uomo dovrebbe intrattenere nei confronti della tecnica?

    Rispondo in relazione alla storia dell'Occidente. Di fatto oggi l'uomo prende posizione in due modi contrastanti rispetto alla tecnica e sono entrambi modi viziati da un'ingenuità di fondo. Il primo è quello che potremmo dire proprio delle sinistre mondiali: il modo caratterizzato dall'illusione di dominare la tecnica. Quando Simone Weil parlava di socialismo, definiva il socialismo come capacità di dominare la macchina tecnologica. L'altro modo è quello che appartiene alle destre mondiali le quali celebrano i trionfi della tecnica ma poi sono spesso sprovvedute per quanto riguarda la memoria storica. Non si rendono cioè conto che il loro tentativo di dimenticare il passato è controproducente nel senso che impedisce la stessa possibilità di allontanarsi dal passato. E allora mi pare che la domanda includa, implicitamente, l'espressione "correttezza", la correttezza dell'atteggiamento dell'uomo rispetto alla tecnica. La correttezza significherebbe, restando sempre all'interno della storia dell'Occidente, l'atteggiamento in cui si riconosce la dominazione della tecnica ma insieme non ci si dimentica del passato da cui si vuole uscire.

    Qual è la natura tendenziale del mondo?

    Ci si avvia effettivamente verso una situazione in cui cade la distinzione tra naturale e artificiale. La nostra cultura contemporanea mostra la necessità del tramonto di un ordinamento divino del mondo. Il mondo si presenta allora come un campo senza limiti. Non c'è più una natura che si debba rispettare e in questo modo, allora, non solo cade la distinzione tra natura e artificio, ma tutto diventa costruibile e dunque artificiale, almeno tendenzialmente.