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    Saskia Sassen

    5/01/2001
    "Globalizzazione? Un progetto tutto da creare"


    La sociologa americana Saskia Sassen parla delle trasformazioni sociali future connesse alla globalizzazione

    Ci può dare prima di tutto una definizione di globalizzazione?

    La globalizzazione è stata definita in molti modi diversi. Io preferisco prendere in considerazione non tanto la crescente interdipendenza fra le diverse parti del mondo, su cui si basa la definizione più diffusa, ma piuttosto l'effettiva formazione di sistemi specializzati e trans-nazionali. Non è tanto importante il fatto che i paesi si colleghino ad altri paesi o che le persone comunichino di più via Internet. E' la realtà stessa di Internet, ossia quella di un sistema specializzato, che naturalmente consente ai vari paesi di essere maggiormente a stretto contatto l'uno con l'altro. E lo fanno in modo nuovo, sfruttando sistemi specializzati, che in sostanza sono spazi a cui aziende, governi e altri soggetti possono accedere. Si può dire che la 'Organizzazione mondiale commercio e telecomunicazioni' (WTO) sia uno di questi sistemi, ma ce ne sono anche di privati. L'idea di fondo è perciò che la globalità si costituisce anche nei termini di una particolare spazialità, distinta dal semplice luogo di incontro dei diversi paesi. In questo spazio ideale rappresentanti e luoghi territoriali nazionali entrano in contatto fra loro. La globalizzazione, quindi è come uno spazio diverso, situato in un certo senso al di fuori delle relazioni fra i paesi. Pensiamo a Internet, che ne è l'esempio più evidente.

    Da quando si è cominciato ad utilizzare questo termine?

    Si dice che già un letterato veneziano del '700 abbia usato questo termine, ma l'esatta provenienza non è certa. Il termine comincia a essere in voga negli anni '80 e si diffonde enormemente negli anni '90. Io probabilmente ho cominciato a usarlo in certi articoli pubblicati nei primi anni '80. Direi comunque che è un termine alquanto recente.

    Esiste una differenza tra il concetto di "mondializzazione" e quello di "globalizzazione"?

    Si può parlare di "mondializzazione" in virtù del fatto che da ormai molto tempo abbiamo un'economia mondiale e sistemi politici mondiali. Io preferisco usare il termine "globalizzazione" per indicare invece un fenomeno tipico di questi ultimi 20 anni che punta ad un fenomeno preciso e che si riferisce a ciò che oggi è differente dalle forme precedenti di "mondializzazione".

    Cosa è cambiato?

    Da un lato partecipiamo di una storia recente, quella dell'800 e del '900, in cui lo stato nazionale diventa sempre più la realtà dominante. La "mondializzazione" odierna emerge infatti in un contesto storico che vede affermarsi robusti stati nazionali. Dall'altro lato abbiamo invece un processo di globalizzazione che è in parte il tentativo, il progetto di denazionalizzare quel che è stato costruito come nazionale. Non si può dire lo stesso delle forme precedenti di "mondializzazione". Nel libro che ho pubblicato con 'Il Saggiatore', parlo del processo di de nazionalizzazione come di uno dei temi della globalizzazione. Una grossa differenza emerge comunque dallo sviluppo delle nuove tecnologie. Il livello di complessità in termini di dinamiche trans-nazionali de territorializzate che le tecnologie digitali rendono possibili differenzia la nostra era da tutte quelle precedenti. Le tecnologie digitali, essendo intelligenti, decentralizzate, e creando simultaneità nell'accesso, rappresentano davvero qualcosa di diverso. La differenza non è semplicemente quantitativa, ma soprattutto qualitativa. Ci sono poi molti altri fattori tecnici relativi al modo in cui l'economia viene organizzata che distinguono la presente accezione di 'globalizzazione' da forme precedenti di "mondializzazione". Fra questi c'è la formazione di sistemi tecnici e legali enormemente specializzati dedicati alla gestione di transazioni commerciali oltre frontiera, di mercati globali, e così via. In altre parole si potrebbe rintracciare una quarta differenza che consiste nel livello di perfezionamento, legalizzazione e formalizzazione dei presenti sistemi che rendono possibile l'economia globale e che sono radicalmente diversi dalle realtà proprie delle fasi precedenti dell'economia mondiale.

    Il processo di "globalizzazione" può dirsi terminato?

    No, è senza dubbio un processo ancora in corso. In realtà ne stiamo vivendo soltanto gli inizi, e non sappiamo in che modo questo processo potrà svilupparsi. Noi esseri umani abbiamo grandi difficoltà a capire le novità, anche se ci siamo dentro. Ad ogni modo ci aspetta una trasformazione assolutamente radicale, che però non riguarderà il mondo intero. Sarà un processo altamente esclusivo, e il suo spazio non coinvolgerà tutti i paesi Riguarderà comunque una porzione significativa della popolazione. I mutamenti cui parteciperemo saranno straordinari. E non solo nell'ambito della techne, ma in campi che coinvolgono l'idea stessa di identità che le pratiche che gli individui come membri delle comunità locali adotteranno. Si creerà una commistione profonda tra realtà globale e vita di comunità a carattere locale diversa dall'idea di cosmopolitismo. Il cosmopolitismo è un termine che suggerisce il trascendimento di tutto ciò che è locale in termini di tempo e di condizioni. Quando parlo di dimensione globale e micrositi alludo invece alla interconnessione di micro ambienti e aperture globali.

    Che ne sarà del concetto di "locale"?

    Sono abbastanza convinta, anche se non tutti saranno d'accordo, che il concetto stesso di "locale" subirà una profonda trasformazione, perché credo che avremo almeno due tipi di dimensione locale, e sarà assai problematico utilizzare lo stesso termine per entrambi. Il primo tipo è il microambiente, situato sia nello spazio digitale che in quello fisico. L'altro è più vicino alla realtà locale che abbiamo conosciuto fino a oggi, ovvero un luogo geograficamente e territorialmente identificabile, molto più concentrato su se stesso, e occupato da se stesso. Questo corrisponde in linea di massima al il vecchio tipo di dimensione "locale". Alcuni degli spazi locali che sembrano essere del tipo tradizionale, come un quartiere, un paesino, eccetera, verranno situati all'interno dei circuiti globali. Diventeranno microambienti nel contesto di quel che è fondamentalmente un circuito globale. L'esempio più elementare sono le comunità di immigrati italiani negli Stati Uniti e in tutto il mondo, che mettono in piedi un sito web e comunicano fra loro. Hanno una dimensione globale ma sono assolutamente locali. Il problema delle realtà locali continuerà ad esistere, anche nel contesto di Internet, ma si tratterà di un tipo diverso di "locale". Rispetto alla vecchia accezione di 'locale' ci sarà al contempo un numero crescente di comunità e individui che cambieranno strada, che esisteranno in zone parzialmente de-territorializzate dove esistono le sub culture. Un esempio. Io e lei ci troviamo in un ambiente fisico locale. Ma, al contempo, sia io che lei operiamo anche in una zona che non è locale.

    Il "locale" riuscirà a combattere il "globale"?

    Combattere la globalizzazione è un'impresa certamente ben avviata, e molto più realistica di quanto molti sembrano credere. Dissento con l'idea di quanti ritengono che il locale non può combattere il globale. Il globale non solo si materializza parzialmente nel locale, ma ha concretamente bisogno di agganciarsi a spazi locali al fine di essere ciò che è: globale. Sicché esistono nodi multipli dove il globale e il locale si intersecano. Prendiamo, ad esempio, i mercati finanziari globali. Essendo in parte digitali non hanno un territorio, si trovano in certo senso ovunque e in nessun luogo. Sono globali e, in quanto tali, enormemente potenti, ma ciononostante dipendono da un'infrastruttura composta da un ingente materiale non digitale come strutture fisiche di interconnessione. Tali strutture, costituendo l'infrastruttura sottostante le reti di comunicazione, sono molto vulnerabili nel senso che potrebbero venire distrutte. Oggi abbiamo movimenti di lotta contro la globalizzazione, come quello di Seattle. Esistono tanti modi diversi in cui figure locali possono impegnarsi in una politica del globale passando per i diritti umani, l'attivismo ambientalista, nonché l'attivismo digitale che a mio avviso è di importanza cruciale sotto questo rispetto. L'attivismo digitale assume varie forme, una delle quali ovviamente è lo "hacktivismo", quella cioè degli hacker; alcune sono molto costruttive e altre invece no. Ma per sfidare il sistema globale enormemente potente esiste una molteplicità di modi, che invece molta retorica della globalizzazione vuol far credere impossibili. Questo fa pensare che il sistema economico globale presenta delle incrinature dei punti deboli che possono essere in qualche modo scalfiti.

    Si può affermare che le nuove tecnologie siano all'origine del globalismo?

    Non si può dire che il globalismo sia stato originato da queste tecnologie ma, è semmai asseribile che il sistema economico globale attualmente esistente ne dipenda completamente. Le tecnologie non sono soltanto radicate nelle configurazioni sociali e culturali si concretizzano in certe attività economiche che spingono per il loro sviluppo. Ma sono i singoli individui che orientano e permettono di collegare gli strumenti offerti dalla tecnologia a determinate condizioni economiche, in certi casi persino alterano la situazione socio economica precedente. Ad esempio agli esordi dello sviluppo di Internet, sono stati gli scienziati ad usare la Rete per determinati scopi, a guidarne l'evoluzione. Poi è venuta l'era degli hacker, negli anni '70 e '80. Anche loro avevano un progetto, e sono state le loro tecnologie a permetterne lo sviluppo. Dalla fine degli anni '80 in poi, attraverso la realizzazione del www ci si è avviati verso un progetto completamente diverso. Svolgendo una ricerca a questo proposito ho scoperto che la maggior parte dell'odierna produzione di software è tarata sulle necessità delle imprese guidate da soggetti. Ancora una volta la tecnologia si rappresenta come guidata da particolari soggetti.