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    Adriano Bompiani

    30/01/2001
    "Tra tante etiche la guida della razionalità"


    Bompiani, uno dei fondatori del Comitato Nazionale di Bioetica, mostra la strada della bioetica italiana

    Ci può dare, per iniziare, una definizione sintetica di bioetica?

    L'etimo deriva dalle parole greche di 'bios' e di 'ethos', vita e morale. Il termine viene riformulato nel '68 quando un oncologo americano, Potter, coniò il termine 'bioetica' per indicare le sue riflessioni sull'inquinamento ambientale delle industrie nucleari e sulla crescita smisurata della popolazione mondiale. Potter volle diffondere il messaggio secondo cui tutti devono, in qualche modo, lavorare per fondare un'etica per la salvezza del genere umano. Il messaggio diventa, in generale, un invito alla salvezza della vita stessa perché naturalmente la bioetica non si occupa solo dei problemi legati alla morale umana o alla sola specie umana. L'etica abbraccia le specie animali, i vegetali, tutte le forme viventi.

    La bioetica comprende una o più dimensioni?

    In bioetica ci sono due dimensioni che si contrappongono: la dimensione 'cosmologica' e la dimensione 'antropologica'; c'è una bioetica cosmologica che vede tutto in chiave evoluzionista e, come tale, ritiene che ci sia una dignità da attribuire a tutte le specie viventi, senza distinzione tra specie e specie perché ciascuna specie ha il suo habitat, svolge la sua funzione, ha il suo ciclo vitale compiuto. La bioetica antropologica può invece essere vista in luogo di una estensione della antropologia 'forte' in cui l'uomo domina la natura, ha di essa piena responsabilità. Dato che l'uomo può manipolare la natura a suo piacimento una bioetica antropologica deve tendere in primo luogo al bene dell'uomo, ma anche al rispetto delle altre specie viventi e della natura stessa.

    Il Comitato nazionale di bioetica: quando è stato istituito e che compiti si prefigge?

    Il Comitato nazionale è nato a seguito di una risoluzione parlamentare, quando ormai a fine anni '80 i problemi della bioetica avevano assunto nel nostro Paese una grande rilevanza. Allora il governo in carica stabilì che anche l'Italia dovesse avere un comitato sul modello di quello francese. Il Comitato nazionale di bioetica francese voluto dal presidente Mitterrand era nato tre o quattro anni prima e noi eravamo costantemente in contatto con il presidente del comitato, il professore Jean Marie Bernard, un grande ematologo.

    Il Comitato iniziò subito a lavorare e tra i primi pareri formulati ci fu quello sulla terapia genica, cui seguirono quelli sulla tutela dell'ambiente e dei lavoratori nelle delle fabbriche di materiale genetico. Successivamente sono stati richiesti altri pareri, in tutto 35, nella storia ormai decennale del Comitato.

    Un argomento su cui il Comitato ha lavorato?

    Uno di questi pareri, quello che riguarda la brevettabilità del materiale genetico, ha compreso naturalmente anche l'essere umano nel suo dominio teorico. Adesso la questione genetica sta riemergendo in rapporto all'evoluzione della diagnostica medica -si pensi a tutti i test genetici che si possono fare nella vita prenatale e post natale- per stabilire le posizioni auspicabili da parte del governo italiano.

    Naturalmente noi non siamo un organismo deliberante, non facciamo nessuna legge, abbiamo solo una funzione consultiva per il governo e con i nostri pareri riteniamo di potere rappresentare, entro certi limiti, l'opinione pubblica. Il Comitato, pluralista di formazione, è ispirato da varie correnti etiche, che si ritrovano nel nostro paese, da quelle più tradizionaliste a quelle più aperte. E' formato da 40 membri, quasi tutti provenienti dal mondo accademico e dal mondo della scienza, scienza intesa in un senso ampio che comprende umanisti, filosofi, giuristi, teologi, psicologi. Poi ci sono, naturalmente, genetisti, medici, economisti, in maniera tale da dare anche una rappresentazione delle singole discipline.

    Cos' è per lei la bioetica?

    La bioetica è di per sé qualche cosa di composito, una materia che si sta facendo strada gradatamente e, come tale, risente molto degli influssi e degli apporti delle diverse discipline che costituiscono una nuova forma di espressione dell'umanità di inizio secolo. Ma la bioetica, non dimentichiamolo, è anche un movimento culturale. Risalendo al '68 si ritrova, in quell'epoca, insieme alle manifestazioni studentesche e alle teorie di Marcuse, una ricchezza di pensiero che si traduce nelle idee, anche problematiche, del nichilismo della società contemporanea, nella frammentazione del pensiero filosofico, fino ad arrivare a creare la condizioni per un pensiero bioetico. Pensiero bioetico inteso come movimento che ha cercato di recuperare l'evoluzione pluralistica del mondo moderno per cercare di darle un'unità. Il periodo che stiamo attraversando non può prescindere dall'etica, un'etica in senso lato, come verifica dei comportamenti umani in tutti i settori.

    Si può parlare di una o più etiche?

    Non c'è, invero, solamente un'etica morale, sanitaria, professionale, deontologica. Ci possono essere, certo, delle etiche settoriali, ma coabitano con una ispirazione etica propria della società nel suo insieme.

    Ci sono dei paesi che ancora non hanno un comitato di bioetica?

    L'Inghilterra non ha un comitato nazionale. Va ancora avanti attraverso dei comitati settoriali perché c'è nel paese una forte rappresentanza delle singole categorie professionali. Lo stesso dicasi per la Germania e la Spagna. Nonostante la Spagna si sia portata su posizioni etiche molto aperte per quanto riguarda la procreazione assistita, non ha ancora un comitato etico nazionale. Ci sono dei problemi di potere nel senso che esistono delle 'caste' sociali che difficilmente entrano in dialogo con altri ma sussistono anche aspetti legati al potere governativo, ministeriale. Per istituire un comitato nazionale ci vuole anche una grande capacità di dialogo, di collaborazione con il potere pubblico.

    Oltre a dare pareri autorevoli il comitato svolge altri compiti?

    Un compito molto importante che il comitato si prefigge è il dialogo con la gente, l'insegnamento, la spiegazione. Altrimenti si rischia si rimanere in una torre d'avorio in cui si è capaci solo di fare delle belle pubblicazioni scientifiche senza alcuna utilità pratica. Un altro punto che emerge consiste nel fatto che il comitato italiano ha sempre avuto un grande rispetto anche per l'immagine filosofica dei problemi. Non siamo dei pragmatici che arrivano subito alle conclusioni dando la ricetta o giuridica o di altra natura per la soluzione dei problemi. In questo senso abbiamo sempre voluto mantenere un clima di riflessione sulla filosofia dei problemi.

    Quali sono i punti chiave su cui, in questo momento, c'e' un dibattito più acceso anche all'interno del comitato?

    Il comitato si interessa attualmente molto della evoluzione europea nel settore della genetica. In Europa sia l'Unione Europea sia il Consiglio d'Europa hanno espresso pronunciamenti molto forti sulle biotecnologie riguardo alla possibilità del brevetto di organismi viventi. Fino a che punto possa essere manipolata la materia vivente, compreso il genoma umano? Questo è, naturalmente, un enorme problema dal punto di vista etico, un problema che tutti sentono e sul quale non ci sono ancora dei punti di vista uniformi. Problemi come quelli della diagnostica in fase prenatale o la diagnostica per conoscere il proprio genoma e stabilire se c'è una suscettibilità a malattie che potranno manifestarsi anche tardivamente, rappresentano una potenzialità attuale ma creano problemi etici enormi. Voi fareste una diagnosi di questo tipo a un neonato per sapere se questo neonato a quarant'anni ammalerà? Esistono delle condizioni di impraticabilità morale che non permettono l'applicazione di un certo tipo di diagnostica.

    Qualche accenno sull'attuale normativa europea?

    La normativa europea, già avviata con la convenzione sui diritti dell'uomo, parte da alcuni principi fondamentali che sono stati accolti anche dall'Italia e dal comitato italiano in maniera particolare, Uno riguarda la dignità umana: concetto difficile, concetto applicabile con tante sfumature eppure nozione fondamentale per sviluppare quel passaggio successivo che denominiamo, concettualmente, con la locuzione 'diritti dell'uomo'. Un altro aspetto importante è quello della cosiddetta libertà: un concetto che è sorto, in senso moderno, con la rivoluzione francese. Nell'ambito della bio medicina 'libertà' implica, innanzitutto, il diritto all'autonomia, autonomia del malato, autonomia della persona, in generale, rispetto alle cure mediche. Argomento, questo, che suscita dei problemi, fondati comunque sul sacrosanto principio -diventato anche principio giuridico- del consenso e della libertà decisionale. Ad esempio operare una persona senza il suo consenso significa aggressione a quella persona e quindi come tale perseguibile per legge. L'autonomia, beninteso, non significa libertà assoluta nella misura in cui ogni libertà implica, di fatto, un condizionamento relazionale. In ambito sociale ci vengono imposte, comunque, certe regole del gioco e non esiste una libertà.

    Ci sono casi in cui alcuni principi entrano in conflitto?

    Un punto in cui la libertà ed il diritto alla vita entrano in conflitto è dato, ad esempio, dalle enorme implicazioni che conseguono al problema dell'eutanasia: se io decido di sopprimermi lo posso fare in autonomia? Ne ho o meno il diritto?

    Poi ci sono le grosse questioni morali che mettono in campo problemi di ordine religioso. E' giustificato, per esempio, utilizzare l'embrione umano per ottenere le cellule staminali che potrebbero dare luogo ad una 'ricolonizzazione tessutale'? E' vero, le cellule staminali embrionali sono probabilmente più capaci di altre cellule di differenziarsi in altri settori, ma troviamo cellule staminali anche nell'organismo adulto, troviamo cellule staminali anche nel cordone ombelicale. Troviamo cellule staminali in 'prodotti' che potrebbero essere utilizzati al posto dell'embrione.

    Tale esempio richiama subito il discorso di quali regole debbano eventualmente presiedere all'utilizzazione dell'embrione, negli stadi in cui ne è consentita l'utilizzazione. Si pone dunque anche qui il problema della dignità dell'embrione umano, negata in qualche modo sul piano giuridico fino ad ora. La persona umana, giuridicamente, viene concepita da un certo momento della vita prenatale ma ci troviamo di fronte ad uno iato all'interno della vita prenatale che la filosofia, la genetica, la religione tendono ad evidenziare.

    Quale principio metodologico guida il lavoro del comitato?

    Quello della razionalità. Le improvvisazioni, le prese di posizione che cadono al di fuori della dimostrabilità sono evidentemente contrarie alla razionalità che è, al fondo, la sostanza di tutte queste imprese. L'evoluzione dell'uomo è avvenuta perché ha saputo mettere a frutto la sua razionalità. La razionalità, da sola,non è un principio di moralità di per se stessa, ma affrontare i problemi senza di essa sarebbe ormai impossibile. Di recente un convegno organizzato dal cardinale Pupari in Vaticano ha messo in evidenza che non ci sono contrasti insanabili fra fede e scienza purché si affrontino i problemi con la dovuta metodologia.

    Quali richieste pone alla società la riflessione bioetica?

    Quello che si chiede all'umanità, oggi, è di sviluppare questo tipo di confronto e dialogo per non rimanere ciascuno nelle proprie barricate, nei castelli medievali, muniti solo di olio bollente da riversare, all'occorrenza, sulla testa dell'avversario.