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    Michael Mathien

    23/05/2001
    La libertà d'informazione è un mito

    Secondo il massmediologo Michel Mathien "un mondo dominante" produce immagini omologate che non tengono conto delle differenze culturali

    Secondo Lei che rapporto c'è tra miti, media e nuove tecnologie?

    I miti sono utili alla società, alla cultura, ma vanno visti soltanto come miti. A mio avviso non esiste l'oggettività dell'informazione, così come sono l'idea della perfezione e la trasparenza grazie alle nuove tecnologie è un'altra illusione. Non esiste una società trasparente, come non lo sono i rapporti tra le persone: c'è sempre una parte di territorio che è inaccessibile, sconosciuto. Bisogna prendere atto che la trasparenza è un mito. Del resto la libertà d'informazione è un mito sul quale si sono creati molti malintesi. L'occidentalizzazione dovuta ai media ha creato l'equivoco della libertà totale, come nel I emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, dove si parla di assoluta libertà di espressione e di stampa. Qualcosa del genere si ha già nella Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo francese. Ma questa libertà da noi si ferma dove c'è abuso e minaccia alla libertà altrui, mentre negli Usa il concetto di libertà totale ha creato dei veri e propri casi su Internet, come i siti nazisti o pedofili.

    Qual è secondo lei il ruolo delle nuove tecnologie nell'ambito della globalizzazione economica?

    Le posso fare l'esempio facile della Microsoft. Ma il problema non è la nuova tecnologia, è tutto il contesto; anche con questi nuovi tipi di comunicazione vengono utilizzate una serie di strategie finanziarie che richiamano sempre più capitali, il che porta sempre ad ulteriori sviluppi di mezzi, azioni e investimenti.

    Parlando di questa enorme quantità di messaggi diffusi dai media, crede che possa esistere un problema per le minoranze etniche?

    I problemi intanto ci sono per tutti e poi forse anche per le minoranze. E' vero, però, che c'è un'enorme diffusione di immagini in televisione e su Internet che di fatto sono quasi sempre le stesse. Effettivamente ci si può interrogare su libertà, pluralismo, differenze, sui modi di accesso all'informazione. Se si vedono immagini quasi identiche per dare la stessa informazione vuol dire che c'è un problema. Non succedeva così per la stampa cosiddetta pluralista: per dare una notizia non venivano quasi mai utilizzate le stesse parole. Dunque abbiamo un mondo dominante che utilizza immagini su scala planetaria che non rappresentano per niente le minoranze e questo crea per loro problemi di identità, visto anche che non vengono considerati i valori e i contenuti culturali nei quali si riconoscono. Ricordo che rimasi colpito, in un Paese arabo, dal forte impatto che avevano sui musulmani le immagini provenienti degli Stati Uniti: gli integralisti non vi si riconoscevano, ma allo stesso tempo ammettevano che c'erano parti del loro popolo che le desideravano, che ne restavano affascinati. L'immagine affascina - ed era già il problema della fotografia quando nacque - perché rende tutto vero. Una logica particolare crea delle tensioni in seno alle minoranze, che possono essere anche positive; ma si deve anche considerare che le culture possono sparire, così come sono scomparse delle lingue in epoca moderna, perché non venivano più parlate o a causa dell'urbanizzazione. Popolazioni arabe, africane, asiatiche, sono scomparse perché è scomparsa la lingua, e non c'è identità senza lingua. D'altro canto ci sono degli aspetti positivi: penso alle immagini giunte dall'altra parte del muro di Berlino prima del 1989, immagini della Germania Ovest evoluta e di successo, che di fatto sono state percepite come uno scacco al regime e che hanno contribuito a creare nella gente della Repubblica Democratica una sete di libertà e di cambiamento. Penso che il problema sia quello di riuscire a produrre immagini che tengano conto della cultura delle popolazioni che le ricevono.

    Il rapporto tra media e democrazia va regolato in qualche modo con delle leggi?

    Il problema oggi non si pone più come si poneva nel XIX secolo, prima della nascita di regimi democratici nel senso pieno del termine, quello cioè delle attuali democrazie cosiddette occidentali. Forse oggi il problema dei media in rapporto alla democrazia è quello del rispetto dei valori ad essa legati, legami che possono essere allentati, in virtù di logiche capitalistiche, per usare una parola che non viene più adoperata tanto spesso. I media, eccezion fatta per il servizio pubblico, ormai obbediscono alle regole di mercato, che sono imposte loro dagli inserzionisti commerciali ai quali tendono ad offrire un mercato di pubblico, a partire dal quale viene stabilito il prezzo degli spazi pubblicitari. Dunque, gli inserzionisti pagano i media che offrono loro un pubblico. La logica è quindi quella di catturare il pubblico e di venderlo ai clienti pubblicitari, per rendere redditizia l'attività.