Torna alle interviste

    Laurie Anderson

    Palermo, 12/11/1999
    Tecnologia per raccontare emozioni

        Intervista

      Laurie Anderson

      Tecnologia per raccontare emozioni

      Sommario

      Le parole e il linguaggio possono essere ingannevoli.(1)
      La tecnologia serve ad un artista come mezzo per narrare storie più avvincenti.(2)
      La domanda che si è posta Laurie Anderson nella sua opera moby Dick è: che succederebbe se le ragioni del comportamento sociale d'un tratto scomparissero e perdessero per l'uomo tutto il loro significato.
      (3)
      Il millenium bug non sarà fonte di grandi problemi.(4)
      Il progetto di un parco a tema dedicato alla musica in collaborazione con Peter Gabriel non si è realizzato
      .(5)
      Lo spettacolo della Anderson è sottotitolato per la miglior comprensione del pubblico che non conosce l'inglese.(6)
      Il Talking Stick strumento digitale in grado di comunicare con il computer.(7)
      L'intervistata si prefigge di disegnare oggetti che allontanino le persone dai computer.(8)
      I computer per lo più utilizzano il linguaggio e codici ancora piuttosto primitivi.
      (9)
      Lo scopo della vita è apprezzare la bellezza della nostra mente e dell'ambiente in cui ci troviamo (10)
      L'intervistata racconta quali sono i progetti futuri (11)

      Intervista

       

      Domanda 1

      Qualche anno fa lei con William Burroughs cantava una canzone intitolata "Language is a virus". Perché il linguaggio è un virus, che cosa voleva dire esattamente e dove ritiene che quel virus ci stia portando.

      Risposta 1

      "Il linguaggio è un virus venuto dallo spazio" era una citazione da William Burroughs. Rimasi colpita dall’idea, perché trovavo strano che fosse proprio uno scrittore a sostenere che il linguaggio è una malattia che si trasmette per via orale. Mi piaceva anche perché è veramente difficile esprimere a parole i propri pensieri. Una delle ragioni per cui mi sono dedicata alle arti visive e musicali è che io amo le parole, ma sono anche convinta che siano parecchio ingannevoli. Naturalmente, quando oggi si dice "virus" si ha sempre l’impressione di parlare di tecnologie, di guai ai sistemi operativi, di "bachi" nell’hard disk e nei sistemi di comunicazione. Come scrittrice lavoro molto con il computer per mettere insieme parole, musica e immagini. Da un lato i computer mi piacciono; dall’altro li trovo estremamente stupidi, perché non comprendono alcune delle cose più importanti del nostro mondo. Una di queste è proprio il fatto che spesso usiamo il linguaggio in vari modi come arma di difesa. Ci sentiamo in grande imbarazzo quando smettiamo di parlare, e ci ritroviamo dinanzi a qualcuno che ci guarda mentre noi guardiamo lui, senza poterci nascondere dietro un flusso continuo di chiacchiere.

      Si scoprono molti aspetti nuovi di una cosa quando si cessa di usarla. Il silenzio, ad esempio, è una realtà che noi esseri umani capiamo perfettamente e che a volte ci fa sentire a disagio, ma tanto per far capire quanto siano stupidi i computer, questi non lo comprendono affatto. Se in un sistema digitale subentra il silenzio, l’apparecchio si spegne e basta: non esiste un silenzio digitale, il sistema o è acceso o è spento. Ma noi uomini sappiamo quante cose succedono quando smettiamo di parlare. Perciò guardo al linguaggio con molto sospetto, e questo è uno dei motivi che mi hanno indotto a mettere in piedi uno spettacolo multimediale incentrato su di un libro.

      Domanda 2

      In che modo tecnologia e tradizione sono reciprocamente legate nella sua arte?

      Risposta 2

      Moby Dick, ovviamente, è nato come libro, e non ha bisogno di diventare uno show multimediale. Questo è un primo punto da tener presente: è un’opera perfettamente godibile di per sé. Al contempo, mi piacciono molte delle idee in esso contenute, le quali a loro volta mi fanno pensare a tante altre cose. Per me, lo scopo principale è raccontare una storia più bella, non mettere in mostra apparecchiature sofisticate o elaborazioni complicatissime. Altrimenti diventa una dimostrazione commerciale, come dire "Ehi, guardate come funziona bene, che bello quando muoviamo questa levetta e si ha quest’effetto!" Sono cose che si vedono in tutti i negozi, perché la tecnologia produce una continua innovazione. Per le avanguardie, ad esempio, la tecnologia sta diventando in un certo qual modo sempre meno interessante; ora si tratta di escogitare nuovi percorsi, nuove avventure. Per quanto mi riguarda, io utilizzo la tecnologia per narrare storie più avvincenti. Per esempio, se a tal fine è necessario alterare elettronicamente il timbro della voce, adotto un apposito espediente; oppure, se mi occorre un’immagine che faccia vagare un po’ la mente, spesso ricorro all’effetto neve. In Moby Dick c’è spesso la neve, con i fiocchi che cadono lentamente, e offrono allo sguardo un supporto ritmico mentre la fantasia vola verso altri luoghi. Qui subentra la dimensione multimediale con l’emissione di un battito sonoro, che magari fa tic-tic-tic, mentre l’immagine fa tac-tac-tac, ma in modo impercettibile, e le parole producono un ritmo ancora diverso. E’ un modo di raccontare una storia a diversi livelli, per gli occhi, per le orecchie e per la mente. E’ così che concepisco l’impiego della tecnologia. Non voglio farne un uso smodato, cerco di resistere alla tentazione di ricorrere a un gran numero di accorgimenti in rapidissima successione. Il mondo va già di per sé troppo veloce, e come artista uno degli obiettivi che mi prefiggo è farlo rallentare almeno un po’.

      Domanda 3

      Crede che le nuove tecnologie consentano all’uomo di vivere al di là del tempo, come lei dice in Moby Dick, e che dall’altra parte del tempo ci sia Dio?

      Risposta 3

      E’ una delle domande che troviamo nel libro di Melville. All’inizio c’è infatti un sacerdote che predica e racconta un sermone. Parla di Giona e la balena, e solleva un problema di coscienza: che fare se, per obbedire a noi stessi, dovessimo disobbedire a Dio? Viene quindi illustrato questo conflitto interiore. Alla fine della predica il sacerdote domanda, a bassa voce: che ne è di un uomo che vive più a lungo del suo Dio? Questo interrogativo mi è parso affascinante, e mi ha fatto pensare. Che succederebbe se le ragioni del nostro comportamento, — la ricchezza, la fama, il compimento di un obiettivo, qualunque esso sia, — d’un tratto scomparissero, e perdessero per noi tutto il loro significato e noi non ce ne curassimo più? Che fare in tal caso? Come continuare a vivere? E’ una questione fondamentale, perché ritengo che quanto più diventiamo dipendenti dalla tecnologia e tutto si muove sempre più velocemente, non rimane molto tempo per riflettere su ciò di cui abbiamo bisogno e sui motivi per cui viviamo. Tutti ci ripetono: Avanti, continua, devi essere un degno rappresentante della fine del XX secolo, e poi del XXI secolo, creati la tua pagina web, procurati una casella di posta elettronica, muoviti in fretta, presto, presto, presto! Compra un nuovo computer, raccogli tutta l’informazione disponibile in Rete, informati. Tutto ciò è esasperante, non dà neppure il tempo di chiedersi se il proprio obiettivo è davvero quello di diventare un buon consumatore, un bravo partecipante all’economia globale, e andare sempre avanti, avanti, avanti. È per questo che siamo al mondo? Indubbiamente dietro a tutto questo c’è un astuto progetto commerciale, una delle trovate più intelligenti degli ultimi tempi. E funziona perché, come tutte le strategie commerciali di successo, il mercato del computer è basato sulla paura, sul timore della gente di rimanere indietro, di non essere più moderni se non si possiede l’ultimo modello, l’ultimo apparecchio, l’ultimo telefonino che serve anche per la posta elettronica e i fax, e via dicendo. Siamo avvinti in una gara per rimanere al passo con la tecnologia. E’ per questo che ho voluto tornare al XIX secolo e a Moby Dick, così da recuperare un po’ di tempo per ascoltare quel che Melville aveva da dire. Melville non rispose mai alla domanda "perché siamo qui?", e per fortuna. Non mi piacciono gli artisti che propinano a tutti le loro soluzioni, perché in realtà gli uomini sono molto diversi l’uno dall’altro.

      Domanda 4

      Cosa pensa del baco del millennio? Ne ha paura?

      Risposta 4

      Il cosiddetto Y2K? Alla mezzanotte io mi troverò in Marocco, perciò cercherò di stare alla larga dai computer. L’unica cosa che mi preoccupa è il controllo del traffico aereo. Non è una buona idea trovarsi a bordo di un aereo in pieno volo in quel momento. Ma non credo che ci sarà il caos, anzi francamente credo che non succederà granché.

      Domanda 5

      Ci può parlare del suo progetto di collaborazione con Peter Gabriel?

      Risposta 5

      Lei parla del Real World Park! Dunque, avevamo pensato di costruire un grande parco a tema basato sulla musica, un’area in cui realizzare tanti progetti che mettessero insieme tecnologia, musica e immagini. Era molto divertente parlarne e sognarlo, e alla fine ci siamo decisi a costruirlo. Abbiamo acquistato un appezzamento di terra vicino Barcellona: ma poi, fortunamente, non se n’è fatto nulla. Anzitutto, sarebbe costato milioni e milioni di dollari, il che era un problema non da poco. Inoltre, sia Peter che io siamo interessati alla sperimentazione: una volta costruito un parco, sarebbe stato difficile reinventarlo continuamente. Noi almeno non siamo stati capaci di immaginare un luogo che reinventasse se stesso in tempi rapidi. E così stiamo utilizzando in altro modo molte delle idee che volevamo realizzare nel parco, e abbiamo desistito dal progetto di costruzione di quello spazio, il che è un bene, suppongo. Certe cose non vanno costruite.

      Domanda 6

      Nei suoi spettacoli, generalmente, lei traduce i testi nella lingua del paese in cui si trova. Questo serve ad avvicinarsi di più al pubblico?

      Risposta 6

      Credo che Melville scrivesse in un inglese molto particolare, un po’ arcaico, difficile da ascoltare persino per un pubblico americano, in quanto a volte i ritmi del racconto sono diversissimi. Solo il 10% del testo presentato è autentico, il resto è stato riscritto da me, anche se spesso ho cercato di imitare il suo stile. Perciò il linguaggio è un po’ fuori dall’ordinario, ma giacché il pubblico si trova dinanzi questo apparecchio e vengono usati filtri elettronici, è sempre facile sentire esattamente le parole, e inoltre usiamo i sottotitoli. Del resto credo che gli spettatori di qui possano capire meglio degli spettatori inglesi, proprio perché vedono scritte le parole, e in genere ne sanno di più.

      Domanda 7

      Può parlarci del Talking Stick?

      Risposta 7

      Il Talking Stick è uno strumento digitale lungo circa 180 cm simile a un tubo, è dotato di bottoncini e può comunicare senza fili con un gran numero di postazioni di computer. Può archiviare qualunque suono venga prodotto nella realtà e poi riprodurlo in quello stesso modo. Ora, la maggioranza degli strumenti digitali hanno come base la tastiera, e funzionano pigiando sui vari tasti. Io invece volevo qualcosa di più concreto, che si tenga in mano, un po’ come il violino o il sassofono, i due strumenti che prediligo. Inoltre, quando si va a un concerto, trovo noioso stare a guardare qualcuno che siede a una tastiera, è come osservare una persona che stira, non è per nulla interessante. Ma ottenere quel tipo di fisicità è difficile.

      Domanda 8

      E’ uno degli strumenti che lei usa nello spettacolo?

      Risposta 8

      Sì, uno di quelli. Ovviamente mi piace molto la sua forma, simile a una fiocina, o a un telescopio. È tante cose messe insieme. Io mi prefiggo di disegnare oggetti che allontanino la gente dai computer; se prendiamo tutti quei piccoli apparecchi che vengono prodotti oggi per facilitarci la vita, dai mini-computer ai motori, ai supporti fisici, noteremo che molti di essi somigliano a protesi per paraplegici. Questo ha un senso ben preciso. Vuol dire che la gente lavora utilizzando sempre di meno il proprio corpo, e perciò devono ricorrere alle palestre e agli esercizi di ginnastica. Io invece vorrei realizzare sistemi intelligenti che richiedano un maggiore impegno fisico, perché non sopporto l’idea di stare tutto il giorno a fissare un piccolo schermo. E’ questo che succede quando lavoro al computer: lo uso per fare musica, realizzare immagini, elaborare testi, e per comunicare con il resto del mondo. Ora non ne posso più di quel rettangolino; tutta la mia vita, a pensarci bene, viene attualmente risucchiata all’interno di quella scatoletta. Accendo il computer e, bang!, mi annuncia: "Questo è l’hard disk di Laurie", e io penso "Oh, no! Sono in trappola!", e all’improvviso mi ritrovo lì dentro, e ci resto tutto il giorno. E’ orribile! Anche per questo ho creato il Talking Stick e altri apparecchi più manipolabili fisicamente del computer. Avrei potuto confezionare Moby Dick in forma di DVD, il suono sarebbe stato fantastico, e così la qualità dell’immagine. Tutti avrebbero potuto infilarlo nelle loro scatolette e godersi lo spettacolo. Invece, ho scelto una via molto più complicata e disordinata quale la tridimensionalità teatrale, perché a me piace guardare le altre persone e interagire con il pubblico, e questa situazione mi si addice di più. Vivere in un mondo elettronico non è per me un sogno, bensì un incubo. Vuol dire trovarsi in una dimensione in cui tutti noi comunichiamo continuamente e fissiamo per ore e ore il computer. Tutto ciò per me è assolutamente orrendo.

      Domanda 9

      Lei usa la tecnologia in un modo nuovo, del tutto naturale. Inoltre, in questo spettacolo ha adottato numerosi accorgimenti tecnologici, ma noi non li vediamo neppure.

      Risposta 9

      Già. Voglio che spariscano, sono fermamente intenzionata a tenere sotto controllo la tecnologia, e a impedire che sia la tecnologia a tenere sotto controllo me. Deve essere libera e aperta, come gli esseri umani, non stupida, rigida e logica come i computer. Anche questi ultimi un giorno sogneranno e allora saranno molto migliori, naturalmente, ma ci vorrà molto, molto tempo prima che diventino sensibili quanto gli uomini. Noi siamo estremamente complicati e raffinati, siamo capaci di capire tante cose con un’occhiata, con un’intuizione immediata, usando le orecchie e gli occhi. I computer funzionano in minima parte in questo modo e per lo più utilizzano il linguaggio e codici ancora piuttosto primitivi.

      Domanda 10

      Nello spettacolo una parte del testo di Melville è stata eliminata, dove si diceva che Dio verrà e in qualche modo risolverà il problema uccidendo il serpente. Questa volta lei non ha voluto dare neppure questa prospettiva. Il genere umano si sta forse dirigendo verso una destinazione sconosciuta?

      Risposta 10

      Il libro di Melville ha per argomento la ricerca di qualcosa che non si comprende, qualcosa di misterioso che diventa tanto grande che fa paura, ma al contempo è meraviglioso. E’ questo che rappresenta la balena bianca; Melville ne fa una metafora di tante cose. Perciò, quando il lettore entra nel libro, capisce subito che l’autore vuole qualcosa, che è in cerca di un’entità che poco a poco diviene riconoscibile anche per lui. È un interrogativo: "A cosa si aspira in questa vita? Cos’è che spinge a muoversi? Qualunque cosa sia, devo averla!" Credo che in fin dei conti Melville non dica mai cos’è che sta cercando, ma il romanzo di per sé è una risposta a questa domanda, ed è una risposta molto semplice: la bellezza. Il suo è un libro bellissimo, pieno di splendide descrizioni del cielo notturno, degli orsi polari e di personaggi di ogni tipo, favolosi e logici, e del gigantesco oceano e delle sensazioni che si provano a navigare in solitudine. Pagina dopo pagina, troviamo descrizioni del nostro mondo che ne mettono in risalto la bellezza. Perciò, se ci chiediamo qual è lo scopo della vita, che cosa vogliamo, in definitiva credo che la risposta non debba contenere nulla di metafisico, ma un’indicazione semplice e sensuale, ossia che dobbiamo apprezzare la bellezza della nostra mente e dell’ambiente in cui ci troviamo, e apprezzarla davvero, non attraversarla soltanto.

      Domanda 11

      Quali sono i suoi progetti futuri?

      Risposta 11

      Uno dei miei prossimi impegni riguarderà i germi. Trovo interessante la storia dei germi e vorrei approfondire i motivi per cui la gente, quando vennero scoperti, reagì con diffidenza e sospetto — il che ci riporta in parte a "Language is a virus". Si disse infatti, a quel tempo, "Noi non li vediamo, ma loro ci fanno ammalare". Cento anni fa ci volle una grande campagna di informazione per convincere la gente che minuscoli animali invisibili potevano generare gravi malattie. La cosa interessante è che diverse persone reagirono in diversi modi; quelli che tendevano a credere a entità invisibili e a immaginare gli angeli o altre cose del genere, non ebbero difficoltà a credere anche ai germi, e cominciarono a prendere una serie di provvedimenti. Ad ogni modo, fra gli altri progetti c’è la composizione di un pezzo orchestrale. Per questo sono estremamente lieta di trovarmi in questo albergo dove si svolge l’intervista, perché trovo numerosi elementi di grandiosità e romanticismo che potrò inserire in questo brano. Lo sto scrivendo, infatti, nella mia stanza, al mio computer, e questo è il luogo in cui venne composto il Parsifal. Si sente la presenza di Wagner. È Magnifico! E sa una cosa, ci si dimentica sempre che non è passato poi molto tempo da quando Wagner venne qui a lavorare. Tutto questo mi ispira, e mi guarderò attorno in cerca del suo spirito.