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    Marvin Minsky

    Rimini, 18/10/1999
    Le frontiere dell'intelligenza artificiale
    • L’intervistato comincia con una definizione dell’intelligenza artificiale (1), ed una breve storia della medesima, (2) delineando le differenza tra cognitivismo e intelligenza artificiale (3), e le relazioni tra intelligenza artificiale e filosofia della scienza (4). Il connettivismo non è una premessa all’intelligenza artificiale ma un lavoro che prepara altri processi. (5)

    • Non esiste un unica struttura centralizzata del cervello, ma una serie di processi differenti che interagiscono tra loro. (6) L’intervistato esprime la sua opinione a riguardo della teoria dell’organizzazione a strati dell’intelligenza (7), e sull’approccio connettivista. (8)

    • Non è importante definire l’intelligenza  come nel caso del test di Turing. (9)

    •  Non si è ancora riusciti a costruire una macchina che ragioni come un bambino di 3-4 anni. (10)

    • Il linguaggio naturale si muove molto lentamente, poiché ci si è dedicati poco alla rappresentazione delle idee associate alle parole. (11)

    • L’intervistato spiega il concetto di “frame”. (12)

    • In futuro ci sarà una stretta connessione fra neurologia e intelligenza artificiale.(13)

    • Gli uomini hanno una memoria ridotta, veloce e a breve termine, una intermedia attiva in cui si conservano descrizioni di ciò a cui si sta pensando, e una a lungo termine, che richiede a volte un’ora o due per immagazzinare informazioni. (14)

    • L’intervistato non crede ci siano limiti nell’approccio computazionale allo studio dell’intelligenza artificiale. (15) È probabile che i computer nel futuro sappiano pensare, malgrado ciò che ne possa pensare l’uomo della strada. (16) (17)

    • L’intervistato esprime la sua opinione sul problema della “coscienza”. (18)

    • La realtà esterna si può apprendere soltanto in due modi: uno è l’esperienza diretta, l’altro un messaggio astratto e simbolico inerente la realtà fornito da una terza persona. (19)

    • Le realizzazioni create fino adesso non sono molto utili e interessanti lo saranno più quelle create nel futuro. (20)

    • L’intelligenza artificiale è un argomento che ha sempre interessato Minsky sin da bambino. (21)


    INTERVISTA:

    Domanda 1

    Vorrei cominciare col chiederle di definire l’intelligenza artificiale e l’ambito degli studi che se ne occupano.

     

    Risposta

    Premesso che non credo alle definizioni, direi che l’intelligenza artificiale è rappresentata da una gran quantità di persone che cercano di realizzare macchine più intelligenti e di formulare teorie sul funzionamento della mente umana. Si avvicina molto alla psicologia, solo che impiega i computer per la sperimentazione.

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    Domanda 2

    Lei è senza dubbio un’autorità in fatto di storia dell’intelligenza artificiale; può farci una ricostruzione del suo sviluppo e dei suoi protagonisti?

     

    Risposta

    È una storia lunga. La prima teoria sul funzionamento della mente comparve nel 1895 con il libro di Freud sui sogni e il successivo studio sui motti di spirito e il pensiero. Poi non è successo nulla di importante fino agli anni ’40, con il movimento cibernetico, e le prime macchine automatiche. Verso il 1950 alcuni ricercatori, fra cui Alan Turing, tentarono di immaginare una macchina pensante. A quel tempo ero giovane, ma cercai anch’io di costruire una macchina in grado di apprendere. Fu soltanto verso il 1960 con l'avvento del computer che iniziarono i grandi esperimenti.

     

    Domanda 3

    Che rapporto c’è fra l’intelligenza artificiale e il cognitivismo? La prima fa parte del secondo, oppure si sviluppa e sussiste autonomamente?

     

    Risposta 

    Non credo ci sia un confine ben demarcato. Ad ogni modo, credo che i moderni studi sulla cognizione non abbiano cominciato a evolversi che dopo l’avvento dell’intelligenza artificiale, visto che solo negli anni ‘50 e primi ‘60 gli specialisti di intelligenza artificiale hanno cominciato a inventare teorie capaci di configurare la conoscenza all’interno di una macchina, a creare procedure che svolgano tipi diversi di ragionamento, e a realizzare macchine ragionanti per analogia. A mio modo di vedere, le scienze cognitive cominciarono a svilupparsi in quello stesso momento e sugli stessi presupposti. Non c’è dunque differenza fra i due ambiti, a parte il fatto che l’intelligenza artificiale contempla qualunque tipologia di macchina pensante, mentre il cognitivismo si concentra piuttosto sul funzionamento del pensiero umano. L’intelligenza artificiale è perciò un campo più vasto.

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    Domanda 4

    Molti filosofi si sono interessati agli studi sull’intelligenza artificiale negli ultimi 30 anni. Che relazione c’è fra intelligenza artificiale e filosofia della mente?

     

    Risposta

    Generalmente la filosofia consiste in teorie che non possono venir confermate sperimentalmente. La mia sensazione è che essa debba perciò precedere la scienza. Man mano che l’intelligenza artificiale si sviluppa, alcune questioni vengono desunte dalla speculazione filosofica, mentre la filosofia da parte sua mette a fuoco sempre nuove problematiche. D’altra parte, molte idee valide della filosofia moderna provengono dalla scienza del computer e viceversa.

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    Domanda 5

    Ci può spiegare la differenza fra l’approccio simbolico all’intelligenza artificiale e quello connettivista?

     

    Risposta

    Io non li considererei come approcci, ma piuttosto come questioni situate a livelli diversi. Per elaborare stimoli semplici inviati da occhi o orecchie, è necessario analizzare numerosi piccoli segnali: i meccanismi connettivi sono a volte adatti a tale scopo. Allo stesso modo, si possono costruire macchine con tante piccole parti che interagiscono per riconoscere uno schema. D’altra parte occorre dare di tale schema una qualche descrizione, così che lo si possa manipolare, ed è qui che subentrano i processi simbolici. Qualunque sistema sia in relazione con il mondo, ha bisogno di un livello connettivistico di elaborazioni parallele estremamente rapide e semplici, cui fa seguito qualcosa di più simile al pensiero e al ragionamento, dove si fa uso di rappresentazioni simboliche. È una linea continua, non ci sono demarcazioni precise. Non considero il connettivismo come una premessa dell’intelligenza artificiale, ma come un lavoro preparatorio ad altri processi. Infatti, per ragionare, pensare e comprendere, servono rappresentazioni minori che si possano ristrutturare e combinare in vari modi.

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    Domanda 6

    A cosa allude quando parla di società della mente?

     

    Risposta

    È il titolo di un libro. L’idea che vi sottende è che per ottenere un sistema reattivo, pieno di risorse e intelligente, bisogna combinare insieme diversi metodi, i quali devono svilupparsi separatamente e poi interagire fra loro. La mia concezione del funzionamento del pensiero è perciò che esistono tanti processi differenti, dei quali alcuni sono in grado di comunicare con gli altri, mentre non c’è un’unica struttura centrale responsabile del pensiero. Questo principio vale per qualunque macchina e per qualunque valido sistema. Il cervello, però, non è come la società umana, perché in quest’ultima gli individui sono tutti abbastanza simili fra loro, e ognuno può svolgere più o meno gli stessi compiti di un altro. Nel cervello, invece, c’è una regione che sa soltanto riconoscere i colori, un’altra specializzata nella manipolazione di sequenze e strutture come la grammatica. Ci sono sistemi per elaborare piani a largo raggio, e sistemi per imparare a raggiungere determinati obiettivi. Nella mente coesistono insomma diversi specialisti.

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    Domanda 7

    Cosa pensa dell’organizzazione a strati dell’intelligenza?

     

    Risposta

    Questa credo sia una teoria per bambini, ormai alquanto datata. Sono state sviluppate idee molto valide a proposito dei sistemi di organizzazione, nonché del modo di risolvere problemi senza ricorrere alle rappresentazioni simboliche. Non credo però sia un percorso fruttuoso.

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    Domanda 8

    Qual è attualmente la sua posizione rispetto all’approccio connettivista?

     

    Risposta

    Il connettivismo è utile per ricostruire modelli e altri elementi simili. Ma se il numero di connessioni è eccessivo, il sistema smette di funzionare. Bisogna perciò imparare a limitare l’uso di schemi numerici. Credo si possa dire che il connettivismo sia un sistema che rappresenta gli oggetti tramite numeri, coefficienti e via dicendo. Alcune cose sono effettivamente rappresentabili in tal modo, ma la maggior parte non sono poi utilizzabili per finalità intellettuali. È perciò solo uno dei vari metodi necessari per ricostruire la fisionomia del cervello. Non è un’alternativa, bensì uno dei componenti.

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    Domanda 9

    Cosa pensa del test di Turing 15 anni dopo? Crede sia ancora il modo migliore per identificare e definire l’intelligenza?

     

    Risposta

    No, il test di Turing è soltanto una riflessione del suo ideatore sul fatto che solitamente si usa la parola “intelligenza” per indicare realtà molto diverse fra loro. Turing analizza le condizioni di un essere umano che tratti una macchina come un suo simile. Ma non credo sia un aspetto rilevante; si possono ottenere macchine estremamente intelligenti ma che non hanno nulla in comune con le persone. Non è poi così importante definire l’intelligenza, non si dovrebbero cercare definizioni senza prima conoscerne l’oggetto per ciò che è. Così si perde solo tempo; se ne può parlare e discutere, ma una definizione solitamente segna la fine di un cammino, non l’inizio, è come la morte.

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    Domanda 10

    Ci può parlare delle questioni principali affrontate dagli studi sull’intelligenza artificiale?

     

    Risposta

    C’è stato un progresso nella ricognizione di elementi di natura fisica, ma ritengo che il problema centrale sia ora costruire una macchina capace di ragionare come un qualunque bambino di 2 o 3 o 4 anni. A mio avviso questa è la difficoltà maggiore perché non riusciremo a realizzare dispositivi che capiscano le storie raccontate o il linguaggio fino a quando non avremo insegnato loro il modo di comprendere le parole e acquisire una conoscenza generale della realtà. Tutti gli altri settori dell’intelligenza artificiale sono adeguatamente sviluppati. Possiamo costruire macchine in grado di pianificare e risolvere diversi tipi di problemi, ma siamo ancora lontani dal riprodurre il ragionamento ordinario e la comprensione degli oggetti esterni per analogia, e tutte quelle attività di cui ogni bambino è capace.

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    Domanda 11

    E cosa pensa del linguaggio naturale? Come si rapporta agli studi sull’intelligenza artificiale?

     

    Risposta

    È esattamente lo stesso problema. Noi conosciamo molte più regole di grammatica di quante siano necessarie, ma non sappiamo come rappresentare l’effetto di una parola. Il linguaggio naturale non ha progredito granché dalla fine degli anni ’70 o dai primi anni ’80, perché ci si è dedicati ben poco alla rappresentazione delle idee associate alle parole. Il linguaggio naturale, pertanto, si muove molto lentamente. Molti tentano di aggirare l’ostacolo ricorrendo alle statistiche e all’approccio connettivista, ma non funziona. C’è bisogno di approfondire la comprensione di tutte, o almeno di gran parte delle numerose funzioni proprie di ciascuna parola; occorre compilare una sorta di programma-dizionario che sappia come utilizzare i singoli lessemi, e probabilmente a tale scopo si dovrà ricorrere alla semantica. Non ci serve la sintassi, ma nuove idee di semantica e semiotica. Pochissimi ci stanno lavorando, e tutti gli altri aspettano.

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    Domanda 12

    Lei è il padre del concetto di frame. In che cosa consiste, e perché ha svolto un ruolo fondamentale nella storia dell’intelligenza artificiale?

     

    Risposta

    Se si vuole una macchina che rifletta su determinati oggetti, bisogna che abbia modo di rappresentarli. Se a tale scopo si impiegano soltanto dei simboli collegati fra loro in maniera disordinata, ogni volta che si rappresenta un dato inedito sarà necessario un nuovo tipo di programma che lo interpreti. È perciò indispensabile, credo, sia per il cervello che per i computer, sviluppare modi diversi di rappresentare la conoscenza, e disporre di un certo numero di programmi o processi che siano in grado di selezionare due elementi di conoscenza e “cucinarli” per ottenerne un terzo. Questo è ciò che chiamiamo ragionamento o inferenza. Bisogna disporre di un sistema funzionale a questo scopo. Per i calcolatori si adottano generalmente delle specie di banche dati gestite secondo il metodo connettivista, ossia con collegamenti fra le varie informazioni. Per acquisire abilità in un particolare ambito, è necessario incrementare i collegamenti cognitivi, e realizzare un nucleo dalla struttura estremamente articolata e al contempo molto simile alle altre, così che si possa imparare a usarla. Il frame è un metodo abbastanza semplice di rappresentare le caratteristiche di un oggetto. Se si collegano insieme diversi frame, sarà possibile sviluppare modalità di sistema per mutare punto di osservazione, guardare a un oggetto da una certa prospettiva e poi passare a un’altra inquadratura della stessa famiglia cambiando punto di osservazione. È perciò solo un passo avanti verso una migliore organizzazione della conoscenza. Ci sono almeno una decina di altri modi di organizzazione messi a punto da chi si occupa di computer science, basati sulla scrittura, sulle reti semantiche, sul linguaggio naturale, ovviamente, e su una sorta di immagini. Credo che uno dei problemi centrali che riguardano l’intelligenza artificiale sia riuscire a realizzare un ragionamento impiegando diversi tipi di rappresentazione contemporaneamente. La mente umana, invece, è capace di passare continuamente da un modo di rappresentazione all’altro.

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    Domanda 13

    Che rapporto c’è fra intelligenza artificiale e neurologia? La configurazione fisiologica del cervello ha un ruolo essenziale nello studio dell’intelligenza?

     

    Risposta

    Non c’è dubbio che finiranno per essere strettamente legate l’una all’altra, perché quando sapremo come funzionano le diverse parti del cervello, potremo utilizzarle per costruire macchine intelligenti. Viceversa, se sappiamo costruire macchine intelligenti, possiamo verificare se anche il cervello utilizzi gli stessi meccanismi. In futuro ci sarà pertanto una stretta connessione fra neurologia e intelligenza artificiale. Attualmente sono ambiti piuttosto separati, poiché i neurologi conoscono benissimo come funzionano determinate cellule nervose, ma non hanno le idee chiare. Gli altri, invece, sanno quale sia la funzione psicologica di vaste aree cerebrali, ma non conoscono il modo in cui queste funzionano. C’è troppa distanza fra scienziati, e manca uno scambio di informazioni. Per esempio, nell’intelligenza artificiale si configurano diversi tipi di memoria. Può darsi che diverse parti del cervello usino diverse rappresentazioni e procedure di apprendimento, ma nessuno ha informazioni approfondite sulla fisiologia dell’apprendimento ad alto livello.

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    Domanda 14

    Lei ha accennato alla memoria. Può parlarci ancora degli studi sull’intelligenza artificiale e la memoria umana?

     

    Risposta

    Conosciamo molti tipi diversi di memoria, e alcuni sono individuati dal loro contenuto. La computer science ha realizzato numerosi sistemi per rappresentare l’informazione, ma nessuno ha nozioni precise sul modo in cui ciò avvenga nel cervello. Ad esempio, in un moderno computer esistono solitamente diverse memorie, ciascuna con una propria velocità di funzionamento; la più estesa è la memoria lenta, costituita da nastri magnetici o CD-ROM o supporti simili, che contengono un grandissimo numero di dati e richiedono spesso molto tempo per renderli accessibili. Poi c’è la RAM, una memoria molto più veloce; quasi tutti i computer di oggi hanno poi la cosiddetta “cache”, una memoria ridotta ed estremamente veloce destinata a ricevere depositi temporanei, a evitare perdite di tempo e a riversare dati nella memoria a lungo termine. A quanto pare, gli uomini hanno una memoria ridotta, veloce e a breve termine, ne hanno una intermedia attiva in cui si conservano descrizioni di ciò a cui si sta pensando, e infine una a lungo termine, che richiede a volte un’ora o due per immagazzinare informazioni, se non un giorno intero. Ma nessuno sa come tutto questo funzioni. Io ho la sensazione che in certe zone del cervello ci sia qualcosa di simile alla memoria “cache” del computer, che conserva dati temporaneamente, mentre un altro processo li trascrive nella memoria a lungo termine. Questo è un caso in cui la scienza del computer è più avanti rispetto alla neurologia cerebrale. Il problema è far capire ai neurologi che studiano il cervello cosa siano la memoria “cache” e la memoria attiva, e vedere se riescono a scoprire in che modo il cervello svolga quelle funzioni. Può darsi che il cervello sia molto simile al computer, oppure che funzioni in modo del tutto differente. Prima però serve una teoria, e poi bisogna verificare se corrisponde al vero.

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    Domanda 15

    Crede ci siano limiti nell’approccio computazionale allo studio dell’intelligenza artificiale?

     

    Risposta

    No, non vedo limiti rilevanti anche se alcuni filosofi ritengono che i computer presentino limiti che non compaiono negli esseri umani, ma credo che si sbaglino, che la loro filosofia sia mal formulata. Ad esempio, Gödel e Lucas hanno affermato che dal momento che le macchine sono sistemi coerenti di logica formale, non saranno mai in grado di dedurre certe verità. Questo credo sia errato. In realtà non c’è motivo perché un computer debba basarsi su una logica coerente. Alla gente piace molto credere alle contraddizioni, e quando arrivano a un paradosso, e lo riconoscono per tale, se lo fissano in mente, ed è come smantellare un programma. Così capita di sentire persone rispettabilissime affermare che i computer sono logicamente incompleti e non sanno risolvere molti problemi. Ma non c’è ragione per pensare che i computer siano poi così diversi dal cervello, il quale ha anch’esso i suoi limiti matematici. A mio avviso, tutto questo è irrilevante e non fa differenza che si tratti di un calcolatore o di un essere umano, ma piuttosto ha a che fare con la matematica e l’irrisolvibilità. I computer non hanno limiti particolari in quanto contrapposti agli animali. È importante, secondo me, tenere a mente che c’è stata un’evoluzione, la quale ha riguardato anche il cervello, ma noi non viviamo un momento speciale della storia. Nulla fa pensare che gli uomini rappresentino il limite ultimo di alcunché, tanto meno dei computer. Col tempo possono sorgere nuovi tipi di intelligenza, e noi non siamo certo un buon esempio di esseri perfetti. Siamo soltanto una fase del divenire storico.

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    Domanda 16

    Perché crede che la gente sia convinta che i computer non saranno mai in grado di pensare?

     

    Risposta

    Io mi attengo sempre alla seguente regola: se molte persone credono a una determinata cosa, probabilmente questa è sbagliata, è soltanto un mito che si diffonde. Perciò, l’idea che le macchine non riusciranno mai a fare una certa cosa è con ogni probabilità una sciocca diceria trasmessa da una persona all’altra. Non ha importanza quale ne sia la fonte: una volta messa in circolo la nozione vive di vita propria, sebbene sia infondata. Agli uomini piace pensare di essere migliori di ogni altra cosa. È ben vero che fino a poco tempo fa le macchine di cui disponevamo erano abbastanza stupide: un aspirapolvere, un tostapane o un’automobile non possono pensare troppo bene, evidentemente, e così l’uomo della strada finisce per generalizzare e attribuire a tutte le macchine l’incapacità di ragionare bene. Ma l’uomo della strada sbaglia sempre, mentre dovrebbe affidarsi agli scienziati per conoscere la verità.

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    Domanda 17

    Ieri lei ha detto di aver speranza di arrivare un giorno a vedere macchine intelligenti. Lei è dunque ottimista, ci crede davvero?

     

    Risposta 17

    Certo, perché no? Pensare che le macchine si fermeranno al punto in cui sono adesso è arbitrario, e non ce n’è ragione. Non parlerei di ottimismo o pessimismo; ritengo che le persone che affermano di conoscere un limite invalicabile non ragionino. È questione di intelligenza o stupidità, non di ottimismo o pessimismo. La maggioranza delle persone pensa che qualunque cosa debba necessariamente avere un limite.

    Credo sia importante che i giovani si rendano conto che quando gli osservatori considerano l’intelligenza artificiale, per lo più tendono a fare classificazioni in base ad approcci o mode prevalenti. Così si è parlato di connettivismo, di logica, di algoritmi genetici e via discorrendo, come se fossero modi separati e indipendenti di realizzare macchine pensanti. È bene che le nuove generazioni comprendano la situazione in cui siamo oggi: esistono 200.000 o 300.000 ricercatori impegnati in quel ramo della computer science chiamato intelligenza artificiale, e di questi 50.000 circa tentano di fare in modo che le reti connettivistiche riconoscano determinati modelli. Ciò è utile a decifrare il suono di una parola o a identificare una bottiglia di Coca Cola difettosa sul nastro scorrevole. Il metodo cognitivo proprio della rete nervosa è ottimo per riconoscere modelli, ma funziona malissimo se vogliamo trovare il verbo in una frase perché tale rete non conosce la sintassi, non è adatta a procedimenti complessi. Ci sono poi all’incirca altre 50.000 persone che studiano gli algoritmi genetici quali sistemi di soluzione di problemi. In alcuni casi essi funzionano a meraviglia, in altri non producono alcun risultato. Altri 50.000 cercano di rappresentare la conoscenza in termini di logica, e ricorrono al procedimento logico classico per risolvere problemi per via deduttiva. Anche in questo caso, tale metodo è applicabile a certi casi, ma per lo più non funziona, perché credo che nella vita reale i problemi vadano affrontati in base all’analogia, non alla logica. E così via. In complesso, dunque, ci sono 50.000 studiosi impegnati in ciascuno di questi settori oggi tanto popolari; per quanto ne so, invece, soltanto sei persone si stanno occupando con profitto del meccanismo del ragionamento comune, vale a dire di come comporre tutte queste diverse rappresentazioni e ragionare per analogia all’interno di un unico sistema. Il vero problema dell’intelligenza artificiale sta nel fatto che moltissimi di noi sono come pecore che vanno appresso al gregge e a chi li conduce. Si impongono regole del tipo: “Sono un connettivista, e non userò mai i simboli”, oppure: “Sono un logico, e non userò mai coefficienti numerici”. Perciò, sebbene le persone attive in questo campo siano invero numerose, quasi tutte hanno l’una o l’altra “malattia”. È come una città in preda a sei epidemie. Questo è ciò che direi a un giovane: se guardi alla scuola connettivista, ci troverai 50.000 ricercatori; nei prossimi dieci anni si faranno probabilmente dieci scoperte importanti, il che vuol dire che se entrerai in questo ramo avrai una possibilità su 5.000 di fare carriera e ottenere risultati di rilievo, mentre in 4.999 casi su 5.000 alla fine il tuo lavoro non sarà servito a nulla. Ugualmente, nel campo degli algoritmi genetici, nei prossimi dieci anni ci saranno all’incirca una decina di innovazioni interessanti. Il connettivismo, si potrebbe dire, è meraviglioso, farà dieci scoperte in una sola decade, e lo stesso vale per gli algoritmi genetici, la logica, eccetera. Ma se ci si dedica al ragionamento comune, che è un settore nuovo e poco affollato, in dieci anni ci potranno essere trenta scoperte, e ci lavorano solo sei persone: ognuna di loro farà centro cinque volte e il suo contributo sarà fondamentale. Perciò, studenti e ragazzi dovrebbero capire che più un’area di studi è affollata, meno è opportuno dedicarcisi. Mi sorprende sempre notare, ogni volta che parlo agli studenti, come nessuno di loro abbia compreso l’economia della ricerca, il cui principio basilare è il seguente: se sei giovane, non devi occuparti di argomenti largamente diffusi.

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    Domanda 18

    Parliamo ora di coscienza. Come giudica l’opinione di molti, secondo cui il computer non può pensare perché non ha una coscienza?

     

    Risposta 18

    Molti pensano che la coscienza sia qualcosa di talmente diverso da tutto il resto che non la si possa spiegare. Ma quando ci si trova dinanzi a un mistero e non si riesce a spiegarlo, le ragioni possono essere diverse. Un bambino dirà che quella è una cosa completamente differente, e infatti la prima cosa che molti bambini fanno è distinguere tra esseri animati e oggetti inanimati. Fra le prime parole che imparano, ce n’è solitamente una che indica sia cani che gatti e uccelli, ed è diversa da bambino a bambino non esistendo uno standard nella loro lingua. Questo avviene quando si ha a disposizione soltanto una parola alla volta. Che senso ha per il bambino questa distinzione? Secondo me, significa che si è reso conto che esistono oggetti come questo, che non fanno nulla se non li si sospinge, e dunque sono inanimati, morti. Poi ci sono oggetti come gli uccellini, che se ne stanno lì e all’improvviso volano via ed infine le persone. La differenza è enorme. Anche se non esistono termini nel nostro linguaggio per indicarla, il bambino ne inventerà uno nuovo, perché capisce che non serve a nulla considerare l’uccellino come un oggetto fisico: tutto verrebbe falsato. Ad esempio, in fisica è nozione comune che si possa trascinare un oggetto mediante una cordicella, ma non spingerlo. Nella realtà sociale, si può lasciare che una persona venga a dirci una parola, ma se la si forza si otterrà soltanto un rifiuto. Le leggi della fisica e delle relazioni sociali sono dunque diverse a seconda che si tratti di soggetti vivi o morti? Gli scienziati hanno creduto in questo principio fino al 1850, quando Luigi Pasteur e altri cominciarono a comprendere che gli esseri viventi non sono poi tanto diversi dalle cose inanimate. Sono solo più complicati e sottostanno a un maggior numero di processi. Pasteur scoprì che negli organismi viventi la chimica funziona sempre allo stesso modo. Intorno al 1900 si arrivò a stabilire che buona parte del comportamento di una persona dipende da centri di stimolazione situati nel cervello. Tra il 1950 e il 1960 si chiarì il grande mistero: si diceva che la vita non si può spiegare, che una macchina non potrà mai riprodursi da sé. Ma dopo aver studiato il DNA, si è compreso che esso è un codice che regola una sequenza di proteine che poi si trasforma in RNA, e che c’è un agente, il ribosoma, il quale legge l’RNA e sintetizza le proteine. Oggi, nel 2000, nessun biologo sosterrebbe che esiste una cosa chiamata vita. La parola “vita” è morta, perché sappiamo che gli esseri viventi sono solo macchine estremamente complesse. Questa è la lezione della scienza. Se qualcuno afferma che una macchina non può essere cosciente e non fa parte del mondo, questo qualcuno è rimasto a 150 anni fa. Se la maggioranza delle persone, compresi i filosofi, esclude che una macchina possa essere cosciente, ciò dipende dal fatto che costoro non possiedono una teoria sul funzionamento della coscienza. Alcuni pensano: “Non riesco a immaginare come la coscienza funzioni, e siccome sono molto intelligente nessun altro ci può riuscire.” Io invece ho una teoria su come funzioni la coscienza: quando si considera la coscienza bisogna tener conto di centinaia di aspetti diversi. Uno di questi è dato dalla capacità di ricordare ciò che stavo pensando un minuto fa. Ma la cosa più sorprendente della coscienza è la sua incredibile stupidità. Se io mi chiedo: “Come si muove un braccio?”, la mia coscienza non avrà niente da dire. Dunque, non sono cosciente di come si muove un braccio. Se domando: “Perché hai detto ‘parecchi’ invece di ‘molti’? Come scegli le parole? Ne sei cosciente?” La risposta è No. Non ne ho idea. La coscienza ci racconta soltanto storie inesatte relative a ciò che stavamo pensando in precedenza. Occorre perciò chiarire due cose: la prima, la coscienza è costituita da venti aspetti diversi vagamente collegati fra loro, la seconda è che noi abbiamo racchiuso questi aspetti in un’unica parola, mentre è il termine “coscienza” che non dovrebbe esistere. Bisognerebbe distinguere fra “reattivo”, “riflessivo”, e “autoriflessivo”, e parlare di cancellazione dei contenuti della memoria a breve termine nel momento in cui si inseriscono nuovi dati. Nel mio libro analizzo venti diversi gruppi di processi per i quali si usa generalmente un’unica parola. Per questo non la si comprende: è vuota.

    Un altro aspetto della questione è che molti si chiedono: “Come può una macchina ‘sapere’ quel che esiste nel mondo?” Così, quando parlano di “coscienza”, immaginano qualcosa di magico dentro di sé che si collega direttamente al mondo. In realtà ci sono una ventina di strati diversi. Non bisognerebbe domandarsi come funziona la coscienza, ma in che modo il cervello costruisce una rappresentazione di se stesso, in che modo il processo successivo confronta le diverse rappresentazioni e identifica le differenze. Quando si divide la coscienza in venti sezioni, già si comincia a comprenderla e a porre le domande giuste.

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    Domanda 19

    Qual è, nell’ambito degli studi sull’intelligenza, il ruolo dei rapporti fisico-percettivi fra il soggetto e il mondo esterno?

     

    Risposta 19

    La realtà esterna si può apprendere soltanto in due modi: uno è l’esperienza diretta, l’altro un messaggio astratto e simbolico inerente la realtà fornito da una terza persona. Per esempio, io non ho mai visto le cascate di Iguazu dalle parti dell’Argentina, ma le conosco abbastanza avendo letto molti libri che le descrivono. Sono perciò in grado di imparare anche senza un contatto diretto con il mondo fisico. In ogni caso, una volta che l’apprendimento si è compiuto e nel mio cervello si è formata una rappresentazione dell’oggetto, non ha importanza il modo in cui l’ho acquisita. Purtroppo, nel campo dell’intelligenza artificiale, molti parlano di azione localizzata, ossia sostengono che il dato più importante è il collegamento con il mondo esterno, e che non si può imparare nulla senza toccare o sentire l’oggetto. Secondo loro, perciò, nessuno può mai conservare ricordi nel proprio cervello, e se qualcuno spiega loro un fatto, se lo devono scrivere per poterlo inserire nel mondo fenomenico. Ci sono molte persone che danno ascolto a queste teorie, e così nasce la moda della cosiddetta azione localizzata, come già era avvenuto per il connettivismo. A mio avviso, si tratta di un insieme di idee sbagliate, e chi vi attribuisce importanza è senza dubbio fuori strada. Tuttavia è una scuola estremamente popolare, e non capisco proprio perché lo sia. È evidente che ognuno di noi è stato bambino e ha appreso molte cose direttamente dal mondo esterno, ma questo non era strettamente necessario, potevano esserci altri modi di imparare. Un paraplegico, poniamo, che non è in grado di muovere alcun muscolo a eccezione di quelli della testa, pensa esattamente come le persone che possono scrivere. C’è qualcosa di sbagliato nell’idea che il corpo e il mondo siano essenziali per il pensiero; sono utili, ma non indispensabili.

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    Domanda 20

    Può illustrarci le applicazioni più interessanti dell’intelligenza artificiale?

     

    Risposta 20

    L’interesse è maggiore o minore a seconda dei propri obiettivi. Per esempio, esiste un programma che ha battuto il campione mondiale di scacchi, ma a me non sembra poi così rilevante. Ci sono programmi che trascrivono la voce nel computer, così che è possibile dettare alla macchina; mi sembra molto interessante il fatto che funzionino abbastanza bene pur non conoscendo il significato delle parole. In generale, però, non credo che le applicazioni realizzate fino a oggi siano davvero significative. Lo saranno, a mio avviso, quando potranno risolvere problemi che gli esseri umani non sanno come affrontare. Ma questo accadrà in futuro.

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    Domanda n.21

    Perché lei studia l’intelligenza artificiale? Cosa trova di affascinante in questo campo?

     

    Risposta 21

    È una bella domanda. Credo che una delle ragioni stia nel fatto che da piccolo mi capitò di leggere i primi romanzi di fantascienza. A quel tempo c’erano soltanto i libri di H.G.Wells, il quale non disponeva di macchine intelligenti, ma immaginava che nel futuro ci potessero essere nuove tecnologie allora sconosciute. Un altro scrittore, Hugo Gurnsbach, dedicò varie opere ai robot. Io pensai che sarebbe stato bellissimo costruire robot intelligenti. Conoscevo molte persone, e mi rendevo conto che se si rivolge a un essere umano una domanda veramente interessante, lui non sa come rispondere. Quando ero bambino non mi andava l’idea di dover diventare adulto, perché gli adulti mi sembravano stupidi, mentre esistevano tante questioni fondamentali inerenti il mondo. Ad esempio, come funziona la fisica? o la biologia? E la più interessante mi sembrava la seguente: come funziona la mente? Lessi saggi di psicologia, ma non trovai risposte soddisfacenti, e così pensai che questo sarebbe stato un buon argomento a cui dedicarmi in seguito. Non so perché così tante persone si interessino all’intelligenza artificiale. La vera domanda è: perché gli altri non se ne occupano? Per me, questo è il vero mistero.

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