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    Roberto Pardolesi

    Roma, 06/11/1997
    La società dei bit
  • La digitalizzazione della comunicazione avrà importanti ricadute nel mondo giuridico. In passato sono state fatte delle leggi per evitare che si creassero dei monopoli dell’etere. Le frequenze dell’etere sono infatti limitate e, per questo, più facilmente soggette ai controlli di pochi. Il cablaggio non ha le stesse limitazioni e, anzi, amplia moltissimo l’offerta dei canali. Questa nuova prospettiva rende necessario iniziare a pensare a una legislazione adatta al nuovo scenario tecnologico (1) .
  • La televisione generalista è destinata a sparire per lasciare spazio alla Tv specializzata. Finora le norme di legge avevano cercato di regolare gli accessi alle frequenze secondo il principio di proteggere le voci minoritarie. Con i nuovi strumenti l’accesso ai canali di comunicazione è estremamente facilitato. In particolare la convergenza tra televisione e Internet ci porterebbe a una situazione tipo quella di Hyde Park a Londra, dove ognuno può salire sul proprio sgabello, per dire la sua. Il fatto che parli nel vuoto o riesca a raccogliere per la sua capacità di attrarre un pubblico degli spettatori, è del tutto ininfluente. L’importante è alzarsi e parlare (2) .
  • Fino a che le tecniche di produzione sono state vincenti rispetto a quelle di riproduzione è stato possibile contenere il problema dell’infrazione dei diritti di autore. Oggi il digitale consente di copiare perfettamente e creare delle copie assolutamente identiche all’originale e per di più a un costo irrisorio. Dunque il rapporto fra produzione e riproduzione si è sbilanciato. Si tratta di reinventare delle tecniche di produzione che rendano la riproduzione più onerosa. Secondo Pardolesi dunque il problema del diritto d’autore nell’era digitale è tecnico ancora prima che giuridico (3) .
  • La criptografia sarà il mezzo che consentirà una regolamentazione del diritto d’autore su Internet (4) .
  • Il cosiddetto villaggio globale sposta i confini del diritto. Il giurista per stare al passo coi tempi per il professor Pardolesi deve, in un certo senso, globalizzarsi, pensare in termini oltre i confini locali a cui è abituato (5) .
  • "Il grande fratello è diventato una pluralità di grandi occhiuti fratelli che scrutinano la nostra intimità". Così Pardolesi descrive la situazione verso la quale ci stanno conducendo le nuove tecnologie che introducono nuovi pericoli di infrazione della privacy. L'intervistato spiega l'evoluzione storica del concetto di privacy (6) .




  • INTERVISTA:

    Domanda 1
    Che problemi intravede dietro la digitalizzazione della comunicazione?

    Risposta
    Più che vederla la soffro. Nel senso che non sono in grado di dare ovviamente un quadro tecnico di questi processi, ma penso che tutti possiamo immaginare che molto a breve ogni forma di comunicazione si ridurrà al digitale. Il vero motivo di interesse probabilmente è vedere quali sono le ricadute giuridiche di un fenomeno di questo genere. Io credo che questa brutta parola della "digitalizzazione" porti con sé una rivoluzione epocale del mondo dell’informazione di cui possiamo immaginare alcuni sviluppi molto importanti. Innanzi tutto un dato sicuro è che avremo una possibilità fino a qui assolutamente sconosciuta di veicolare una massa enorme di messaggi, quindi di comunicazione; in altre parole di qui a breve avremo rimosso una delle caratteristiche fino qui cardinali, davvero salienti, determinanti il modo di essere le comunicazioni ed i problemi giuridici che ruotano intorno al mondo delle comunicazioni di massa. E sotto questo profilo evidentemente andiamo incontro ad un dislocamento totale dei problemi così come li abbiamo conosciuti fino ad oggi. Cerco di spiegarmi. Da che mondo è mondo sul piano delle telecomunicazioni abbiamo tutto sommato distinto tra comunicazione interpersonale e comunicazione collettiva. Comunicazione collettiva vuole dire in realtà messaggio che è tanto più efficace quanto più riesce ad espandersi. Tecnologicamente la forma della comunicazione collettiva si è evoluta nel tempo ed è divenuta progressivamente più incisiva. Dal banditore siamo passati alle grida, dalle grida alla comunicazione di massa. Quando la comunicazione di massa ha raggiunto l’etere si è reso evidente il pericolo che si creassero dei monopoli. In parte almeno questo problema è stato governato secondo processi quasi naturali fino a che il tipico mezzo di comunicazione di massa è stato il giornale. Fino a che è stato un discorso affidato alla possibilità di sviluppo di una concorrenza di idee, ebbene il problema si è avvertito ma ha avuto delle ricadute governabili, è stato più un problema di rapporto del singolo con l’intrusione dei giornalisti. Quando siamo passati invece alla comunicazione via etere la riflessione giuridica è cambiata per adattarsi alle specificità tecniche del nuovo mezzo. L’etere è una risorsa limitata. L’utilizzazione delle frequenze è limitata. I microfoni e le telecamere sono pochi dunque avere il controllo del microfono o della telecamera vuole dire in realtà avere una forte capacità di controllo su un’audience. In Italia il dibattito sul governo dell’etere è stato a lungo condizionato dal riconoscimento della fisica ‘scarsity over the air’, in altri termini non c’era posto per tutti. Occorreva trovare un modo per fare sì che le opinioni minoritarie, anche quelle dissenzienti trovassero un posto al sole in questo consesso piuttosto limitato. Questo per lungo tempo è stato il dato condizionante che ha spinto le discipline giuridiche ad introdurre elementi di regolamentazione che puntassero a una pari rappresentatività, una sorta di par-condicio. La possibilità di utilizzare cavo a larga banda e quindi una diffusione larga di canali porrà problemi completamente diversi nel panorama delle telecomunicazioni. La sentenza della Corte costituzionale del Luglio del 1976, la numero 202, ha incrinato il monopolio, ha "liberalizzato" l’etere ed ha aperto alla radiotelediffusione su scala locale, in realtà ha aperto un lungo periodo di anarchia, di ‘far west’ dell’etere. In seguito i fenomeni sono maturati al punto che è stato necessario riequilibrare la situazione attraverso una legge restrittiva, la legge Mammì del 1990. Ma tutto questo itinerario è stato condizionato dalla consapevolezza che l’etere era appunto una risorsa scarsa. Governare l’etere uno spicchio di etere, magari una fetta importante, era espressione di potere. Ancora, nel 1994 nell’ultima fondamentale sentenza resa a riguardo dalla Corte costituzionale si parlava di posizioni dominanti; "posizione dominante" è termine gergal

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    Domanda 2
    Quindi parlando della comunicazione in generale, siamo passati dai giornali che, per la distribuzione, non avevano un problema di scarsità di produzione, avevano semmai altri problemi di distribuzione, alle telecomunicazioni via etere che hanno dovuto confrontarsi con un problema di scarsità di mezzo, di mezzo di comunicazione. Adesso siamo arrivati alla televisione via cavo da una parte ed alle comunicazioni digitalizzate dall’altra, che poi tendono a convergere. Quindi in questo quadro, quali sono le novità che si affacciano anche alla luce del fatto che non c’è più questa scarsità di mezzo di trasmissione?

    Risposta
    Avremo satellite, cavo a larga banda, centinaia di canali. Questo proprio per ridurre il discorso ai minimi termini. La rivoluzione digitale ci porterà ad avere una disponibilità largamente superiore rispetto alle possibilità concrete, fino a fare immaginare che vi siano più microfoni di quanti possano essere gli aspiranti ad occuparli. Sicché cambierà letteralmente il nostro modo di rapportarci ai mezzi di comunicazione di massa. Il guru della comunicazione Nicholas Negroponte, per quanto mi risulta sperimenta il ‘daily me’ , che sarebbe una sorta di tavoletta informatica che consente di comporre il giornale, da un’offerta largamente specializzata ma certo ricca di materiale informativo. Software più o meno complessi selezionano le cose che mi interessano. In questo modo avrò il ‘daily me’ , il Corriere, il Corriere di Pardolesi supponiamo! Perché sarà di volta in volta, come dire, parametrato a quelle che sono le mie esigenze. Dobbiamo abituarci all’idea che i mezzi tradizionali di comunicazione non saranno più massificati ma lo saranno semplicemente nella misura in cui il protagonista della comunicazione saprà attrarre in senso propositivo, e quindi assolutamente positivo, un’audience non più passiva ma attiva. La televisione generalista è presumibilmente dietro le nostre spalle. Lo dimostra la pay – television pensata in funzione delle esigenze di un consumatore che non guarda più indiscriminatamente l’offerta televisiva, ma sceglie. Più si abitua a scegliere più evidentemente si allontana dalla comunicazione televisiva in senso classico, dalla televisione generalista. Soltanto i grandi eventi saranno trasmessi nelle televisioni generaliste. Negli Stati Uniti si va verso la definizione di quali eventi sportivi dovranno necessariamente essere trasmessi ‘on the air’ e che per questo non potranno essere criptati o affidati comunque al cavo e quindi alla pay television. E’ un processo che richiederà ancora qualche tempo. Si stenta ancora ad affermare una Tv specializzata che sia economicamente in grado di chiudere i conti positivamente, ma la direzione è comunque quella. Per un attimo abbandonandoci ad una futurologia un pochino più onirica, dovremmo immaginare che il corrispondente del ‘daily me’ di Negroponte è il channel Pardolesi, la televisione come Internet-televisione in cui ognuno è propositivo, capace di entrare, di lanciare un messaggio e di raccogliere esattamente quanto sa e può raccogliere. Il che, evidentemente ci porterebbe a una situazione tipo quella di Hyde Park a Londra, dove ognuno può salire sul proprio sgabello, trasformandolo in un occasionale pulpito per le proprie prediche. Il fatto che parli al vento, nel vuoto o riesca a raccogliere per la sua capacità di attrarre un pubblico degli spettatori, è del tutto ininfluente. L’importante è alzarsi e parlare. O siamo capaci di attrarre pubblico, di fare un’audience e allora avremo successo oppure parleremo nel vuoto, ma non saremo esclusi semplicemente perché non abbiamo la possibilità di accedere. Noi giuristi abbiamo per lungo tempo teorizzato il diritto di accesso perché questa era la versione in qualche modo italiana della dottrina americana. Garantire trasmissione di accesso in modo da procedimentalizzare la presenza di voci alternative, di voci minoritarie eccetera, magari con scarso successo, ma intanto i principi erano salvi. In qualche maniera evidentemente qui si misurava anche la poca preparazione di chi non utilizzava professionalmente questi meccanismi e si trovava per di più a veicolare discorsi difficili. Bene, questo cambierà. Chi vuole sarà protagonista e professionista di se stesso in un futuro neppure troppo lontano e certamente non staremo più a questionare su come possiamo ragionevolmente dividerci l’audience a colpi di auditel e via dicendo.

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    Domanda 3
    Quindi cambiano completamente tutte le categorie usate fino ad adesso, specie per quanto riguarda le trasmissioni, le videotrasmissioni ma in realtà non si ritorna neanche ad una situazione paragonabile a quella dei giornali che era un’altra ancora, si va ad una situazione completamente nuova in cui anche è facilissimo entrare nella produzione di informazione.

    Risposta
    In effetti la situazione cambia radicalmente rispetto a quanto eravamo abituati a registrare. Cambia in maniera, direi ancora più intensa, rispetto all’equilibrio che era tipico del mondo della carta stampata. In qualche modo possiamo prefigurare che lo sviluppo delle telecomunicazioni vada ad ispirarsi al modello dell’allegra anarchia di Internet. Introdurre la nozione a tutti nota di Internet, come rete delle reti, ci aiuta a catturare il secondo momento di importante ricaduta giuridica della rivoluzione digitale. Nel nuovo contesto diventa quanto mai evidente la difficoltà di difendere la proprietà intellettuale che è affidata, da lungo tempo da secoli oramai, alla logica ed agli strumenti del diritto di autore oltre a tanti, quello del copyright, con tentativi appunto di consolidare questo approccio in una maniera comprensiva e che oggi evidentemente sconta enormi difficoltà. Sconta enormi difficoltà perché la rivoluzione digitale, in fondo, apporta l’ultimo e direi decisivo tocco ad una rivoluzione che si è già consumata largamente in passato. Cioè da sempre il problema è stato quello della competizione tra il produttore e colui che copia, fino a che le tecnologie di produzione sono state vincenti rispetto alle tecnologie di riproduzione il discorso è rimasto in equilibrio; perché il diritto d’autore riusciva in qualche modo a garantire che, quanto meno per l’intervallo di tempo in cui la leadership temporale, assicurata dalla tecnica di produzione, ecco per lo meno per questo lasso di tempo si aveva una possibilità concreta di sfruttamento, ebbene, il discorso funzionava. Progressivamente però, le tecniche di copiatura si sono venute affinando e sono divenute largamente competitive e a basso costo fino a rendere assolutamente sbilanciata la gara. Non esiste oggi una possibilità di produzione che assicuri una leadership temporale, sufficiente a garantire al produttore dell’opera intellettuale, la possibilità di ottenere un ritorno per gli investimenti fatti, per i rischi assunti, per gli apporti. Non funziona più sotto questo profilo il tipo di bilanciamento insita nella logica del diritto di autore ossia la riserva monopolistica in capo all’autore, perché l’autore sia incentivato a creare l’opera dell’ingegno e via dicendo, proprio perché le tecniche di riproduzione sono oramai diventate assolutamente istantanee ed a costi bassissimi. Copiare inoltre avviene secondo una logica decentrata che permette a chiunque in qualsiasi momento, di fotocopiare, di riprodurre il supporto magnetico a costi contenutissimi ed in condizioni di assoluta libertà. Il che praticamente ci pone di fronte a problemi che la tecnologia digitale estremizza. Oggi si cattura tutto attraverso il digitale che consente la riproduzione a costi irrisori. In questo processo è implicito un grande progresso ma al tempo stesso la difficoltà di difendere le posizioni che erano proprie del diritto d’autore, nei suoi termini tradizionali. Sotto questo profilo Internet diventa il banco di prova, perché Internet è nata come rete sostanzialmente anarchica, legata cioè all’iniziativa dei fruitori dispersi, in una situazione appunto di allegra anarchia. Nel momento in cui cominciamo a porci il problema di quale sia la sorte del diritto di autore in Internet ci misuriamo con una serie di difficoltà. La prima è psicologica. Internet, da sempre caratterizzata da una allegra anarchia, trova enorme difficoltà a convertirsi all’idea di un accesso non più incondizionato, non più libero. Evidentemente il meccanismo che tutela il diritto d’autore è quello che richiede una password o un pagamento. Credo che inevitabilmente passeremo ad una nuova fase di quella che è stata da sempre la competizione fra tecniche di produzione e tecniche di riproduzione. E’ stupido immaginare che il problema possa essere risolto a colpi di codice penale di normativa repressiva. Appropriarsi di una videata, già questo potrebbe rappresentare tecnicamente una violazione del diritto di autore se la linea di difesa fosse

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    Domanda 4
    Pensa che la criptografia sia un sistema efficace?

    Risposta
    La criptografia promette di assicurare quello che appare oggi difficilmente tutelabile e cioè una opacità delle comunicazioni in Internet, una garanzia della veridicità dei messaggi. Oggi esistono algoritmi criptografici a quaranta cifre, che mi sembrano spaventosi, e che pure vengono giudicati insicuri sicché praticamente si è già passati a criptografie a cinquantasei cifre. Dato che il passaggio da un livello a un altro implica una progressione geometrica questo significa che per decifrare un messaggio crittografato con tecniche del genere occorrono vari super computer in azione per diverse settimane. Ci si arriva ma occorre molto tempo e questo rende praticamente la segretezza della comunicazione, oltre che la sua autenticità, assolutamente inattaccabile. Il punto fondamentale a questo riguardo è che il diritto di autore, cioè la possibilità per il titolare dei diritti di proprietà intellettuale di ottenere una reale remunerazione per gli investimenti e per le realizzazioni ottenute, si deve affidare in futuro alla criptografia che può assicurare alle tecniche di produzione di nuovo un vantaggio rispetto alle tecniche di riproduzione.

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    Domanda 5
    Con il digitale si riescono ad ottenere copie assolutamente identiche all’originale che per di più rimangono intatte nel tempo. La natura della comunicazione via Internet è globale. Partendo da queste due premesse come fare ad imporre vincoli giuridici a questo nuovo sistema di comunicazione?

    Risposta
    Sul primo punto mi sembra assolutamente necessario sottolineare che la rivoluzione digitale è un importante progresso tecnico. Nel contempo, e qui andiamo al secondo aspetto, arriviamo veramente ad un villaggio globale inteso non più come metafora ma come realtà. Noi giuristi per primi e forse nella maniera più radicale di altri esperti, verifichiamo la difficoltà di conversione del nostro sapere alla dimensione della digitalizzazione. Il giurista è da sempre stato il giurista municipale ed ha sempre visto con estrema difficoltà il fenomeno del travalicamento delle frontiere, dove il proprio diritto, la propria expertise si vanificavano all’improvviso, perché si cambiava diritto al cambiare della carrozza. Insomma, grosso modo oggi la globalizzazione significa evidentemente che il problema diventa un problema giuridico globale. Se noi continuiamo a reclinare su tecniche legate allo specifico, al contesto locale evidentemente non saremo attrezzati neppure per affrontare il problema. Dovremmo cercare di trarre profitto dagli errori fatti dagli altri e comunque dall’esperienza più avanzata degli Stati Uniti.

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    Domanda 6
    Ci si può inquadrare il problema della privacy rispetto alla comunicazione digitale?

    Risposta
    Abbiamo una grande novità che è la legge 675 del ’96. Alla fine dell’anno scorso, in sostanza è profondamente cambiato il quadro di riferimento. Andiamo per ordine perché il quadro è abbastanza complesso. La legge introduce una disciplina di protezione dei dati personali. E’ una legislazione complessa, proiettata a viva forza nel nostro sistema dalla necessità di adeguarci alla convenzione di Strasburgo del 1981. Infatti se non ci fossimo dotati di una disciplina equivalente a quella degli altri stati firmatari della convenzione che appunto assicurasse tutela dei dati personali non potevamo accedere all’accordo di Shengen. Sicché adottando una direttiva comunitaria dopo un lungo e travagliato dibattito sul punto, ci siamo dotati di una legge sulla privacy informatica. La novità principale è che la legge esprime la preoccupazione rispetto al fatto che l’informatica pone nuove e diverse occasioni di pericolo. In altre parole, da sempre lasciamo tracce del nostro vivere. La differenza è che la tracce di un tempo erano normalmente tracce affidate alla memoria volatile dei nostri interlocutori, dei nostri occasionali compagni di viaggio, oppure tracce scritte. Le une e le altre in qualche modo direttamente o indirettamente potevano confluire negli archivi. Il punto è che le schedature di un tempo erano meno pericolose per il fatto di essere appunto corpose, complicate, manuali schedature. La differenza oggi è che le nostre tracce sono prevalentemente informatiche, sono tracce affidate a supporti magnetici che sono in grado di rimbalzare il proprio capitale informativo in tempi reali. Il che vuole dire che un comando nella nostra tastiera ci permette oggi di realizzare quel lavoro che era difficile ed estenuante nell’archivio cartaceo di un tempo. La velocità acquisita con la tecnica e il contenimento dei costi fa sì che la schedatura non sia più un privilegio del potere ma si ha oramai una tecnica a disposizione di chiunque disponga di queste macchine oggi accessibili a molte tasche. Un database di oggi con l’hardware di cui disponiamo corrisponde veramente a macchine che solo quattro lustri fa occupavano un appartamento. Il che vuole dire che la prospettiva del grande fratello Orwelliano, non soltanto si è molto avvicinata ma in qualche modo si è moltiplicata. Il grande fratello è diventato una pluralità di grandi occhiuti fratelli che scrutinano la nostra intimità. L’archiviazione di dati, quindi la possibilità di creare profili, ologrammi oserei dire della nostra personalità è oramai a disposizione di molti soggetti. E questo è il senso dell’intervento legislativo, complesso, importante. E credo che sia un senso difficilmente discutibile perché tutti quanti evidentemente in qualche modo siamo gelosi di alcune nostre prerogative, soprattutto avvertiamo qualche resistenza, fondata resistenza a questa sorta di mercimonio ideale del nostro modo di essere. Ora il problema, se ce ne è uno, è che abbiamo in questo modo introdotto una nuova nozione che chiamiamo privacy, magari, e questo forse ci crea più problemi di quanti contribuisca a risolverne. Perché la privacy informatica, che è legata appunto dalla nuova occasione di pericolo creata dalle nuove tecnologie, è qualche cosa di diverso da privacy cui invece siamo abituati come concetto storico, da giuristi in particolare.

    La privacy tradizionale è un valore diverso, è un valore Vittoriano, un valore da vizi privati e pubbliche virtù. Fa parte cioè di una mentalità sociale, ricevuta in un certo momento storico, che esprime questo valore cioè il ‘Right to be let alone’, il diritto di essere lasciati in pace nell’intimità della propria sfera domestica. Questa espressione è stata per lungo tempo il nostro modo di intendere la privacy. Non ha avuto una fortuna uniforme, non ha avuto magnifiche sorti progressive neppure negli Stati Uniti, luogo elettivo del riserbo Vittoriano. Molti stati per esempio lo stato di New York non hanno mai accettato l’idea di privacy in quanto appunto valore idiosincratico. Vi è stato un lunghissimo, e quasi alla fine, ridondante dibattito giuridico fra fautori dell’introduzione di un diritto della riservatezza e il ‘Right to privacy’ e quelli che invece negavano la cittadinanza, diciamo, nel nostro sistema giuridico. Alla fine ha provveduto la Cassazione con la celebre sentenza del 1975: era stata infranto il diritto alla riservatezza della principessa Soraya che l’impertinenza di foto reporter aveva immortalato in momenti di effusione con il suo compagno di allora. Quindi in Italia la "riservatezza" è entrata al seguito di Soraya. Dopo che la cassazione ha finalmente immesso nel nostro sistema il diritto alla riservatezza, l’equivalente dell’originale ‘Right to privacy’, questo diritto non è che abbia fatto molta strada. Se noi cerchiamo i momenti di applicazione giudiziale di questo diritto alla privacy, ne scopriamo pochissimi. In una società dell’apparire piuttosto che del rinchiudersi nell’intimità, in una società in cui o si è davanti alla telecamera o non si è appare ovvio che vi era poco spazio perché il Diritto alla privacy si radicasse in questa forma, entrasse nella nostra coscienza. A differenza di quanto è avvenuto in Francia, in qualche modo, non fosse altro perché il legislatore francese ha provveduto a dare una ‘imprimatur’ attraverso la novellazione del codice civile, l’introduzione di una norma che codifica e quindi in qualche modo introduce nel Dna del sistema francese il diritto alla ‘vie privée", e quindi alla tutela della vita privata. Io direi che a dispetto della sua consacrazione giudiziale, quel tipo di privacy non è mai decollata e non poteva presumibilmente decollare, eppure la nuova legge, la 675 all’articolo 1 evoca la riservatezza come valore, così come evoca il diritto alla identità personale. Anche quest’ultima è un’altra creazione pretoria frutto cioè delle elaborazioni giurisprudenziali che tutela in qualche modo l’immagine che di sé si proietta sul pubblico, perché di me non si dicano non corrispondenti al vero. Supponiamo che io sia presidente di un circolo di vegetariani, e che di me si dica che sono divoratore di bistecche, non ci sarà niente di male in assoluto ad affermare che io mangio carne ma per me, nella ristretta cerchia dei soggetti che considerano mangiare carne qualche cosa di inaccettabile, la notizia sarà particolarmente negativa. Ebbene questo è il diritto di identità personale, anch’esso coniato recentemente e di fortuna abbastanza incerta. Se così è la legge finisce con il riportarsi al valore della riservatezza da un lato e dell’identità della persona dall’altro, che o devono essere rivisitati – e questo diventa forse il vero grande problema, o devono essere considerati punti di riferimento quasi secondari rispetto ai diritti fondamentali come quello della dignità della persona evocata da quello stesso articolo 1 della legge. Sotto questo profilo arriviamo ad un primo punto: la legge ha una sicura caratura, per altro impone agli interpreti di andare ad assumere come punto di riferimento valori quali la riservatezza, l’identità personale che difficilmente nella loro versione tradizionale riescono a farsi interpreti dell’esigenza al post fondamento della legge. Ma tutto sommato questo è compito che ci troviamo

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