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    Roberto Pardolesi

    Pavia, 04-10-1996
    Diritto all'anonimato in rete
  • Il diritto all'anonimato è da molti ritenuto un caso specifico del diritto alla privacy. Esso implica l'esistenza di un organo di controllo per la rete (1) .
  • Il tentativo americano del Decency Act rispecchia esattamente l'idea che, rispetto al mondo della cultura, il mercato non può procedere da sé, facendo affidamento su sue regole: deve essere controllato (2) .
  • Una soluzione potrebbe essere il riconoscimento di una responsabilità degli operatori di sistema (3) .
  • Certamente, quindi, il loro ruolo andrebbe ridefinito, senza dimenticare, però, che la grandezza di Internet è anche la libertà d'espressione che garantisce (4) .
  • Il diritto alla privacy riguarda non solo la salvaguardia della propria intimità ma anche il diritto al controllo e alla gestione della propria immagine pubblica (5) .
  • Questi problemi non sono aggravati da Internet ma riguardano tutti i mezzi di comunicazione (6) .
  • e, da sempre, la stampa (7) .




  • INTERVISTA:

    Domanda 1
    Buonasera Professore, grazie di essere venuto. Vorrei affrontare un esame comparatistico del diritto della privacy rispetto alla giurisdizione degli Stati Uniti che ha particolarmente riflettuto sul problema, sia dal punto di vista della giurisprudenza che dal punto di vista della normativa del Congresso. Uno degli aspetti che è stato trattato è quello del diritto all'anonimato, su cui pendono due sentenze importanti della Corte Suprema. Una di esse è del '95, e lo riafferma. Che cosa pensa del diritto dell'anonimato come aspetto del diritto alla privacy? E' d'accordo con questa impostazione?

    Risposta
    Dipende dal modo in cui ricostruiamo il raggio del diritto all'anonimato. Se pensiamo nell'ottica tradizionale si deve affrontare la tematica del diritto all'oblio, che è molto cara alla tradizione giurisprudenziale nordamericana: un famoso caso della giurisprudenza americana ha costituito una delle pietre miliari nel tentativo di ricostruire in maniera unitaria -poi sostanzialmente fallito- il diritto alla privacy nell'esperienza statunitense. Se, viceversa, ci proiettiamo in un'ottica più moderna e pensiamo alle vicende a noi più vicine e di più immediata percezione della trasmissione di informazione in rete, il problema dell'anonimato muove una serie di grandezze e altrettanti fattori di difficile controllo, poiché vi sono implicazioni di diversa natura. Posso fare un esempio banale ma che semplifica il concetto dell'anonimato: viene messo in circolazione un pacco contenente un oggetto. Il suo contenuto potrebbe essere, per la verità, alquanto dannoso, pericoloso, disastroso al limite, e non si è fissata la sua provenienza. Ciò comporta, evidentemente, una serie di ripercussioni abbastanza intriganti. Sotto questo profilo, prima di schierarsi, per così dire, sui princìpi, occorrerebbe, presumibilmente, immaginare un approccio più casistico per verificare quali possono essere le implicazioni che comporta questa circostanza. Dobbiamo immaginare, nella rete complessiva di soggetti -non intendo la rete in senso fisico- che hanno una possibilità di intervento, di controllo e di manipolazione della circolazione di questo tipo di informazione, quali nodi possono essere considerati in qualche modo responsabili, o capaci, quanto meno, di governare al livello di vigile dell'etere o del cavo o del doppino telefonico. In definitiva, è necessario considerare se questi elementi siano in grado di assumere un qualche tipo di responsabilità per evitare che l'allegra anarchia di Internet diventi, si, un'anarchia, ma non più molto allegra e, per la verità, piuttosto pericolosa.

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    Domanda 2
    Si tratta di considerare i benefici e i costi di questa possibile regolamentazione preventiva, perché io sono d'accordo con Lei sui rischi che un' anarchia di informazioni può comportare. Ciò è sufficiente a limitare la libertà d'espressione? Questo è stato il ragionamento della Corte Suprema.

    Risposta
    Io credo che tutte le volte in cui ci accostiamo a questo problema in termini censori, il discorso diventi sostanzialmente perdente; il "Decency Act", la "Section" a sei, mi pare, o a cinque "telecommunication Act", in realtà, è andata in fibrillazione di fronte alle "opinions" dei giudici. Ciò è accaduto perché la tradizione culturale americana è talmente intransigente, in questo caso, da non accettare una censura paternalistica ex ante. La cultura americana è sempre compatta sul concetto che nel "market place of ideas", nel "mercato delle idee", debba comunque prevalere l'idea corretta. Si tratta, in questo caso, di una sorta di censura esposta per fare giustizia dei "materiali di scarto". Questa idea è quella che più mi piace, che più mi convince, ma non del tutto. In termini economici, per esempio, consideriamo il mercato la soluzione più efficiente allocativamente per distribuire le risorse e per dare gli stimoli, corretti incentivi. Ma tutto questo è possibile fin tanto che il mercato è in grado di funzionare in maniera autonoma. Quando, viceversa, il mercato non può, per definizione, regolarsi autonomamente, accade ciò che gli economisti chiamano "market's failures", i "fallimenti del mercato". In questo caso non abbiamo bisogno di regolamentare. Vi sono delle circostanze in cui persino il mercato delle idee non riesce ad esprimersi liberamente. Io non credo sia il chip inserito nel singolo computer che automaticamente oscura il messaggio dell' immagine, che può risolvere il problema. Sono convinto che la tradizione americana sia ancora, tutto sommato, la più solida ed in grado di fornire i migliori risultati. Garantendo certi valori - quelli del primo emendamento sono i valori cruciali della democrazia americana- garantiamo anche i valori fondanti della democrazia. Ma se noi ci schieriamo in maniera rigida e indeclinabile su questa posizione, dobbiamo essere disposti a pagare dei prezzi carissimi. Gli eventi della cronaca ci danno spesso controspinte, in questo senso. Ad ogni svolta d'angolo dobbiamo essere disposti a dei sacrifici gravissimi, perché li incontriamo. Ecco, perché, di volta in volta, a seconda della pressione emotiva, vediamo che il dibattito è come se si avvitasse su se stesso, dando dei risultati diversi da quelli che ci saremmo aspettati il giorno prima.

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    Domanda 3
    Qual è il Suo commento su una possibile responsabilità degli operatori di sistema?

    Risposta
    I giuristi normalmente non hanno molta fantasia, e non la possono avere per definizione, perché numerose volte ci si trova ad agire nel vuoto, non potendo rispondere che non si sa che pesci pigliare. Allora, il giurista, si appoggia, gioca un ruolo di sponda, applica per analogia norme esistenti, oppure si appella ai princìpi e cerca di derivare da questi le coordinate applicative. Quindi, questa materia, non credo sia pertinente ai compiti del giurista. E' necessario, a mio avviso, che si indaghi sulle responsabilità degli operatori massmediatici: la responsabilità del direttore del giornale rappresenta, in qualche modo, il profilo di più immediata vicinanza, quello che probabilmente ispira la riflessione del giurista, che non cerca lontano, ma scava vicino. Io, personalmente, trovo che questo sforzo analogico, quasi ineccepibile nelle sue motivazioni di fondo e nelle sue linee organizzative, sia però poco rispondente a questa realtà e rischi di scrivere sentenze molto pesanti, sopra le linee. Mi spiego: il mondo di Internet è costituito da operatori che operano professionalmente, attraverso una organizzazione imprenditiva sofisticata, gerarchicamente organizzata e quindi capace di affrontare alcune sollecitazioni molto forti. Peraltro esso ha costruito le sue fortune su operatori sostanzialmente diversi, che definire amatoriali è già abbastanza ottimistico; si tratta di soggetti abilissimi, più che di "haker", con disponibilità di hardware abbastanza ridotte, ma capaci di grandi operazioni. Il fenomeno della BBS, oggi in parte declinante perché è sopravanzato dalla progressione di investimenti nel settore, rappresenta il motore immobile su cui è cresciuto Internet, ed è un fenomeno, per la più parte, amatoriale. Tali BBS funzionavano, grosso modo, come "rélais", cioè come macchine appaiate, una in ricezione e l'altra in trasmissione. E' il caso di citare David La Macchia, il famoso "haker" del MIT di Boston, che si è reso responsabile, personalmente, per l'evasione del diritto dell'autore del copyright nordamericano di un milione di dollari. Ma David La Macchia non aveva interessi economici in tutta questa vicenda. Certo, stornava l'impiego di due grossi computers del MIT, ma lo faceva semplicemente perché il gusto dell' "haker" lo portava a gestire questa folle BBS. Ora, David La Macchia è stato assolto dalla giurisprudenza penale nordamericana. Perché? Possiamo immaginare poiché non traeva profitto da questo tipo di attività. E' vero che la decisione è fondata sulla inestensibilità del "wire right" del 1934, ma tra le righe della sentenza si coglie la chiara sensazione del giudice che una "bravata" del genere non debba essere punita se non è stata funzionalizzata. Per quanto il soggetto sia responsabile di un danno molto consistente per le software houses, egli non deve essere punito se non ha agito con una chiara finalità di profitto. Dunque, al di là di questo, che potrebbe essere considerato un caso limite, l'attività del "sistem operator" periferico, mi sembra non possa essere onestamente gravata di responsabilità, che dovrebbero essere tipiche, invece, di una organizzazione. In altre parole: tutte le volte in cui potessimo -a me piacerebbe, quanto meno- avere un approccio ad una disciplina o ad un intervento disciplinare su questa materia, che si sapesse distinguere fra intervento amatoriale -per cui la BBS è letteralmente un "bulletin", una lavagna, quasi passiva, un "rélai", che riceve e ritrasmette senza capacità di monitoraggio, senza possibilità di scrutinio dei materiali- e le BBS professionali, che divengono "content providers", variamente organizzate. In quest'ultimo caso esiste una prassi organizzativa, vi sono dei responsabili vari che si prendono cura di seguire ciò che avviene in rete, sia per quanto attiene alla responsabilità civile nella diffamazione, sia per quanto concerne agli illeciti. Mi sembra che vi siano livelli organizzativi e, di conseguenza, livelli di dibattito rispetto ad essi.

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    Domanda 4
    Ecco perché è il fine, ancora una volta, che diventa la discriminante. Al provider non si può far carico di un fine, è solamente un fornitore di servizio.

    Risposta
    Il provider fa essenzialmente circolare i contenuti. Snaturarerebbe il suo ruolo se gli si chiedesse di fornire, oltre che il servizio, un contenuto, per il quale non ha assunto, per definizione, una responsabilità. Credo che tutto si possa fare, ma, di conseguenza, cambiano anche i ruoli. Non mi sorprendo di fronte ad ogni tentativo di intervenire in questo settore per evitare che Internet diventi una terra di nessuno. Si immagini un angolo di Hyde Park, dove ognuno sale sul suo cattedrino e, inascoltato, parli al pubblico vomitando quello che crede. In realtà agisce in questo modo perché è inascoltato o è ascoltato soltanto da chi vuole ascoltarlo. Identifico Internet in questa metafora. Ma se abbiamo il sospetto che lo scopo del soggetto possa essere diverso da quello che immaginiamo, temiamo che la rete, in realtà, possa funzionare come straordinario meccanismo di rilancio e quindi di crescita esponenziale dell'eco delle informazioni. In questo caso introduciamo un preoccupato controllo per quello che può essere il risultato devastante di un cattivo uso dell'informazione. A questo punto, dobbiamo necessariamente immaginare che Internet non sia più composta dai soggetti che la popolano oggi. Si tratta di altri soggetti con altre responsabilità: dobbiamo attendere una trasmutazione di questi soggetti. Certamente non saranno più sysop, ma grandi imprese organizzate, con responsabili di settore. A questo naturale sviluppo di Internet sono connessi molti pericoli. Se Internet è un veicolo di un'informazione che finalmente riesce a sfuggire alla ristrettezza, vera o falsa che sia, delle frequenze, allora il problema assume una forma più complessa. Il controllo della televisione ha storicamente comportato l'idea di un preciso esercizio di potere. Internet è stato il primo passo verso l'istruzione di questa struttura di pensiero, perché quel virtuale Hyde Park che possiamo immaginare, rappresenta la prima tappa verso una informazione affidata a ciascuno di noi.

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    Domanda 5
    Una delle forme tradizionali nella "common law", violazione del diritto alla privacy, è l'appropriazione del nome o dell'immagine e l'uso commerciale di essa. Quale tutela vi è, al livello comunitario, in Europa e anche in Italia?

    Risposta
    Le linee affermatesi in Italia sono, grosso modo, corrispondenti a quelle vigenti negli altri quadranti occidentali, ivi compresi gli Stati Uniti. In quest'ultimo paese la copertura della privacy è completa per quanto attiene alla ricaduta commerciale, ed è meno completa -nel senso che le cinquanta giurisdizioni non sono tutte quante egualmente schierate- quando si guarda alla privacy come valore puramente personalistico. La privacy intesa come valorizzazione dell'immagine, o del nome, diventa, in realtà e paradossalmente, "right of pubblicity". Non è più il "right to be let alone", il "diritto di essere lasciatao in pace" -nella originaria versione di Warner e Brandys che hanno fondato con il loro celebre articolo del 1890- contro i giornalisti invadenti. Si tratta, invece del diritto di avere il controllo sull'utilizzazione commerciale della propria immagine e quindi non è più suscettibile delle mediazioni tradizionali del diritto alla stessa. Affinché il discorso non rimanga impenetrabile, propongo un esempio semplificatorio del problema in questione: nel nostro diritto, stando alla lettera delle disposizioni di cui ci possiamo avvalere, cioè dell'articolo dieci del Codice Civile e gli articoli 96 e 97 della Legge sul diritto d'autore, noi scopriamo che il personaggio pubblico non può opporsi alla diffusione del proprio ritratto. Il "personaggio ritrattato", per usare il gergo legalese, è in questo caso spogliato del controllo della propria immagine, perché è interesse pubblico quello di conoscere le caratteristiche fisiche di chi occupa un posto di tanto rilievo sociale. Ma se lo stesso personaggio pubblico - è una casistica recente, abbastanza divertente per la verità -, viene "ritrattato" e la sua immagine viene utilizzata in una campagna pubblicitaria (per esempio l'uomo politico che sbadiglia clamorosamente in una bella immagine rubata in Parlamento e sotto un titolo che richiama l' head line di un giornale e che suggerisce che quel giornale sveglia l'Italia), ciò mette i giudici di fronte ad un caso difficile, perché il personaggio ritratto è evidentemente un personaggio pubblico. Ma poiché l'immagine é utilizzata per portare avanti una campagna pubblicitaria, l'eccezione non può più funzionare. In questa direzione ritorna il tema del "right of pubblicity", il diritto del singolo al controllo sulla sua imamgine. Si può fare pubblicità con il capitano di industria o con l'uomo politico soltanto se si riesce ad ottenere il suo consenso. Altro problema è quello dell'identità personale, cioè dell'utilizzazione dell'immagine, poiché, come "testimonial", si può rappresentare una linea di pensiero. Se ad un soggetto si attribuisce una specifica posizione politica, senza che questa sia condivisa dal soggetto stesso, attraverso un manifesto destinato alla campagna pubblicitaria, perché la faccia è in qualche modo considerata affidante, in questo caso ci si può opporre, invocando il diritto all'identità personale e ottenendo dal giudice una ordinanza inibitoria, che impedisce l'uso di quel manifesto.

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    Domanda 6
    Lei ritiene che questo problema di appropriazione del nome o dell'immagine a scopi commerciali sia accresciuto a causa delle nuove tecnologie, da Internet. Crede che siano necessari strumenti nuovi per questa tutela?

    Risposta
    Il problema, in questo caso, è più complesso. La risposta sarebbe: tecnicamente no. Io credo che Internet ponga dei problemi serissimi che non possono essere risolti attraverso il ricorso ad istituti preesistenti. E' necessario adattarsi ad una realtà virtuale diversa. Questi problemi riguardano la liquidità o la intangibilità dei riferimenti. Se noi continuiamo ad interstardirci sull'idea che le questioni riguardanti Internet si possono risolvere con l' applicazione e con l'aggiustamento della preesistenza organica, credo che dobbiamo rassegnarci a navigare a vele spiegate verso un futuro senza possibilità di soluzione. Detto questo, non vorrei arrivare all'allarmismo inverso, in ragione del quale tutte le volte in cui riusciamo a mettere in circolo Internet tutto quello che era in nostro possesso diventa inutilizzabile. In circostanze del genere non riesco a vedere un aggravamento del danno rispetto a quello che può essere tipico dell'utilizzazione massmediatica. L'immagine della diva di turno, che viene utilizzata e bruciata per una campagna pubblicitaria, rappresenta l'esempio della perdita di una forte opportunità di guadagno. In un futuro potremmo immaginare che, cambiando il modo complessivo delle telecomunicazioni, di concerto con l'informatica, proprio in questi nuovi scenari si possa concentrare l'attività economica, attraverso la pubblicità, e che, di conseguenza, si possa ottenere la massima concentrazione di interessi. Pertanto, se é vero che Internet per tanti versi mette in crisi profonda l'esistente giuridico, non si può altrettanto affermare che tutto ciò che Internet ingloba si trasformi in qualche cosa di velenoso e insopportabile.

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    Domanda 7
    Vorrei avere da Lei un'ultima precisazione riguardo al personaggio pubblico. Mi riferisco al tema della diffamazione. La stampa che pubblica estratti di procedure giudiziarie in corso, Lei la valuta come una possibile diffamazione o rientra nel diritto della stampa quello di usare la valenza della notizia, di qualcuno che comunque diventa personaggio pubblico, anche suo malgrado?

    Risposta
    Io temo che questo discorso richieda la quadratura del cerchio. Mi sembra piuttosto ovvio che, dal punto di vista dell'inquisito, la pubblicazione di atti, che dovrebbero essere coperti dal segreto istruttorio, sia la cosa più deteriore che si possa perpetrare. Questo comporta di essere trascinati nel pubblico ludibrio, marchiati in qualche modo di infamia, con qualche lettera scarlatta, prima ancora che si sia persino delineata una ipotesi di reato o che si sia pensato seriamente che è in gioco qualche cosa di particolarmente serio. In realtà , si è trascinati in malo modo e senza riguardo. D'altro canto non posso fare a meno di pensare che il giornalismo si muova sempre secondo la logica del sottotitolo del New York Times , che mi pare suoni "all that is fit to print", "tutto ciò che vale la pena di stampare". Credo che, fra le cose che vale la pena di stampare, c'è anche purtroppo il pettegolezzo, che spesso e volentieri non coglie nel segno, fa male; altrettante volte, all'insegna dell' "on y soit qui mal y pense", in realtà, esso porta alla luce avvenimenti che altrimenti resterebbero nascosti. Non credo che il problema riguardi il giornalista il quale, trovandosi in possesso di materiali di interesse pubblico, non può scegliere di non pubblicarli. Mi sembra eccessivo che egli debba esercitare questo "self restrain". Nella misura in cui egli sente che il materiale va stampato, è degno di essere stampato. Vi è un problema a monte, a mio modo di vedere, perché io non credo che i verbali di interrogatori e altri documenti istruttori abbiano una capacità di volatilità via Internet o in qualche altro modo autonoma, per arte propria. Evidentemente qualcuno li fa muovere. Se c'è un problema a questo riguardo, io comincerei ad individuare la prima causa, piuttosto che prendersela poi col secondo anello della catena: i giornalisti che, a questo punto, dovrebbero dimenticarsi del loro mestiere.

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