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    Jean-Claude Mézières

    Firenze, 12/12/1998
    Sognare il futuro tra fantasia e realtà
  • Mézières ha realizzato i disegni per la sceneggiatura del film di Luc Besson il Quinto Elemento. L’intervistato racconta la sua collaborazione con il regista francese e come si sia ispirato, per questo lavoro, alla New York attuale (1) (2) .
  • Il disegnatore di fantascienza non è necessariamente qualcuno che immagina futuri possibili. Mézières dice, per esempio, di ispirarsi ad alcuni elementi della realtà e del presente per creare qualcosa di diverso. Il fatto che un illustratore disegni una bicicletta con le ali non significa che creda che in un futuro esisteranno degli oggetti simili. Rendere straordinario ciò che è ordinario. E’ questa secondo Mézières la bravura di un disegnatore (3) (4) .
  • Secondo l’intervistato l’elemento innovativo e interessante della virtualità e della grafica computerizzata è che per la prima volta l’uomo può davvero dar vita a immagini che consentono di muoversi all’interno della fantasia dell’autore. Mézières tuttavia ritiene che il computer aiuti solo in parte la creatività che rimane comunque qualcosa di strettamente legato alle caratteristiche soggettive di una persona (5) (6) .
  • L’intervistato descrive i disegni che ha realizzato pensando alla città del futuro. Per Mézières il disegno di una città di fantascienza è interessante soprattutto come sfondo o scenario di storie. Nel fumetto il mondo esterno è molto importante, ma ciò che conta è in ogni caso quel che accade ai personaggi (7) (8) .
  • L’America è un po’ ovunque adesso con i McDonald’s e i grattacieli ma negli anni ’60 era unica e le immense costruzioni di vetro colpirono enormemente la fantasia del disegnatore francese influenzandone l’opera (9) .
  • Mézières racconta del suo prossimo progetto (10) .
  • Fumetti a parte l’intervistato si auspica una città del futuro più ragionevole e con meno macchine. La telematica dovrebbe aiutare questo processo dal momento che consente di lavorare senza spostarsi fisicamente (11) .




  • INTERVISTA:

    Domanda1
    Cominciamo da "Quinto Elemento". Come è nata l’idea del film e in che modo avete lavorato per realizzarlo?

    Risposta
    Luc Besson aveva scritto una prima sceneggiatura intitolata "Zaltman bleros". Era all’incirca il Natale del 1991 quando mi contattò a Parigi. Besson conosceva bene i miei album di fumetti: come disegnatore di cartoon ho infatti prodotto una serie di fantascienza incentrata su Valérian, l’agente spazio-temporale, che è piuttosto nota in Francia e in Italia, e di cui sono usciti già due numeri, e altri ancora seguiranno. Come dicevo, Besson mi contattò e mi disse: "Sto preparando un grande film di fantascienza. Ho l’impressione che gli americani abbiano copiato un po’ troppo dai tuoi album in certi film; io invece intendo assumerti e pagarti per farti lavorare per me." Era una cosa davvero eccezionale. Ovviamente conoscevo i film di Luc Besson, anche se non li avevo visti tutti, ma mi piaceva come persona e apprezzavo il suo talento, e perciò risposi che ero molto interessato all’idea.

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    Domanda 2
    Per la realizzazione del film ha collaborato anche con architetti oppure ha lavorato da solo? La sua immagine fantastica di questa città è nata nel confronto con altre persone che, nella realtà, costruiscono davvero le città?

    Risposta
    Assolutamente no. Per la maggior parte i miei disegni iniziali si basavano sulla lettura della sceneggiatura di Besson, quindi sulle mie idee, sul mio sentimento, sul modo in cui immaginavo la realizzazione della scena, e poi facevo vedere questi disegni a Luc. Eravamo dieci disegnatori a occuparci dei costumi, o delle armi, dei veicoli, dei dettagli; io mi occupavo dei grandi ambienti, è quello che mi è sempre piaciuto di più, ed è per questo che Besson mi aveva assunto. Così ho immaginato una New York davvero gigantesca, perché questo era scritto3 nella sceneggiatura, ma in che modo doveva esserlo non era chiaro. Io ho pensato che poteva essere interessante mostrare una certa New York attuale e a me ben nota, mantenerla così com’è per farla riconoscere, e poi, nel costruire nuovi edifici, scavare a grandi profondità, sventrare interi palazzi, arrivare a profondità incredibili per impiantare sottosuoli, parcheggi, e altri elementi del genere, e in tal modo si potevano ingrandire gli edifici. Poi, di sopra, si aggiungeva il doppio dei piani, per realizzare uffici giganteschi, come ad esempio, nel film, quello di Zorg. Si trattava insomma di idee di questo tipo che io suggerivo a Besson, il quale le accettava dicendo: "E’ formidabile, la prendo." Quando feci il grande disegno dell’aeroporto di New York, mi ha detto: "Questa immagine tu la vedrai sullo schermo", e in effetti la si vede perfettamente, corrisponde esattamente al mio disegno. Altre volte Besson diceva: "No, non è così che vorrei, non lo sento così," perché non ci chiedeva di disegnare quel che voleva lui, ma faceva una specie di mercato, e diceva: "Questo? questo sì, mi piace, lo prendo; questo no, non mi piace; quest’altro sì, va bene." Sicché sceglieva le immagini in funzione della messa in scena, del film che aveva in mente, e devo dire che molte delle immagini che gli ho proposto sono state mantenute nel film.

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    Domanda 3
    In generale, alcuni scrittori visionari e in generale molta fantascienza hanno anticipato l’evoluzione della società. Lei come immagina la città del futuro? In altre parole, le cose che lei disegna sono come le immagina nel futuro?

    Risposta
    Credo che un disegnatore di fantascienza, almeno per quanto mi riguarda, si diverta a sognare un futuro, un mondo possibile, e non si curi di sapere se la realtà che verrà sarà così o no. Voglio dire che quando disegno delle automobili volanti non mi preoccupo di sapere come verranno costruite. Nelle mie immagini questo rende bene, e nei film ancora di più: si preme un pulsante e la macchina vola, ma come si fa a costruirla non mi interessa minimamente. Per esempio, io ammiro molto i vecchi illustratori italiani e francesi degli anni fra il 1880 e il 1900, che producevano immagini, anch’esse di fantascienza, relative a un’epoca in cui tutti avevano piccole biciclette che volavano liberamente nello spazio, ed erano vestiti alla foggia del tempo, gli ufficiali con grandi baffoni, sciabola, elmo e armatura, e le dame in guêpière e abiti col falpalà. Erano disegni magnifici, e immaginavano che così sarebbe stato nel 1950. C’è un album meraviglioso di questo tipo. Ebbene, gli autori non si preoccupavano della realtà, ma proponevano immagini bizzarre, fantasiose, e similmente penso che il disegnatore di fantascienza prenda visione della realtà attuale, ne estrapoli certi aspetti e la superi. Ma il futuro sarà veramente così? Non ne so nulla.

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    Domanda 4
    Tutto quel che lei ha immaginato può essere interpretato come una metafora delle reti informatiche?

    Risposta
    Io non sono certamente uno specialista di informatica, non possiedo neppure un computer, e al momento di fare disegni e illustrazioni non mi soffermo troppo sulle autostrade dell’informazione e le nuove tecnologie. In fondo, sono convinto che ciò che conti per un disegnatore, lo ripeto, sia presentare in un modo divertente, o meglio, fuori dall’ordinario, qualcosa che non sarebbe in alcun modo presentabile, perché non c’è niente di più stucchevole che disegnare un computer, o uno schermo nudo e crudo, così com’è, e con una tastiera che non è nemmeno una macchina da scrivere di quelle di una volta. Ci sono cose più divertenti da disegnare, e se un semplice computer è insulso, allora io vi aggiungo tubi enormi, cavi dappertutto, e altri dettagli complicatissimi. Questa è però una concezione del futuro o della modernità un po’ ridicola, nel senso che nella fantascienza si ricorre a particolari che il lettore o lo spettatore recepisce come elementi assai diversi da ciò che esiste nella realtà. Per questo si aggiungono cavi, pulsanti, luci, e trucchi del genere per indicare questa differenza. Se si adottassero i vari particolari come sarebbe veramente logico che fossero, sempre più semplici, piatti, ridotti, si avrebbero dei tipi di computer super-computer, che forse fra cinquant’anni saranno grandi così, il che è curioso. Ma disegnarli così non rende, e allora non c’è bisogno di trucchi tanto complicati: almeno i miei personaggi possono andare a passeggio dentro al computer.

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    Domanda 5
    Come entra, oggi, la virtualità nella vita dell’uomo?

    Risposta
    Oggi è la virtualità che si cerca di creare nell’immagine, e, di nuovo, nella fantasia. Forse per la prima volta l’uomo può davvero dar vita a immagini che consentono di muoversi all’interno della fantasia del loro autore, e questo è molto interessante. Allo stesso tempo questo è sempre legato al sogno della macchina, perché è la macchina ad avere infinite possibilità, e i creatori, da parte loro, la utilizzano meglio che possono, e da ciò derivano formidabili invenzioni oppure, al contrario, immagini terribilmente stucchevoli, noiose o con esiti mal riusciti, perché chi sta dietro a quella macchina evidentemente non è un autore valido. Ciò di cui si ha bisogno, perciò, è un bravo autore che sappia come far funzionare la macchina, o almeno che faccia lavorare e collabori con persone in grado di sfruttare al meglio le macchine.

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    Domanda 6
    Questo vuol dire che per l’uso delle nuove tecnologie è indispensabile conservare sempre una grande creatività, perché esse di per sé non offrono alcuna possibilità in più?

    Risposta
    Il computer è piuttosto stupido, non è vero? Se non gli si dice cosa fare non è capace di far nulla. Il computer fa ciò che gli si chiede, e perciò se ancora una volta c’è un autore pieno di idee, impartirà i comandi al computer, e se non sa far nulla creerà dei trucchi insulsi, come la pioggia. Io credo che ciò che conta anzitutto, ancor prima di saper usare la macchina, è far funzionare quell’altra macchina, il cervello, che è decisamente più importante.

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    Domanda 7
    Dunque, secondo la sua opinione come sarà l’uomo del futuro, in una città come lei l’ha immaginata?

    Risposta
    Attenzione: la città del futuro che ho disegnato per Luc Besson è la "sua" città futura, quella della sua storia. D’altra parte, gli album di Valérian, che produco assieme al mio amico sceneggiatore Pierre Christin da trent’anni, presentano le "nostre" città del futuro, e qui di solito si passa oltre i confini della terra, si approda ad altri pianeti, ad altre civiltà. C’è dunque una grande differenza, perché nel film "Quinto Elemento" c’era la sceneggiatura di Luc Besson, che immaginava una New York del ventitreesimo secolo, e quindi esisteva già una base ben precisa su cui lavorare, ossia New York, e bisognava fare in modo di ritrovare lo spirito di New York nel ventitreesimo secolo. Ma quando disegno Valérian che si muove all’interno di una specie di ONU, cioè di Nazioni Unite dello spazio, su una sorta di satellite assolutamente gigantesco ancora in costruzione, ancora una volta è curioso osservare come la realtà insegua e raggiunga la fantascienza, perché la famosa stazione che adesso si comincia a costruire nei cieli sarà un trucco che comincia esattamente come una storia da me raccontata venticinque anni fa, in cui si parlava di un primo satellite che cominciava a orbitare nello spazio, e delle diverse civiltà extraterrestri che vi si insediavano formando blocchi le une accanto alle altre. Sicché tutto è possibile. Ma ora, parlando della terra, nelle mie storie inserisco un mucchio di popolazioni straniere, di extraterrestri, il cui comportamento a volte corrisponde a quello umano, a volte lo riflette come in uno specchio deformante.

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    Domanda 8
    Molti architetti si sono dedicati a immaginare città del futuro. Lei forse conosce William J. Mitchell, un americano che ha parlato di città dei bit, e ha scritto un libro su questa città del futuro. Ci sono molte altre persone che hanno immaginato città dominate dalle reti informatiche, dove non ci sarà un centro e una periferia, ma tutto si troverà al centro. Lei cosa ne pensa? Non è questa anche la sua idea? Quale uomo abiterà queste città, secondo lei, e cosa farà?

    Risposta
    La differenza fra l’idea di quell’architetto, che non conosco, e le storie che racconto o i disegni che realizzo è che ciò che mi interessa di più sono sempre i personaggi. Nel fumetto il mondo esterno è molto importante, ma ciò che conta è in ogni caso quel che accade ai personaggi, e al cinema è lo stesso. In fondo, se per due ore si vedesse il protagonista che guida il suo taxi e avanza a zig-zag per le strade, in capo a un quarto d’ora ci verrebbe il latte alle ginocchia. Invece, ci interessa sapere se si innamorerà della ragazza, e cosa succederà dopo. Sono sempre le storie d’amore che rappresentano in fondo l’interesse principale nel cinema, e così penso che quando si narrano storie, sia con i fumetti che con i film, ciò che conta è anzitutto la vicenda dei personaggi, mentre la scena non è che una specie di cornice, importante sì, ma non essenziale. Un film o una striscia di fumetti incentrati esclusivamente sui problemi dell’architettura possono forse somigliare a un saggio molto interessante scritto da un architetto, ma non fanno certo un romanzo avvincente, e se non succede nulla ai personaggi per i fumetti è una vera catastrofe.

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    Domanda 9
    Per un europeo come lei, che in gioventù ha lavorato anche negli Stati Uniti, cosa ha rappresentato quella esperienza in relazione all’attività di disegnatore?

    Risposta
    Devo correggere quel che lei ha detto: non ho lavorato negli Stati Uniti, ma ho certamente cercato di ricreare gli Stati Uniti ovunque, per due anni ho viaggiato dall’est all’ovest, e così sono arrivato agli Stati Uniti in un’epoca in cui, all’inizio degli anni Sessanta, erano assai meno presenti nella vita europea di quanto lo siano oggi, i Mc Donald’s all’angolo del palazzo o la televisione che trasmette tutti i feuilleton americani fino alla saturazione. Ma a quell’epoca esisteva ancora il mondo così diverso della vecchia Europa, che si stava risollevando dalla guerra, e per un piccolo francese gli Stati Uniti nel 1960 erano una scoperta strabiliante. Allora era così, ma io continuo nei miei viaggi, e ogni volta che ritorno, non solo negli Stati Uniti ma in tutti i paesi, sia che me ne vada a passeggio a Roma, sia a Firenze, tutto ciò che mi interessa, dai frammenti delle antiche architetture alle grandi costruzioni moderne, da un ponte sospeso a San Francisco alle rovine di un tempio romano, tutto questo mi rapisce, e nella mia testa ne faccio altrettante piccole fotografie: un giorno questo riemergerà nelle mie storie di fantascienza, o forse no. Ciò che conta, credo, è la curiosità, che per altri disegnatori potrà consistere nello sfogliare libri: bisogna arricchirsi in tutti i modi possibili, poiché il disegnatore di fantascienza deve concretizzare un gran numero di elementi, e a tal fine dispone di un suo universo interiore, ovviamente, che a sua volta si nutre della sua cultura generale. Per me l’architettura è stata effettivamente importante, quando per la prima volta ho visto i palazzi di vetro di Manhattan è stata un’esperienza straordinaria. Ma oggi, ormai, a Parigi e ovunque, si trovano quasi le stesse cose, sicché l’America non è più tanto diversa quanto lo era nel periodo in cui imparai a conoscerla.

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    Domanda 10
    Quale sarà il suo prossimo progetto?

    Risposta
    Per il momento George Lucas o Mr Spielberg non mi hanno ancora telefonato perché lavori al loro prossimo film, perciò pazienza! Intendo preparare un nuovo album di fumetti con Pierre Christin, il mio sceneggiatore, e sarà il diciottesimo o diciannovesimo albo di Valérian, ancora una volta molto diverso dai precedenti, perché c’è questo di straordinario negli albi di fumetti, che la fantascienza, libro dopo libro, può raccontare storie totalmente differenti ambientate su altri pianeti, in altre epoche, prima, dopo, con la terra o senza, ed è un vero piacere, un lusso straordinario nel corso di decine d’anni poter raccontare delle storie a volte con gli stessi personaggi, e ogni volta rinnovarsi completamente. E’ un lavoro appassionante, e ora ho appena avviato un nuovo album, che impiegherò un paio d’anni a terminare, e poi vedremo cosa succederà.

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    Domanda 11
    Secondo lei, come sarà la città del futuro, a prescindere dai disegni e dalla fantascienza?

    Risposta
    La città del futuro? Vivendo a Parigi, so per esperienza che se continuerà ad aumentare il numero di automobili in circolazione per le strade, fintanto che non voleranno la situazione sarà spaventosa. Perciò sono in favore di città dove l’uomo, il terrestre, non importa di dove o di quale paese, sarà un po’ più ragionevole, e si preoccuperà di avere meno automobili, meno inquinamento, di vivere più intelligentemente, e soprattutto di arrivare, in un mondo tanto popoloso, a comprendere le altre civiltà e a non rinchiudersi in se stesso, e vivere intelligentemente. E forse il lavoro al computer e la comunicazione diretta senza il bisogno di spostarsi, di prendere l’automobile per andare a consegnare il proprio lavoro, visto che si può inviare tutto tramite computer, porterà davvero un reale cambiamento nel modo di vivere. Forse fra cent’anni ci si muoverà di meno, se non per puro piacere. Ma io non ci sarò a vedere tutto questo, se non sbaglio!

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