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    Guido Martinotti

    Summit della Telecom sulla società della telecomunicazione, Napoli, 05-07-1996
    Telegeografia dell'era globale
  • Martinotti comincia con lo spiegare le ragioni del ritardo europeo nello sviluppo tecnologico rispetto a Stati Uniti e Giappone motivandolo soprattutto con una sorta di pregiudizio morale di fronte all'opportunità di ricavare profitti da investimenti su scoperte scientifiche (1) .
  • In Giappone é stato ipotizzato un investimento di 155 miliardi di dollari in cinque anni per la ricerca scientifica (2) .
  • Ancora, il ritardo europeo si spiega con la mancanza di formazione (3) ,
  • Quindi quella che si definisce "rete globale" in realtà si diffonde su tutto il globo terrestre ma non con la stessa intensità (4) .
  • Nella "città digitale" si assiste ad un nuovo tipo di comunicazione che rende possibile un'interazione anche senza alcun contatto fisico. Da questa interazione, pur se priva di fisicità, nasce comunque una norma che regola i rapporti sociali (5) .
  • Questa città digitale si sovrappone a quella tradizionale non per sostituirla ma piuttosto per arricchirla (6) .
  • In essa aumenta certamente la comunicazione immateriale così come, però, aumenta anche quella materiale (7) .
  • Perché sempre maggiore sia la popolazione delle città digitali i governi devono attuare corrette politiche di educazione e formazione (8) .
  • Il rischio di una discriminazione tecnologica, in particolare nel mondo del lavoro, esiste ma é più un rischio di carattere politico e culturale che non strettamente connesso alla tecnologia. Inoltre i destini della società digitale dipendono in gran parte dagli intellettuali poiché mai come ora sono stati direttamente coinvolti dallo "sviluppo industriale" (9) .
  • Anche il mondo della politica subisce profonde mutazioni dovute all'avvento dei nuovi media. Ciò che cambia in modo particolare é il processo di scelta politica, sempre più intuitivo e rapido (10) .
  • Esiste il rischio che i nuovi media, fornendo troppi stimoli, provochino una perdita del senso di ciò che si incontra, per esempio, su Internet. Ma esistono anche forti forme di selettività e di adattabilità che possono attenuare gli effetti di tale pericolo (11) .
  • La società della comunicazione globale richiede un'etica planetaria, un sistema di regole di comportamento generali però non così facili da individuare (12) .
  • L'ipotesi del pericolo di diffusione di un pensiero unico non sembra così preoccupante per Martinotti, il quale crede che l'affermazione e la diffusione di certi modelli ha caratterizzato tutte le fasi della storia dell'uomo, senza che questo creasse problemi irrisolvibili (13) .




  • INTERVISTA:

    Domanda 1
    Nella sintesi del Suo intervento, Lei sostiene che la qualità scientifica e la diffusione industriale e commerciale dell'innovazione in Europa si trovano in disequilibrio rispetto ad altre realtà economiche, come quella statunitense.

    Risposta
    Negli ambienti di politica scientifica della Commissione Europea si è messo a punto un lavoro di previsione, di analisi delle debolezze e delle forze rispettive del sistema europeo nei confronti, soprattutto, degli altri due grandi sistemi: quello nord americano, in particolare statunitense, e quello giapponese. E' emerso con una certa chiarezza che il sistema europeo dimostra un buono e anche ottimo livello di qualità della ricerca scientifica, ma un livello insoddisfacente della capacità di tradurre i risultati della ricerca scientifica in azioni economiche competitive, in cose che sono utili, che hanno valore. Il Giappone si trova nella posizione opposta sulla matrice: possiede una grande capacità di produrre le cose e un po' meno di inventarle. Gli Stati Uniti, invece, sono in una posizione elevata in entrambe le variabili, quindi hanno una posizione più forte. L'esempio che si fa sempre, che forse riesce meglio ad illustrare cosa voglia dire questa classificazione, è proprio l'esempio di "Netscape", che è un'impresa diretta da Jim Clark. Jim Clark ha guadagnato una quantità straordinaria di soldi investendo in un insieme di strumenti che servono per navigare in Internet. Cosa vuol dire: servono per navigare? Sono strumenti che rendono facile la comunicazione attraverso la rete Internet. Alla base, per comunicare nella rete Internet, bisognerebbe conoscere dei programmi, - per esempio "Unix" -, che alcuni studenti e studiosi conoscono, benché siano complicati; questa ditta, invece, ha inventato questo strumento - Netscape - che, come si dice, è un interfaccia, cioè, un traduttore. L'utilizzatore vede dei disegnini, "clicca" da qualche parte e lo strumento traduce queste azioni dell'utilizzatore in comandi, che poi vanno sulla rete. Questo processo è, se vogliamo, una cosmesi. Non è nemmeno una cosa straordinaria, ma ci vuole una certa intelligenza per farlo. Originariamente, questo modo di andare alla ricerca delle cose, ordinare i materiali - operazione che si chiama "World Wide Web" che fa parte, appunto, del sistema Internet -, non è stato inventato dagli americani, ma da alcuni scienziati e fisici del laboratorio europeo: il CERN di Ginevra. Si tratta di uno dei grandi laboratori di fisica che ha grandi problemi di accumulazione di dati, di trasmissione delle informazioni. I fisici del CERN hanno pensato, essendo molto bravi, di mettere a punto un sistema per distribuire, archiviare queste informazioni su scala mondiale e hanno inventato il " World Wide Web". Questa invenzione, però, serviva unicamente a quelle poche migliaia di fisici che svolgevano la loro attività in ambito accademico. Finché un giovane "softwerista" americano ha pensato si poteva fare la stessa cosa per tutte le persone interessate. Quindi, dalle poche migliaia di fisici, da un mondo molto ristretto, si è passati immediatamente ad un potenziale mercato di alcune decine di milioni di utilizzatori. E Jim Clark, che era il proprietario di una ditta di "software", incontrandosi con questo giovane "softwerista" ha capito che c'era una potenzialità di mercato ed ha investito una quantità molto elevata dei suoi soldi - sei milioni di dollari -, che costituivano un terzo del suo patrimonio. Insieme ad altri, poi, con dodici milioni di dollari, ha scommesso su questo programma "software", che si è trasformato immediatamente in un prodotto di successo. Per concludere la storia, emergono due morali. Una morale è economica: non c'è niente di male a fare i soldi, anche con uno strumento scientifico. E questa è una cosa che gli americani hanno ben chiara e che invece gli Europei qualche volta non colgono, perché hanno delle reticenze, un conservatorismo, come diceva Jim Clark. La seconda morale che emerge è una morale più sottile, in un certo senso, che ha a che vedere con il successo, però ha anche a che vedere con l'atteggiamento elitario nei confronti dell'informazione: i fisici del CERN avevano un atteggiamento elitario, nel senso che pensavano ai propri colleghi

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    Domanda 2
    Per quanto riguarda il Giappone, invece, c'è la possibilità di un recupero?

    Risposta
    I giapponesi hanno risposto a questa visione della messa a punto dalla Commissione Europea esattamente il 23 giugno, con una conclusione di un Comitato di consulenza al governo giapponese, che raccomanda l'investimento di ben 155 miliardi di dollari, nei prossimi cinque anni, per sviluppare la ricerca scientifica, i laboratori scientifici e le università in Giappone. Se questo suggerimento verrà adottato, come probabilmente sarà, ci troveremo di fronte ad una rincorsa sul piano della qualità scientifica. I giapponesi rispondono con un enorme aumento della loro capacità di ricerca e di insegnamento universitario, che andrà largamente speso in infrastrutture di ricerca, biblioteche, aule, e così via. Questa recente novità, fra l'altro, è passata inosservata, poiché mi risulta che solo il "Sole 24 Ore" abbia, dopo qualche giorno, dedicato un ampio servizio a questa notizia. Ma, in generale, questa battaglia che si sta combattendo ai massimi livelli fra i tre sistemi, non è percepita in modo molto chiaro dalla opinione pubblica italiana. Invece sarebbe bene che lo fosse.

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    Domanda 3
    In tal senso, proprio per spiegare anche il ritardo europeo rispetto agli Stati Uniti, il Centro Studi "San Salvador" individua alcune carenze. Può indicarmi quale, a Suo avviso, è la più rilevante: la mancanza di capitale umano, quindi la formazione, la mancanza di liberalizzazione di mercati, quindi l'economia, o la mancanza di integrazione tra informatica e telecomunicazioni?

    Risposta
    E' difficile fare un unico "raking" su una sola dimensione. Ciascuno dei settori deve penetrare nell'altro. Da un punto di vista del ritardo complessivo, direi che la mancanza di formazione è la più importante e anche quella dove si può segnalare una grande diversità. Faccio un piccolo esempio: tutti forse hanno visto il film "L'olio di Lorenzo", dove c'era un padre che haveva un figlio con una malattia straordinaria ed i medici non riuscivano a trovare un rimedio. Lui stesso si è impegnato per trovare il rimedio, si è trasformato. Dove andava il padre per cercare un rimedio alla malattia del figlio? Andava in biblioteca. Negli Stati Uniti è normale che, quando si ha un problema, andare in biblioteca per trovare la risposta in un libro. Il personaggio del padre dormiva anche in biblioteca. Per il pubblico italiano questa è una nozione del tutto abnorme: nessun film italiano presenta un eroe, che, per risolvere un suo problema, va in biblioteca. Anche perché, se ci va, poi lo cacciano fuori subito, non lo lasciano lavorare in biblioteca. Questa è una grande diversità che noi non riusciamo bene a percepire, perché spesso, chi tratta di questi contenuti, fa parte dell'élite che legge e scrive, che è colta e che pensa che tutti siano così. Ma l'Italia ha la più bassa percentuale di laureati e, forse, fra tutti i paesi del mondo - ormai non si parla più solo di Europa, ma anche del mondo -, ha la più bassa percentuale anche di diplomati. In Italia, il tasso di lettura è estremamente basso e questo, naturalmente, rappresenta una carenza di capitale umano. Alcune cose che si fanno nel mondo, oggi, passano attraverso la conoscenza; quest'ultima non è un lusso dell'"élite", ma una materia prima che ha una funzione ormai chiarita nello sviluppo economico. Non è generico, si può anche calcolare, e l'Italia è molto arretrata da questo punto di vista perché ha un sistema educativo fortemente scisso. Noi abbiamo, per esempio, delle punte molto elevate, come il Liceo Classico, poi la grande massa che non studia e che non vuole studiare, non ha il gusto, non è interessata. Questo è un grosso problema, di cui, purtroppo, se ne rendono conto solo in pochi. Quelli che non leggono e non studiano non sentono la mancanza di questo bene, perché fino al momento in cui non si è fatto un investimento nella cultura, non se ne sente la mancanza proprio perché non la si percepisce. Nelle università americane tutti gli studenti sanno scrivere a macchina, sono abituati a presentare dei rapporti scritti. Ciò significa anche avere una certa preparazione nel modo di farli, un certo talento. Ma soprattutto sanno scrivere a macchina perché glielo insegnano nelle "high school". In Europa, viceversa, nessun professore universitario - posso dirlo anch'io -, si sognerebbe mai di chiedere ad un proprio studente un rapporto scritto a macchina; glielo può chiedere scritto a mano, ma non glielo chiede neppure, perché non c'è l'abitudine a scrivere. Questa è una "piece", direte voi, una "piccolezza". Non lo è, perché questo diverso talento diffuso nella popolazione, ha permesso la diffusione del P.C. negli Stati Uniti con tre o quattro anni di vantaggio, perché il passaggio dallo scrivere a macchina all'usare la tastiera del P.C. era un passaggio normale. Io faccio il mio esempio di professore, ed in quanto tale ho dovuto saltare questo passaggio. Io scrivevo a mano e c'era una persona che pagavo la quale dattilografava i miei "papers", come si dice in americano. Per passare al computer ho dovuto imparare a scrivere a macchina - si fa per dire; imparare, forse, è una parola eccessiva -. In ogni caso, per i miei colleghi e studenti americani - perché io insegno anche in un'università americana - il passaggio ad un'altra tecnologia è assolutamente normale. Questo è un altro elemento che spiega come la diffusione di queste tecnologie abbia bisogno di certi sostrati, oppure, come certi sostrati - la diffusione di conoscenza nella società - favoriscano, più o meno, la diffusione delle tecnologie, e a

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    Domanda 4
    Nel rapporto "San Salvador" la rete globale viene definita un mito, una leggenda, tenuto conto che il 90% del mercato dell'informazione sta in questi tre blocchi: Stati Uniti, Europa, Giappone.

    Risposta
    Quando parliamo di globale, dobbiamo stare molto attenti al suo significato. Globale vuole dire qualcosa che può andare ovunque, sul globo, che può andare dovunque, ma non egualmente in tutti i punti del globo. Per immaginare che cosa possa voler dire globale, si pensi ad una rete che sta intorno al globo, e quindi ad una rete con dei pieni e dei vuoti; più vuoti che pieni, in un certo senso. Ci sono dei luoghi dove ci sono gli strumenti per creare questa comunicazione, come si dice in una materia che si chiama "Telegeografia", la geografia della distribuzione delle telecomunicazioni. Questa rete, però, non è sospesa nell'aria, ma poggia su dei piloni. Immaginiamo che questa rete sia eterea, che stia sopra, che effettivamente stia nell'aria con i satelliti, i messaggi, ed abbia una sua fisicità nell'aria; anche se non la vediamo, è fisica perché è elettromagnetica; ad un certo punto, però, si deve appoggiare, ci devono essere dei piloni atti a sostenerla. Ecco: questi piloni si appoggiano in alcuni punti della terra. Quali sono questi punti? Sono i punti dove ci sono le strutture necessarie per sostenere i piloni. Queste strutture cosa sono? Sono i servizi che servono, appunto, a far funzionare un sistema di telecamere; i servizi che servono a portare i cavi; i servizi che servono a riprodurre le immagini, i servizi di copiatura, fax, xerox; i servizi legali per far funzionare tutto questo, fino al catering di tutta questa organizzazione. Tali servizi sono localizzati, in misura veramente predominante, in alcuni posti della terra ad esclusione di altri. Possiamo, anzi, dire che sono localizzati in modo veramente predominante in alcune città, che sono chiamate, appunto, "città globali": Tokyo, New York e Londra. Se andiamo a confrontare queste tre città rispetto a tutto il resto del mondo - comprese grandi città come Parigi, Berlino, Milano, Roma, Napoli e Los Angeles- negli ultimi quindici anni, per questa serie di servizi la differenza è aumentata in modo impressionante e naturalmente sono aumentate delle cose che vanno assieme a questi servizi, come, per esempio, tutto il controllo del mercato finanziario, che è concentrato sempre di più in queste piccole zone. Quindi: la rete è globale nel senso che va dappertutto, ma non con la stessa intensità e, soprattutto, i posti di comando di questa globalità sono selettivi. Questo dobbiamo capirlo, perché "il mondo diventa più piccolo" per alcuni, ma non per altri.

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    Domanda 5
    Che cos'è la città decontestualizzata?

    Risposta
    La città digitale è sicuramente la città in cui c'è una scissione, che, ormai, viviamo, e che non ha nulla di drammatico in sé, fra la fisicità delle comunità tradizionali - che erano composte di una parte sociale: di norme, di rapporti, di cultura -, e una parte, come dicono i sociologi, "biotica", cioè di "fisicità", di "bios", di essere vicini, di essere parenti, di toccarsi e sentirsi; questa è la comunità come lo è stata per milioni d'anni fino alla fine del secolo scorso. Nella nuova forma di società, questa fisicità non scompare, ma sta in alcuni luoghi, che sono scissi dai luoghi di altro tipo di comunicazione. Per esempio, appunto, quello della "comunità virtuale", che è un'espressione fuorviante. In realtà in questo luogo non c'è più la comunità, perché si tratta di un tipo di interazione non fisico. L'aspetto interessante è nel pensare sempre la società come la conosciamo noi, con le sue norme, i suoi rapporti di potere, le sanzioni, per esempio, contro la devianza; naturalmente, per un sociologo sono fondamentali, perché sono lo specchio della società, e guardando le sanzioni, noi capiamo com'è fatta la società. E' come quando si vede: "Divieto di scarico"; si sa che lì ci sono le immondizie: è la norma che determina, non c'è norma che non sia creata per un comportamento. I sociologi che guardano queste sanzioni hanno capito da tempo, a seguito di alcune ricerche d'avanguardia, che queste sanzioni sono altrettanto forti in questo spazio puramente sociale che è l'interazione senza contatto fisico. Quello che le ricerche hanno dimostrato in modo assolutamente straordinario, è che esiste una forza della norma che deriva dall'interazione anche fra persone che neppure si conoscono, che non sanno nemmeno dove sono, gruppi del tutto anonimi, come sono i gruppi che lavorano su Internet. Esiste una famosa pratica, in Internet, che si chiama "flaming", che consiste nel modo in cui si interagisce con delle persone che cercano di disturbare dei gruppi. Si è visto, quindi, che esiste una società intesa come un "insieme di norme"; queste norme da chi sono prodotte? Da coloro che agiscono: è una società altrettanto forte della società fisicamente presente, ma che si svolge in un altro spazio. Ecco: questa è, inevitabilmente, la società in cui noi già in parte viviamo, i nostri figli vivranno sempre di più, e quindi dobbiamo capire come funziona. Si tratta di una società che non ha perso la sua fisicità -la sua fisicità continua a rimanere-, ma che, per porzioni crescenti del comportamento, vive in un altro spazio. La chiamiamo "cyberspace", possiamo chiamarla come vogliamo. Siamo appena agli inizi dell'apprendimento di cosa succederà o cosa sta succedendo in questa nuova, affascinante società, che non sarà né bella né brutta, o forse né peggio né meglio della nostra; non lo sappiamo. Certamente sarà diversa da quella a cui noi siamo abituati.

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    Domanda 6
    E come si sovrappone questa alla vecchia idea di città?

    Risposta
    Si sovrappone in modo molto complesso, come vediamo. Si sovrappone, per esempio, nelle strutture economiche che derivano da questa nuova città, nelle strutture fisiche e anche nella sua composizione spaziale; e, naturalmente, come tutte le città, è dentro la vecchia, non si vede. Come la città medievale è cresciuta scavandosi dentro ai castelli del feudalesimo, e all'inizio non si vedeva, era marginale, poi ha inglobato i castelli ed è diventata una nuova cosa. O come la città romana che sta sotto Napoli, non si vede più. Perché? Perché Napoli a poco a poco l'ha superata. Facciamo un esempio molto semplice: ci sono una serie di persone che vivono, come dice un mio amico inglese, non nelle città, ma tra le città. Si tratta sempre di una porzione di persone che vive questo sistema globale, il quale, naturalmente, include anche i trasporti aerei, le telecomunicazioni, che -per aprire una piccola parentesi molto importante- non sono sostitutive. Esiste una specie di luogo comune che si chiama "substitution effect", e su cui si dice: la gente non si sposterà più perché c'è la teleconferenza. Non è vero. Oggi le due cose si combinano, anzi, le ricerche hanno dimostrato che normalmente la telefonata serve a combinare un viaggio, non a sostituirlo interamente. In alcuni casi sì. Direi che le conferenze siano proprio uno dei pezzi di questa nuova città. Quanto più si comunica, tanto più si ha bisogno di vedersi, ogni tanto, per fare il punto, per "ricostituire". Questa città -che è costituita da quelli che io chiamo "metropolitan businessman", di persone che si muovono in questo ambito metropolitano molto fortemente- c'è già, ma è nascosta dentro la vecchia città. Se facessimo un esperimento mentale, o anche col computer si potrebbe fare, facendo alzare di un metro o di due metri tutte le strutture che già servono questa popolazione, vedremmo una nuova città che c'è già: gli aeroporti, le sale di conferenza, i taxi, i ristoranti, gli alberghi, le riunioni, e così via. Le telecomunicazioni cambiano la forma. Possiamo fare anche un altro esempio che può sembrare frivolo, ma è molto interessante: una delle imprese più innovative nel campo del tempo libero è stato il "Club Méditerranée". Il "Club Méditerranée" è importantissimo perché il turismo è uno dei settori in maggiore espansione nella economia mondiale e quindi il "Club Méditerranée" è un pezzo importante di questo nuovo settore. Quando noi pensiamo all'innovazione, non la intendiamo solo in fabbrica, o nei negozi; c'è anche un'innovazione rispetto al concetto di tempo libero. Il "Club Méditerranée" non è nient'altro che un'applicazione di tecnologie di organizzazione immateriale per un'attività tradizionalissima, che era quella di andare al mare. Il turismo è stato enormemente favorito dalla diffusione delle tecnologie informatiche di comunicazione e dall'uso delle vie rapide di comunicazione. Nell'insieme, il "Club Méditerranée" non potrebbe svilupparsi senza avere questo supporto. Se vogliamo capire cosa avverrà o cosa sta avvenendo nel mondo della comunicazione, non dobbiamo fermarci alle cose tradizionali, perché se continuiamo a fare discussioni su televisione sì - televisione no, libro sì - libro no; se continuiamo a porci queste domande che possono essere interessanti, ma non ci dicono molto, non troviamo le risposte giuste. Il domandarsi se la poesia sopravviverà o meno in maniera informatica, è una domanda oziosa e anche troppo generica. Cosa vuol dire? Ovviamente, mi sembra assurdo che non possa sopravvivere; però, le risposte che possiamo dare non sono né verificabili, né tantomeno utili, perché sono troppo generali e di carattere emotivo; non sono domande analitiche. Se vogliamo capire cosa sta succedendo, dobbiamo stare molto attenti e porci delle domande analiticamente corrette, domande che presuppongano una teoria, che possano ottenere delle risposte empiriche e che, soprattutto, evitino di porsi dei problemi troppo grossi, perché nessuno, nemmeno nelle fasi precedenti di sviluppo

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    Domanda 7
    E la comunicazione immateriale invece che cosa comporta?

    Risposta
    La comunicazione immateriale, a mio avviso dobbiamo ancora capire bene a che cosa porta, innanzi tutto perché c'è stato un primo momento in cui sembrava che il mondo diventasse tutto immateriale. E non si è capito che il mondo non è diventato tutto immateriale. Noi viviamo una società che ha contemporaneamente aumentato, enormemente, la quantità di transazioni immateriali e la quantità di quelle materiali. Continua ad aumentarle, come del resto si vede, girando in qualsiasi città del mondo e vedendo la quantità di energia che serve per far funzionare materialmente le città. Dunque, noi siamo appena agli inizi di questa nuova era e io penso che la comunicazione immateriale abbia due grossissimi effetti. Uno degli effetti è molto positivo, di cui però non sappiamo ancora valutare tutte le conseguenze -perché è positivo solo rispetto ai nostri parametri-, che riguarda la diffusione delle conoscenze, l'aumento dell'apertura mentale, la capacità di metterci in contatto con forme diverse di organizzazione culturale, materiale della vita; è un effetto, in un certo senso, se vogliamo usare una parola un po' grande ma forse non del tutto disappropriata, di affratellamento, di tolleranza, di apertura mentale. Però, nello stesso tempo, questo tipo di comunicazione rende anche obsolete, mette a rischio, molte altre forme di vita, di organizzazione, di vita sociale creando molti timori, molte ansie e molte reazioni.

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    Domanda 8
    All'interno di questa città, chi sarà veramente attore di questa comunicazione? Rodotà, ad esempio, rifletteva sulla possibilità della nascita di un'"apartheid informatica".

    Risposta
    Non lo so, non lo sappiamo. Non lo so io, non lo sa Rodotà, non lo sa nessuno. Perché noi siamo sempre, continuamente, in questo tipo di azioni, dentro a delle biforcazioni. Le persone intelligenti, colte, che studiano questi processi, intravedono a mala pena la prima, e forse la seconda delle biforcazioni, ma difficilmente si possono vedere la terza e la quarta, e le interazioni fra la prima non presa, la terza e la quarta. In questo caso, poi, è molto difficile dirlo. Ho letto anch'io l'articolo di Rodotà. Questo è un tema che emerge continuamente. Io però, condividendo le opinioni di Jim Clark, penso che ci siano altrettanti segni che non sia così. E' verissimo che nel sistema in cui siamo, il calcolatore "Tecra", poiché costa diecimila dollari, con cinque CD ROM in cui si può avere un' "aperçu" sulla storia del mondo, non è accessibile ai bambini di Harlem. E' anche vero, però, che attraverso la scuola è possibile utilizzare delle intelligenze che possono, con questi strumenti veramente, "bypassare", "superare", saltare moltissimi passi della scalata alla conoscenza. Questi sono strumenti molto aperti all'intelligenza e ai talenti. E' un problema di politica pubblica. Jim Clark ci ha detto che in molti paesi in via di sviluppo si è capito che bisogna entrare a dei livelli superiori utilizzando la tecnologia. Io non credo che sia impossibile attuare questo. Del resto, abbiamo visto molte economie, come quelle asiatiche, che, utilizzando questo criterio del vantaggio dell'ultimo arrivato, hanno avuto dei salti di produttività straordinari. Non si capisce perché questo non sia possibile anche nel campo delle conoscenze. E' abbastanza visibile che le potenzialità ci sono per sviluppare dei mercati di intellettuali, culturali, attraverso queste nuove tecnologie. Dipende dall'operatore pubblico, dall'attore strategico. E Jim Clark ha detto una cosa molto bella, che noi tendiamo sempre a dimenticare: è compito del "government", dello "stato", del sistema pubblico, di assicurare a tutti un accesso eguale a questi strumenti di conoscenza. Questo era il compito che nell'Ottocento la scuola pubblica in Europa ha svolto con grande efficienza e dobbiamo semplicemente capire qual è adesso il compito analogo e qual è l'istituzione che avrà questo compito. Sarà la scuola? Forse sì, forse no. Però, certamente, bisogna che ci sia qualche attore che si preoccupi di svolgere questo compito. Io non penso che sia impossibile, e penso anche che avverrà onestamente.

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    Domanda 9
    Quindi non ritiene reale il rischio che Rifkin, nella fine del lavoro, paventa, di una differenziazione fra "knowledge workers" e una massa infinita di disoccupati?

    Risposta
    Il rischio è reale. Io ho fiducia che la società, come in molte altre situazioni, trovi delle risposte a questo rischio, perché non vedo nella tecnologia niente di inerentemente incapacitante per queste risposte. Mi sembra che il rischio sia di natura politica, sociale, culturale; non è un rischio tecnologico. Di per sé, questa tecnologia offre la possibilità dell'una e dell'altra cosa soprattutto con questo tipo di tecniche che abbiamo a disposizione. Bisogna, naturalmente, trovare il sistema economico. I criteri li ha elencati bene Clark: accessibilità: le cose devono essere facili da imparare, da diffondere, e poi, soprattutto, devono avere un costo accessibile a tutti. Questi mi sembrano tre criteri abbastanza piani a cui si può dare una risposta positiva, come la si è data nel XIX e nel XX secolo, al problema della diffusione delle conoscenze necessarie per vivere, per prosperare, per guadagnare nella società industriale. Nelle società precedenti, per esempio, non si dava questa risposta. Non vedo perché oggi queste tecnologie non possano darla. Però capisco perché gli intellettuali siano sospettosi. Gli intellettuali, soprattutto i cosiddetti intellettuali umanisti -anche se questa distinzione mi sembra spesso esagerata- sono molto sospettosi; e sono particolarmente sospettosi per questa tecnologia, mentre sono stati spesso molto progressisti nello sviluppo industriale. Perché? Per una ragione molto semplice: perché questa è la prima tecnologia che attacca direttamente il lavoro degli intellettuali. Mentre, una volta, le trasformazioni tecnologiche erano tutte sulla "coté" del lavoro manuale e le classi superiori, intellettuali ne ricevevano degli effetti indiretti, perché non toccavano il loro modo di lavorare quotidianamente, oggi, chiunque svolga un lavoro intellettuale inteso in senso molto ampio, gramsciano, capisce che questa tecnologia andrà ad intaccare la sua capacità manuale, quotidiana, operativa. Del resto, Fernanda Pivano diceva: io non riesco, è troppo difficile per me. E capisco che lo sia. Ma per un ragazzino non è affatto difficile, perché vive dentro questo mondo. Quindi capisco perché gli intellettuali temono questa nuova tecnologia, ed hanno ragione, in un certo senso, di preoccuparsi poiché l'organizzazione del lavoro intellettuale, più che ogni altra organizzazione del lavoro, viene toccata da queste nuove tecnologie.

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    Domanda 10
    La politica che ruolo ha rispetto all'organizzazione? Perché, per certi versi, sembra che il sovraccarico di informazioni renda la capacità del politico di decidere meno credibile o meno efficace di un tempo.

    Risposta
    Io penso che la politica tradizionale sia molto esposta ai cambiamenti e quindi, in un certo senso, la farei rientrare nel mio discorso sul lavoro intellettuale, perché fa parte di quel complesso. L'uso molto forte dell'informazione, dell'immagine, della rapidità di informazione, della presenza dell'informazione sull'arena politica ha provocato uno spostamento impercettibile -nel senso che non è stato percepito-, ma piuttosto radicale, tra il momento della produzione politica ed il momento della creazione del consenso. Dal momento, cioè, della produzione di decisione enorme, il sistema politico è diventato sempre più fragile e sempre più, in un certo senso, contenuto nel processo complessivo, mentre c'è stato un ingigantimento del momento di formazione del consenso. E l'immagine si vede benissimo nella presidenza americana: il Presidente americano ormai, appena è stato eletto, deve cominciare a pensare alle elezioni successive, se non è all'ultimo anno. E naturalmente sempre sotto il fuoco dei riflettori, cioè, la creazione di consenso. Mentre, invece, il momento della presa della decisione, della realizzazione della decisione è più costretto, non ha avuto gli stessi vantaggi. E questo è il secondo punto. Perché non ha avuto gli stessi vantaggi? Perché noi abbiamo un modello molto "razionalistico" del sistema delle decisioni, che sostanzialmente funziona così: si raccolgono le informazioni su un certo problema, queste informazioni vengono, poi, filtrate -vengono, cioè, proposte delle alternative-; poi c'è un decisore razionale che sceglie fra queste alternative sulla base di una razionalità limitata alle formazioni che possiede, sceglie la migliore, poi si produce, e così via. Oggi non è più così: le informazioni non provengono in un momento ordinato di flusso, ma da tutte le parti ed in tutti i momenti. Vince, in questo gioco, chi è capace di decidere in modo -dico forse una cosa eretica- assai casuale. Mi sembra che stia avvenendo, nel mondo della decisione politica, una trasformazione che da un sistema razionale porta verso un sistema in cui contano molto l'intuizione, la capacità di mobilitare le risorse per le decisioni in quel momento. Ciò non vuol dire approssimazione, perché io mi riferisco sempre a risorse su una struttura di capitale umano avanzato, in cui gli attori e le risorse che vengono mobilitate sono di qualità. Non credo alla demagogia pura, al movimento delle emozioni che pure c'è, ma che mi sembra non sia stato quello mobilitato negli ultimi tempi. Non intendo ciò per trasformazione. E' però qualcosa di molto più complicato, che presuppone una rottura -lo dico con grande dispiacere- del modello razionalistico di uso delle informazioni, per individuare delle alternative.

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    Domanda 11
    E al livello individuale, la quantità di nozioni che arrivano non rischia di far perdere la nozione di senso.

    Risposta
    Al livello emotivo direi di si. Ciascuno di noi ha questa sensazione. Si prova in un momento o nell'altro della giornata o della vita o della settimana o di quando guarda la televisione. Si ha come un'impressione -come diceva Gallino- di overdose, di eccesso, di sovraccarico. Io però penso che, contemporaneamente, come avviene sempre, ci sono grandi forme di adattabilità e di selettività, che vediamo già all'opera. Penso che questo sia un campo che da approfondire in modo molto analitico, col criterio che dicevo prima, cercando di trovare una risposta che non sia una semplice risposta alla nostra sensazione. Gallino diceva che Internet dà troppa libertà. Dà troppe informazioni a chi non sa chiedere. Chi sa muoversi ottiene delle risposte più precise. Bisogna, dunque, imparare ad usare questo strumento, che è ricco di informazioni e certamente non lo possiamo usare aprendo un armadio e facendoci cadere addosso quello che c'è dentro. Dobbiamo stare attenti come quando si è a terra dopo che si è stati in aereo, quando si dice: "Aprite il portabagagli e state attenti che però non vi caschi in testa niente". Bisogna che vada aperto con gli strumenti necessari. Penso che si possa essere più selettivi, ed automaticamente, ognuno di noi tende ad essere molto selettivo, come avviene per la televisione e per il cinema. Però, certo, qualche trasformazione c'è e dobbiamo forse capirla, studiarla meglio di quanto non sia stato fatto finora, almeno per quanto io ne sia a conoscenza. In questo momento c'è soprattutto una grande discussione emotiva. Non ho visto molte spiegazioni analitiche. Ci saranno trasformazioni. Ogni civiltà ha la sua forma di cultura. Noi abbiamo questa. Vediamo come si sviluppa.

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    Domanda 12
    Ritornando a parlare dei massimi sistemi, Bodei pone -e risponde positivamente- la possibilità di un'etica planetaria. Su che cosa si dovrebbe basare questa ipotesi?

    Risposta
    Già lo vediamo: noi viviamo, in fondo, in un secolo in cui, con tutte le riserve che possiamo fare, le critiche, in un secolo che ha visto lo sviluppo di organizzazioni mondiali che si pongono il problema di stabilire delle regole valide per tutti. Nel momento in cui Internet diventa una comunicazione globale -e anche diffusa, non solo globale nel senso del globo, ma anche molto diffusa nella popolazione- sempre di più si porranno dei problemi per stabilire delle regole di comportamento. Certe volte, queste cose, sono abbastanza controintuitive. Adesso si fa una grande discussione sulla violenza in televisione, per i bambini. Io, di nuovo, emotivamente, penso che i bambini non dovrebbero vedere certe cose. Però, poi, mi domando: quali cose? Io sono cresciuto in campagna, e posso fare una scommessa che le cose che i bambini facevano, e che io facevo con gli animali, da piccolo, erano vagamente ritenute normali: nessuno ci ha mai impedito nel mio ambiente, un ambiente campagnolo, di squartare una rana, era normale e lo facevano anche gli adulti. Nessuna rete del mondo manderebbe in onda una scena di pratiche di vivisezione che nella mia classe di prima elementare erano ritenute normali e venivano sanzionate. Son disposto a scommettermi la camicia che non c'è rete incallita che manderebbe in giro una scena di questo genere, di violenza sugli animali, soprattutto se fatta da bambini, perché questo è veramente alieno alla nostra cultura. Però, viceversa, sparare con un mitra nella pancia di un gangster è una cosa che si fa e i bambini la guardano e forse non ne sono nemmeno così straordinariamente sopraffatti. Questo voglio dire quando un cambiamento è culturale. I cambiamenti culturali ci sono e sono molto forti; però, certe volte non ce ne accorgiamo. Allora, bisogna capire in che senso vanno. Io, ripeto, non penso affatto che sia possibile essere tutti uguali in tutto il mondo, tutti fratelli, perché vedo che il mettersi assieme produce continuamente nuove diversità. Penso, però, che, sostanzialmente, la negoziazione su quelli che il mio amico Rositi chiama T.M.C., cioè: "Tassi Minimi di Civilità" o di civismo, sia possibile, anzi è quella che continuamente si produce.

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    Domanda 13
    Sempre all'interno del concetto della globalizzazione, Bodei individua uno dei rischi nella possibilità che si imponga un pensiero unico, che poi individua nelle oligarchie.

    Risposta
    Sì! Questa è la famosa "sindrome Jurassic", "Jurassic syndrome", cioè che i Francesi sono stati spaventati dal film "Jurassic Park". Penso, certamente, che i modelli di consumo diffusi da Hollywood o dai grandi creatori di immagini, siano dei modelli che caratterizzano un'epoca, non c'è dubbio. Gli Indiani, i cow-boys, sono dei modelli di raffigurazione che sono uguali per tutti, e non so poi se c'è tanto da lamentarsi. Voglio dire: è successo in ogni epoca, è difficile evitare che questo avvenga. Penso, però, che molte delle attività di produzione televisiva, di produzione artistica, usino questo strumento anche in modo molto localistico. C'è un andare e un venire, ci sono molti più soggetti in corso, che si mettono in moto. Non lo so, questo io non lo vedo come un grande rischio.

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