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    Marc Luyckx

    Chicago, 21/07/1999
    Una nuova società dell'informazione in Europa
  • L'intervistato spiega di cosa si occupa la commissione della Comunità Europea di cui fa parte (1) (2) .
  • I difetti che venivano addebitati all'Europa nell'epoca tardo industriale possono diventare un vantaggio nella società dell'informazione (3) .
  • Il futuro dell'Europa è un argomento che va affrontato democraticamente (4) .
  • Nella società dell'informazione ciò che si dovrà misurare è la creatività umana (5) .
  • Nel prossimo secolo è auspicabile che la religione abbia un ruolo centrale (6) .
  • Le conseguenze politiche della centralità della religione riguarderanno un nuovo spazio assegnato all'elemento religioso in un'epoca di transmodernità (7) .




  • INTERVISTA:

    Domanda 1
    Di cosa si occupa e come opera la commissione della Comunità Europea a cui lei appartiene?

    Risposta
    Io appartengo al Nucleo Prospettive, Cellule de Prospective in lingua francese, fondato dal presidente Delors e composto da dodici consiglieri privati del Presidente della Comunità Europea. Com'è noto, la commissione europea è l'esecutivo legislativo europeo. Il Parlamento Europeo non è al momento legislativo: noi proponiamo le leggi, e queste leggi sono accettate o rifiutate dal Consiglio dei Ministri. E poi, quando sono accettate, ci vengono reinoltrate, e noi invitiamo gli stati membri a trasformare queste leggi europee in leggi nazionali. Durante la presidenza Delors, il nucleo è stato poco visibile, ma ora, con la presidenza Santer, ci si orienta verso una maggior apertura, una maggior visibilità e un maggior dialogo, attraverso ad esempio una pubblicazione che appare due/tre volte l'anno.

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    Domanda 2
    Quale influenza lei ritiene possa avere questo Nucleo sullo sviluppo della Comunità Europea, in particolare nel campo del futuro della I.T. e della comunicazione?

    Risposta
    Nella commissione abbiamo il compito di interrogarsi su questioni come: "Perché l'Europa? a che serve? come realizzarla?" E di chiederci, in questo scenario, quale possa essere il ruolo della Commissione, del Parlamento, e così via. Si tratta di domande che ognuno, nella Commissione Europea, in effetti si pone, ma che noi abbiamo ufficialmente il ruolo e il tempo di articolare in un vero e proprio oggetto di studio. E' in altri termini la mancanza di un oggetto specifico di competenza che ci consente di interrogarci sulle questioni fondamentali. Non abbiamo ovviamente la presunzione di possedere risposte definitive a tali interrogativi, ma esistiamo come gruppo di ricerca per affermare la necessità, a livello europeo, di avere una prospettiva, al di là dei successi già raggiunti, come la pace, il mercato comune, la moneta unica, e a breve l'inclusione di per sé non priva di ostacoli di paesi come la Polonia, la Repubblica Ceca, e via dicendo. Ma adesso che abbiamo fatto tutto questo, che tipo di progetto, che tipo di utilità politica presentiamo ai cittadini europei? Questa è la domanda "da mille franchi", come diciamo in francese, che si pone la Cellule de Prospective. Per quanto riguarda la società dell'informazione, dobbiamo riconoscere che la hardware battle, la lotta per l'hardware, per il computer più a buon mercato o più efficiente, in quanto europei l'abbiamo probabilmente persa. Sono gli americani e i giapponesi che stanno vincendo questa competizione. La sfida che possiamo affrontare a questo punto è la costruzione di una società attorno a questo strumento. La gran parte dei futurologi americani con cui lavoro sostiene che l'Europa si trova in una posizione di vantaggio, ha un massimo di potenzialità per poter costruire questa società dell'informazione. Quello che manca al momento è solo l'accettazione del fatto che siamo in una fase di profondo cambiamento. Ho l'impressione che fra i paesi membri l'Italia sia uno dei paesi che presenta una maggior apertura al cambiamento, e che potrebbe assumere un ruolo decisivo, di leadership, nel condurre gli altri stati membri verso la sfida della società dell'informazione.

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    Domanda 3
    Cosa pensa della critica che più frequentemente viene mossa alla Comunità Europea, vale a dire di essersi fondata come comunità di stampo economico, trascurando l'aspetto propriamente culturale?

    Risposta
    Personalmente sono d'accordo con questa critica. La mia ipotesi di lavoro, che non rappresenta peraltro la posizione ufficiale della commissione cui appartengo, è che nella società industriale il potere fosse legato al possesso di capitale e industria, con la cultura in posizione secondaria. Nella società post-industriale dell'informazione il potere sta traslocando verso il possesso di creatività, come testimonia del resto l'operato di Bill Gates con la sua capitalizzazione di creatività umana. Se lei vuole avere creatività deve per forza rispettare e valorizzare la diversità della cultura europea. Si potrebbe sostenere che l'Europa abbia, nell'economia della società tardoindustriale, quattro difetti: troppa solidarietà; eccessive differenze culturali; troppo senso dei valori, della tradizione e della famiglia (tutto questo non è spendibile sul mercato, il quale richede una uniformizzazione); e infine, troppi legami con il Terzo Mondo. Tutto ciò costituisce una debolezza dell'Europa nella società tardoindustriale, e dunque si potrebbe sostenere che questi fattori, che sono il costituente dell'Europa, della nostra anima europea, vadano abbandonati. Tuttavia, nella società dell'informazione e della creatività sono esattamente queste qualità a rappresentare il nostro competitive advantage, il nostro vantaggio competitivo. I limiti di oggi possono tramutarsi nel vantaggio di domani, in qualità indispensabili per affrontare competitivamente il futuro.

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    Domanda 4
    Non crede che possa essere utile che il vostro lavoro venga popolarizzato, in modo tale che i diversi popoli europei possano essere sollecitati a discutere più approfonditamente del futuro dell'Europa?

    Risposta
    Anche se non rappresentiamo la posizione ufficiale della commissione, è mia opinione e di alcuni membri della Cellule de prospective che il cambiamento che stiamo per affrontare sia tanto importante da non poterlo gestire dall'alto. Dall'alto possiamo dare segnali politici, invitando al dialogo e a un confronto che siano democratici. Non possiamo affrontare questo cambiamento da soli; col che non voglio fare demagogia: se non c'è un dibattito democratico, non ci sarà il cambiamento necessario.

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    Domanda 5
    Quali sono a suo avviso le maggiori prospettive di cambiamento a livello economico nella società dell'informazione che si profila?

    Risposta
    La nostra economia è, al momento, principalmente industriale, basata sul management di capitale e industria. Perché abbiamo bisogno di un cambiamento? Come sostiene Peter Drucker in un libro apparso nel 1993, Post-Capitalistic Society, nella società dell'informazione ciò che si dovrà misurare è la creatività umana; ma questa creatività non la si può misurare solamente con strumenti quantitativi; abbiamo dunque bisogno di nuovi strumenti di misura, dobbiamo scrivere delle nuove pagine nei nostri manuali di economia. In seconda battuta, attraverso il passaggio dalla società industriale, fondato sullo scambio (io vendo a lei del burro, e lei mi dà del denaro; io non ho più il denaro, e lei non mi da' più il burro) alla società post-industriale, stiamo passando da una società del commercio a una società dello sharing, della condivisione (se le trasmetto dell'informazione, io non la perdo). Ma questa è una logica nuova: non abbiamo il manuale che ci insegni a gestirla. Infine, stiamo passando da una logica machine centered, incentrata sulla macchina, sullo strumento, a una società centrata sull'uomo, perché se si vuole la creatività umana, si ha bisogno di una human friendly machine. Ci troviamo di fronte a un rovesciamento della logica sociale: passiamo da Modern Times, da Charlie Chaplin reso funzione della macchina, a una macchina che si adatta all'uomo, a una società e a un'economia che devono fare dell'uomo il proprio fulcro.

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    Domanda 6
    Al convegno della World Future Society di Chicago ha presentato un intervento sulla religione nel futuro e sul futuro della religione, prospettando un maggior ruolo per la religione nel prossimo secolo. Tema in merito al quale ha anche contribuito a un convegno a Bruxelles. Di cosa si tratta e quali sono le conseguenze politiche, anche a livello di strategie di governo, delle ipotesi che ha elaborato?

    Risposta
    Sono partito dall'ipotesi secondo la quale i prossimi conflitti non saranno più fra capitalismo e marxismo, ma fra Islam, cristianità, religioni asiatiche e così via. Dunque, si tratta di conflitti culturali che preoccupano la maggioranza dei Ministeri degli Affari Esteri degli stati membri. Un ricercatore di alto livello del ministero degli affari esteri britannico, evidenziava come non si debba consentire che le nostre paure agiscano come self-realizing profecy, una profezia che si realizza perché nessuno ha fatto nulla per ostacolarla. Dunque, la nostra idea era quella di fare una riflessione informale con i ministeri degli affari esteri e alcuni colleghi americani. Quello di Bruxelles è stato il secondo congresso, che ha seguito un primo incontro a Firenze nel 1996, presso l'Università di Firenze. Non sono solo l'economia, la società, gli strumenti che stanno cambiando, ma è un intero paradigma, è la visione implicita del mondo che sta cambiando. Volendo schematizzare in un'immagine, nella società agraria, quella del nostro medioevo, che del resto ancora oggi riguarda quattro miliardi di persone, si aveva una piramide implicita, con Dio al vertice. Questo Dio dava ordini al clero, e il clero al potere politico, e da qui si scendeva verso gli uomini, che a loro volta davano ordini a donne e bambini. E questa piramide si ritrova in tutte le organizzazioni sociali imperniate sulla religione monoteista, che sia cattolica, protestante, musulmana o giudaica. La modernità ha mutato lo scenario. Si tratta ancora di una piramide, nella quale Dio è però stato sostituito dalla razionalità, dalla verità razionale. In veste di "nuovo clero" si avranno dunque non più i preti, ma gli esperti, i tecnocrati come me. Costoro hanno il potere sui politici; sono gli economisti, vale a dire un tipo molto preciso di tecnocrati, che danno direzioni al politico. L'ordine piramidale, insomma, non è stato intaccato, ma semplicemente, abbiamo attribuito alla scienza un ruolo quasi divino, un potere spirituale o assoluto. Al contempo, abbiamo relegato nel privato la religione, l'intuizione, l'etica, l'arte, l'estetica, la cultura, la visione delle donne, la filosofia, accettando queste sfere a patto che fossero circondate da un preciso muro di separazione. E su un dato positivo, la necessità di distinguere, nella modernità abbiamo privilegiato il dato della separazione, che è ben diverso dalla distinzione. Ora, è proprio questo muro di separazione che si sta crepando. Con ciò ovviamente non sto parlando in favore di una religione o di un'altra. Semplicemente, sostengo che nel ventunesimo secolo abbandoneremo questa formula di modernità, a sua volta piramidale, per orientarci probabilmente verso un nuovo assetto, che io immagino come una tavola rotonda, attorno cui tutte le culture, uomini e donne, si siedono su un piano di eguaglianza. Al centro si trova, si potrebbe dire, la verità. Ognuno può attingere a questa verità, ma più ci si avvicina a Dio, all'illuminazione o alla saggezza, meno ce ne si sente proprietari teologicamente. E questo corrisponde un po' a quello che i mistici in tutte le tradizioni hanno sempre detto: più vado verso l'illuminazione e meno so chi è Dio. Questa prospettiva è esattamente l'opposto di quel "io possiedo la verità" che stava scritto sul cinturone delle SS, e la cui pericolosità è resa ovvia proprio dal suo utilizzo nazista. Senz'altro, non possiamo più accettare quell'utilizzo della religione. E dovremo andare verso una visione transmoderna, ove la religione, ove il senso assoluto dei valori avrebbe di nuovo una posizione centrale, ma al tempo stesso tollerante, ove la verità non appartiene a nessuno, ma ognuno può attingere a essa.

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    Domanda 7
    Se questa analisi è valida quali sono le conseguenze politiche?

    Risposta
    Le conseguenze politiche sono che i conflitti non sono conflitti fra cattolici, protestanti, musulmani, bensì conflitti interni. Pensiamo anche solo alla conferenza sulle donne, a Pechino, quando le donne hanno prodotto un "cluster", un nucleo di moderno, che si giustapponeva a un nucleo di premoderno e uno di transmoderno. Il conflitto sarà dunque fra nuclei di premoderno, moderno e transmoderno piuttosto che fra mondo musulmano, protestante, o cattolico. E' pericoloso aver lasciato la rilevanza politica dell'argomento religioso, in larga misura, a coloro che ne promuovono come ragione e strumento di un'azione militare, mentre coloro che lavorano in favore della pace utilizzano unicamente argomenti razionali. Quando mi sono recato in visita in Israele, parlavo con il vescovo cattolico di Gerusalemme, il quale mi diceva che la vera questione fosse God and Earth, Dio e la Terra: Dio avrebbe dato questa terra ai giudei o agli Arabi? Gli argomenti razionali che sono proposti ad esempio dagli europei non toccano la nostra realtà, mi diceva. Il vescovo di Gerusalemme mi ha ricordato che esistono ovviamente argomenti religiosi in favore della pace, ma nessuno li utilizza, perché si ritiene che la modernità non possa utilizzare un argomento religioso in politica. Se si pensa che esistano soltanto due visioni, la moderna, razionale, e l'altra, la premoderna, sottosviluppata, si finisce con il favorire la modernità a dispetto dei suoi limiti, di fronte ai diritti umani e così via. Se si propone una terza visione, transmoderna, verso la quale orientarsi anche da una posizione di modernità, nella quale si cerca di articolare la trascendenza, il dato religioso, anche nelle nostre vite pubbliche, allora possiamo ripensare le realtà dei paesi emergenti non come tentativi di avvicinarsi alla nostra modernità, ma come un comune distacco dalla premodernità e dalla modernità, nel quale la prima non deve per forza passare attraverso la seconda. Se noi, trovandoci nella vecchia visione della modernità, non riusciamo a cogliere questa differenza essenziale, commettiamo un errore strategico colossale.

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