Giuseppe Giulietti
Roma, 30/06/1999
Un servizio pubblico al passo con le nuove tecnologie
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La Rai deve diventare una grande agenzia formativa
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La Rai deve essere uno strumento di formazione permanente
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E' strategica l'alleanza con altri soggetti privati
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È positivo l'esperimento della vendita dei quotidiani anche in altri tipi di esercizi commerciali
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Se l'esperimento funzionerà, si procederà anche nel futuro con questo tipo di vendita
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INTERVISTA:
Domanda 1
Qual è l'importanza del ruolo della RAI come servizio pubblico per essere uno strumento di formazione e alfabetizzazione alle nuove tecnologie?
Risposta
Io credo che il servizio pubblico, la RAI in questo caso, possa avere ancora una grande forza, una grande capacità espansiva se, per esempio, si assumerà l'incarico di lanciare una campagna per l'alfabetizzazione tecnologica del nostro paese. Così come un secolo fa saper leggere e scrivere era una condizione per diventare cittadine e cittadini, per poter esistere, parlare, lavorare, oggi bisogna che i giovani conoscano tutti i nuovi linguaggi dell'innovazione, sappiano viaggiare, sappiano conoscere nuovi codici linguistici. Gli serve per conoscere, per essere più liberi, per avere più servizi ma anche per avere domani nuove opportunità di lavoro. Io penso che la RAI debba candidarsi, e non solo la RAI, ad essere una grande agenzia formativa. Non è affatto vero che questo significhi una televisione noiosa: si possono fare nuove trasmissioni valide, MediaMente ne è una testimonianza, e anche trasmissioni radiofoniche intelligenti, divertenti, fantasiose, con nuovi linguaggi e con grandi capacità di essere ascoltati ed essendo contemporaneamente un servizio utile. Un servizio pubblico degli anni del 2000, oltre a fare grande cinema, trasmissioni, informazione, dovrà fare questo mestiere. Allora avrà un futuro di grande forza e servirà anche all'economia italiana.
Domanda 2
Questo ruolo che la RAI inizia a svolgere all'interno della scuola, può essere anche sfruttato per una formazione permanente e che quindi non riguarda solo i giovani, che va al di là della scolarizzazione?
Risposta
Io non penso che debba essere la sola RAI a svolgere questo ruolo. Sempre più la RAI si sta aprendo ad alleanze con altre imprese. Mi riferisco all'accordo che è stato fatto con Canal Plus sulla piattaforma digitale, ma anche a tante imprese del settore della telefonia, ad imprese che lavorano nelle nuove tecnologie, a tanti giovani autori e produttori. C'è tutto un mondo di giovani che è nato legato alle nuove tecnologie, che fornisce anche prodotti per questi nuovi canali. Il servizio pubblico, insieme a queste imprese tradizionali ed a imprese nuove, può diventare un'agenzia formativa permanente. Deve avere come principale interlocutore, per esempio, il Ministero della Pubblica Istruzione. E questo non perché debba essere una agenzia del governo, ma perché deve essere proprio un interlocutore che si propone attraverso i nuovi linguaggi, le scuole e le università a distanza, per essere anche un'agenzia educativa permanente. Il servizio pubblico del futuro, la parte che si chiama Educational, così come accade negli Stati Uniti ed in altri paesi, non deve più essere considerata una parte arcaica o la parte noiosa che va in onda dalle tre alle cinque del mattino, ma deve essere considerata un pezzo della modernità che produce trasmissioni che non solo si vedano in diretta, ma che possano essere riviste e richiamate nelle scuole, dai singoli navigatori, nelle famiglie. Deve nascere una concezione diversa della comunicazione, in cui non sono più io che guardo la televisione, in modo passivo, ma uso mezzi diversi, la televisione, la radio, Internet, come strumento permanente e anche di formazione. Un'altra grande agenzia che è nata in questa settimana alla RAI, è il canale "All News", un altro pezzo di modernità, abbiamo poi l'esperienza di "Educational", l'esperienza delle "Teche", l'automazione dell'archivio, le idee di creare un primo grande archivio delle telecomunicazioni in Italia. Sono pezzi del futuro del servizio pubblico e mi permetto di dire non solo del servizio pubblico. Penso che su questa materia si debba puntare anche a rapporti nuovi con le università, con la scuola ma anche con le imprese private. Insomma una RAI che sappia cambiare, non a difesa del monopolio degli anni '70, di una RAI che fa tutta da sola, di una RAI che si chiude, ma la RAI che si giustifica come servizio pubblico proprio perché si apre al privato e alla società.
Domanda 3
Quindi il connubio pubblico-privato è assolutamente sostenuto rispetto a queste finalità?
Risposta
I progetti di riforma della RAI che stanno nascendo dentro la RAI medesima ma anche nella legge che si chiama 1138 prevedono una RAI che si trasformi in una fondazione dove entrino anche operatori privati. Ma per quale motivo la RAI non dovrebbe operare anche nella convergenza al multimediale? Non dovrebbe operare in rapporto con le grandi imprese della telefonia? Per quale motivo non dovrebbe essere un'azienda capace di essere punto di riferimento e per la telefonia e per i nuovi servizi? Questa è un'azienda che può dare prodotto, il prodotto poi deve essere alimentato da reti e infrastrutture nazionali ed europee. Proprio in questo settore delle nuove tecnologie, accanto alle grandi imprese, Telecom, Olivetti, c'è una miriade di piccole imprese che nessuno considera. Questo è un settore dove già si è realizzato un mercato flessibile, dove ci sono centinaia di piccole imprese individuali, di donne e uomini, giovani, che hanno meno di trent'anni che non chiedono altro che di poter avere un rapporto con aziende come la RAI, di poter navigare, di poter entrare in una rete di contatti più ampia, di poter vendere il proprio prodotto, talvolta di poter far vedere il loro prodotto persino gratuitamente. La RAI deve essere anche un luogo che si apre a nuove esperienze, un luogo delle libertà in un paese che chieda libertà in tutti i campi, chieda di avere nel mondo delle telecomunicazioni più reti, più infrastrutture, più opportunità per presentarsi, per farsi conoscere. Non basta creare tante reti, bisogna che dentro quelle reti possano entrare tante idee, tanti prodotti diversi, qualcuno magari brutto, ma che verrà scartato o selezionato dal mercato. Abbiamo bisogno, insomma, di avere tutti un atteggiamento più libero, soprattutto verso questo mondo di giovani che si è formato, e verso il quale spesso alziamo il ponte levatoio, lo lasciamo fuori. Rischiamo di parlarci sempre tra 40 esperti di telecomunicazioni, 10 imprese, 10 docenti universitari, e di avere sempre la stessa agenda telefonica, con 100 nomi. Solo che nel frattempo tutti noi abbiamo abbondantemente lasciato l'età dell'adolescenza e rischiamo di essere solo degli ostacoli, delle pietre tombali sull'innovazione in questo settore.
Domanda 4
Rimanendo sempre nell'ambito della nuova società delle comunicazioni, spostandoci però dalla televisione alla carta stampata, cosa pensa di questa nuova legge per la vendita dei quotidiani, dei giornali, non solo nelle edicole ma anche in altri tipi di esercizi commerciali?
Risposta
E' una legge di sperimentazione che consente per 18 mesi di poter vendere i quotidiani e i periodici anche in punti non tradizionali, nei bar, nei supermercati, nelle tabaccherie. Ha una finalità di verificare se questa integrazione dei punti di vendita, accanto all' insostituibilità dell'edicola, funziona. Non dimentichiamoci che l'edicola non è solo il luogo dove si compra, in molti paesi l'edicola è anche il luogo dove si parla, si scambiano pareri con l'edicolante, dove c'è un rapporto che è anche di altra natura e non è soltanto legato al prodotto. Molti edicolanti con la cura che hanno avuto nel fare il loro mestiere, anche per la piccola e media editoria, hanno consentito la sopravvivenza di tante testate non dominanti, perché se non ci fossero state le edicole con i loro banconi, sarebbero rimasti 3 quotidiani e 2 settimanali. Però io ritengo giusto l'esperimento di vedere se allargando i punti di vendita si vanno a catturare nuovi lettori. L'Italia ha sempre cinque milioni di lettori da vent'anni. È un esperimento che viene condotto assieme tra distributori, edicolanti e imprenditori, vedremo tra 18 mesi se questo esperimento avrà prodotto risultati. Mi permetto di aggiungere, tuttavia, che non basta allargare la rete di vendita; occorre anche un nuovo rapporto tra scuola, televisione e giornali. Noi stiamo creando dei giovani non più abituati a leggere né gli alfabeti tradizionali né gli alfabeti nuovi. Ho l'impressione che per creare nuovi lettori non serva solo portare il giornale al supermercato, serve anche dall'età di tre anni in poi abituare i nostri ragazzi a leggere le immagini, ad avere il gusto della lettura, a sapere che conoscere gli alfabeti vuol dire essere più liberi e più ricchi. Io insisto: il vero punto è il rapporto tra scuola e nuovi mezzi di comunicazione. Se si crea un cittadino più ricco, quel cittadino, più ricco non solo economicamente, ma anche culturalmente, comprerà il libro e avrà l'abitudine di leggere il giornale. Se si crea viceversa un cittadino assolutamente povero, socialmente, economicamente, ma anche culturalmente, ridurrà sempre più la sua voglia di conoscere sia i vecchi mezzi di comunicazione che i nuovi.
Domanda 5
Dopo questi 18 mesi di sperimentazione nel caso in cui i risultati non fossero quelli aspettati, cosa pensate di fare, comunque di tornare indietro?
Risposta
Quando si sperimenta, poi si devono andare a vedere i risultati. Se, come penso, le copie aumenteranno, si dovrà procedere, ma sempre facendo lavorare assieme edicolanti, distributori e imprenditori, concertando, cioè convincendo tutti che è utile. Quando si sperimenta c'è o la positività o la negatività, se c'è la negatività, vuol dire che la crisi dell'editoria non dipendeva affatto dalla rete di vendita ma da fattori più profondi e più inquietanti. Andremo a vedere i risultati finali.