Torna alle interviste

    Luciano Gallino

    Torino, 13-01-1999
    Disoccupazione tecnologica: quanta e quale perdita di posti di lavoro può essere attribuita alle nuove tecnologie informatiche
  • Con la tecnologia essenzialmente si produce di più, più in fretta con meno persone. Questo scenario da un lato prospetta la necessità di eliminare forza lavoro e dunque lo spettro della disoccupazione "tecnologica", dall'altro apre la strada alla riduzione dell'orario di lavoro (1) .
  • L'intervistato spiega il concetto di "automazione ricorsiva" che è alla base dell'impossibilità che per ogni posto di lavoro perduto le nuove tecnologie ne creino uno nuovo (2) .
  • Le innovazioni tecnologiche incidono in modo diverso, ma ugualmente significativo, nei diversi settori lavorativi (3) .
  • La tecnologia creerà dei conflitti fra chi può e sa utilizzarle e chi ne è tagliato fuori (4) .
  • Uno dei modi per evitare questa frattura è intervenire sull'educazione scolastica e universitaria, in maniera attiva e aggiornata (5) .
  • Con Internet sfumano i confini fra lavoro e tempo libero (6) .
  • La flessibilità è la condizione obbligata a cui il giovane lavoratore si deve adattare. La capacità di adattarsi a lavori diversi è utile durante la formazione ma rischia di creare nel lungo periodo delle persone capaci di fare un po' di tutto ma niente particolarmente bene (7) .
  • Per ottenere uno sfruttamento ottimale delle nuove tecnologie è necessario che esse si innestino in un modello di organizzazione del lavoro rinnovato (8) .
  • Il telelavoro non è ancora adeguatamente tutelato dalle leggi (9) .




  • INTERVISTA:

    Domanda 1
    Professor Luciano Gallino, secondo lei, stiamo andando verso una forma di disoccupazione tecnologica? In altre parole, è possibile che le nuove tecnologie portino non a un aumento, ma a una riduzione delle opportunità di lavoro?

    Risposta
    Bisogna intendersi: la tecnologia è essenzialmente un mezzo per fare due cose diverse. Da un lato si può cercare di produrre di più, anche molto di più, utilizzando la stessa quantità di forze di lavoro. D'altra parte, si può cercare di utilizzare le potenzialità della tecnologia per ridurre le forze di lavoro impiegate per produrre un determinato volume di beni o di servizi. E di qui viene fuori un’equazione molto semplice: fintanto che si riesce ad aumentare la produzione, il che vuol dire fintanto che si riescono ad allargare i mercati, la tecnologia non produce disoccupazione, perché la forza lavoro rimane costante e quello che si allarga sono i volumi di produzione, sono i mercati. I mercati, però, diversi tra di loro, variati come sono, non possono in generale espandersi all'infinito. Quando i mercati non possono più espandersi, la tecnologia viene impiegata prevalentemente per ridurre le forze di lavoro e incomincia a profilarsi lo spettro della disoccupazione tecnologica. Per evitare di ridurre le forze di lavoro e quindi di imboccare troppo rapidamente la strada della disoccupazione tecnologica, è stato inventato da più di un secolo lo strumento della riduzione degli orari di lavoro. Un tempo, all'inizio secolo, si lavorava 3000 ore l'anno, a metà del secolo circa 2500, e oggi la maggior parte dei lavoratori ha un orario medio annuo di 1600-1700 ore di lavoro. Questo è uno dei vantaggi della tecnologia, di poter mantenere occupate le persone riducendone la prestazione. Però l’equazione che ho sommariamente ricordato ha anche delle rigidità che non si possono ignorare. Se i mercati sono saturi, in qualche modo si tende a ridurre le ore di lavoro impiegate per realizzare quella tale produzione.

    Back

    Domanda 2
    Come risponde a coloro secondo i quali per ogni posto di lavoro perduto le nuove tecnologie ne creano almeno in altro?

    Risposta
    Bisogna vedere quale capacità di resistenza hanno coloro che perdono il posto a causa dell'introduzione di una certa tecnologia, in attesa di trovare un posto che sia generato da una tecnologia diversa perché, questa corrispondenza, che si trova in tutti i libri di testo, in certi casi ha funzionato. Però se un tale o una tale perde il posto nel 1999 a causa di una innovazione tecnologica e lo ritrova a fine anno o magari l'anno prossimo, è possibile che possa resistere tanto, ma se il nuovo posto viene creato da nuove tecnologie nel 2005 o nel 2010, l'equazione nella sua ovvietà rimane valida, però quel tizio avrà avuto tempi molto duri e probabilmente si sarà ritirato dal mercato del lavoro da parecchio tempo. Aggiungo che questa equazione da libricino di testo regge molto meno nell’età dell'automazione spinta, quella che io chiamo ‘l’automazione ricorsiva’. I posti che la tecnologia creava nuovamente dopo averne soppressi una certa quantità erano recuperati in parte dall'allargamento d ei mercati ma in parte anche producendo mezzi tecnologici, cioè producendo le stesse macchine produttrici di beni e servizi che i mercati fino ad un certo punto assorbivano. Con l'automazione applicata a se stessa, le macchine producono altre macchine per fare l'automazione, il processo di automazione raggiunge livelli altissimi e quindi non c'è più nessuna speranza o perlomeno si riducono di molto le speranze di trovare prima o poi un nuovo posto di lavoro nei settori che producono la tecnologia che ha eliminato il posto originario, il posto di partenza.

    Back

    Domanda 3
    Dove incidono di più le innovazioni? Sul lavoro industriale, su quello impiegatizio o su quello professionale?

    Risposta
    Con diverse modalità e in diversa misura incidono su tutti e tre i campi. Per quanto riguarda i tassi di occupazione in senso stretto, si può dire che così come l'industria ha imboccato la strada dell'agricoltura, che porta ad avere pochi punti percentuali di addetti sul totale della popolazione, così i servizi, o perlomeno gran parte dei servizi del terziario, stanno imboccando la strada dell'industria e quella precedente dell'agricoltura. Questo perché le tecnologie producono servizi di moltissimi tipi differenti con tassi di produttività rilevantissimi. Per quanto riguarda l'ambito strettamente professionale, che so, l'ambito del medico, dell'architetto, del designer, eccetera, forse sono meno rilevanti gli incrementi di produttività ed è invece rilevante la profonda trasformazione della professione in qualcosa di molto diverso in presenza della disponibilità di nuove tecnologie. Quello che è certo, è che non si può sperare di recuperare nei servizi quello che l'automazione sta eliminando in termini di fo rza lavoro nell'industria, perché i servizi sono automatizzabili esattamente come è automatizzabile la produzione di beni. Non tutti i servizi sono automatizzabili ma nemmeno tutti i beni sono automatizzabili, noi ci tagliamo ancora i capelli grazie ai servizi di un artigiano e nei due ambiti le cose continueranno ad essere in parte affidate alla mano umana, ma sta di fatto che una grandissima parte dei servizi è destinata a seguire la strada dell'automazione, esattamente come quella della produzione di beni.

    Back

    Domanda 4
    Pensa che questi processi determineranno nuove forme di conflitto sociale e di che tipo?

    Risposta
    Certamente sì, anche conflitti variamente incrociati. Per intanto, il conflitto a cui stiamo assistendo, è il conflitto dovuto a crescenti diseguaglianze. In tutti i paesi industriali, compreso il nostro (e il nostro ancora in misura più limitata di altri) lo sviluppo tecnologico degli ultimi 20 o 30 anni, ha voluto dire un fortissimo incremento delle disuguaglianze tra il quinto che guadagna meno e il quinto che guadagna di più delle forze lavoro. Se poi si prendono delle percentuali più piccole, le differenze sono ancora più grandi, soprattutto negli Stati Uniti ma anche in paesi come la Gran Bretagna, come la Francia, come il nostro, ma perfino in Cina, dove le disuguaglianze sono cresciute moltissimo. Questo è un conflitto vecchio quanto il mondo, che però le tecnologie tendono ad accelerare ed inasprire. E poi vi sono conflitti legati, diciamo, più intrinsecamente alle tecnologie. Molte tecnologie migliorano la vita, permettono di lavorare meglio, meno faticosamente, molte tecnologie divertono, stimolan o l'intelletto, permettono di fare cultura e così via. E allora la differenza che viene introdotta è tra chi può dominare queste tecnologie, che permettono di vivere meglio e chi, invece non è in grado di utilizzarle adeguatamente, vuoi per ragioni economiche e vuoi per ragioni culturali o magari politiche. Teniamo presente che in parecchi stati del mondo le nuove tecnologie sono oggetto di censura, limitazione, controllo poliziesco e simili. Quindi uno dei grandi conflitti del prossimo futuro sarà tra chi è pienamente cittadino, pienamente partecipe della cittadella tecnologica e chi invece deve accamparsi sotto le sue mura.

    Back

    Domanda 5
    Quali potrebbero essere le indicazioni per una possibile soluzione?

    Risposta
    Per quanto riguarda le nuove tecnologie, v’è una grande necessità di informazione, di discussione e anche di una politica al tempo stesso tecnologica e culturale che tenga presente l'imminenza di questa frattura e cerchi di inventare i modi per ridurla, per eliminarla. Molto si può fare attraverso la scuola, l'università. Sicuramente finora non si è fatto abbastanza sia perché si crede nella diffusione automatica delle nuove tecnologie sia per tutta una serie di fraintendimenti. In genere, per stare in ambito scolastico, molti insegnanti, molti operatori della scuola e molti burocrati, che si occupano di scuola, e anche molti politici che si occupano di scuola, scoprono una certa tecnologia e balzano a cavallo per diffonderne l'uso proprio quando quella tecnologia sta uscendo di scena: cioè sono il ritardo di 3-5-10 anni e 3, 5 o 10 anni nel campo delle nuove tecnologie equivalgono alle generazioni di 25 o 30 anni.

    Back

    Domanda 6
    Come si ridefinisce con le nuove tecnologie il rapporto fra tempo libero e tempo di lavoro?

    Risposta
    Attorno alle nuove tecnologie ci sono molti equivoci per esempio che siano facilissime da usare, che uno possa imparare a utilizzarle da solo e così via. Se ci si pone in grado di saperle usare a livello professionale, le nuove tecnologie possono dare luogo a sorprese interessanti perché in molte ore della giornata possono portare a un qualche tipo di fusione tra lavoro e divertimento. Uno come me che usa moltissimo la rete per comunicare, per studiare, per lavorare, trova anche durante la giornata molti spunti di divertimento perché scopre nuove cose, si accorge di potersi muovere in un modo che prima non gli riusciva, ha delle sorprese dallo schermo, dalle reti, dalle comunicazioni che gli arrivano da tutte le parti del mondo. E d'altra parte, lavorando fuori ora quando uno cerca di divertirsi, può di nuovo scoprire che mentre apre un sito per divertirsi impara qualcosa che gli sarà utile sul lavoro; io lo considero nell'insieme uno sviluppo molto positivo perché rende il lavoro un po’ meno meccanico, meno ossessivo, e rende il divertimento più mirato, un po’ meno erratico. È una forma di ibridazione molto positiva e che moltissime persone, che incominciano a usare con capacità professionali la rete, stanno con loro spasso scoprendo.

    Back

    Domanda 7
    Una delle trasformazioni del mondo del lavoro alla quale le nuove generazioni si stanno già abituando è la flessibilità, il che vuol dire riscrivere il proprio ruolo di lavoratore. Ciò implica stimoli maggiori a puntare ad una formazione più ricca e approfondita?

    Risposta
    Reinventarsi di continuo un nuovo ruolo lavorativo, è cosa che mi pare molti giovani sappiano fare bene, ma in questo caso non si tratta propriamente di una forma di divertimento. È una condizione che i giovani subiscono e che, avendo potuto dotarsi degli strumenti tecnici e intellettuali adeguati, riescono a dominare in modo relativamente accettabile. Ma di questo non dobbiamo farne una sorta di ricetta per lavorare o per vivere meglio perché in molte condizioni può essere molto stressante. Per quel che riguarda la formazione il mettere insieme pezzi di lavoro differenti può essere formativo e utile. Io insisto molto sull'opportunità e anche sulla naturalezza di ibridare lavori differenti, di metter pezzi di informatica mentre si fa una ricerca biologica o di mettere pezzi di storia dell'arte in una ricerca psicologica e così via; ritengo vi sia un grande futuro per le professioni ibride, per le professioni opportunamente contaminate. Però v’è anche una soglia oltre la quale la cosa diventa patologica e incide negativamente sulla formazione. Se a forza di rincorrere spezzoni di lavoro per far quadrare la giornata o la settimana o il mese, il giovane o la giovane salta da un percorso formativo ad un altro, avanza sino a un certo punto nella sua formazione ma poi interrompe perché, appunto, deve cambiare lavoro e imbocca un altro percorso formativo, rischia di procedere in direzione di quella figura di cui i francesi riassumono le caratteristiche dicendo: “Bon à tout et capable à rien”, ‘in grado di fare tutto ma veramente capace di non fare nulla’. Quindi è importante che i giovani abbiano questo senso di una soglia dove l'accumulo di specializzazione, l'accumulo di formazione, diventa formazione dilettantesca in tanti campi piuttosto che un nuovo tipo di formazione ibrida, però ampiamente consolidata, dai contorni ben definiti.

    Back

    Domanda 8
    La flessibilità intellettuale riuscirà mai a creare nuovi posti di lavoro?

    Risposta
    Di per sé, la flessibilità intellettuale, come l'altra flessibilità di cui ci parlano ogni giorno, che consiste nell'accelerare l'ingresso e l’uscita delle forze lavoro dalle aziende, temo che di per sé non crei nuove forme di lavoro e meno che mai nuova occupazione. La flessibilità intellettuale è importante per cercare di trarre il meglio dalla tecnologia e, in particolare, dalle nuove tecnologie. In presenza delle nuove tecnologie, si corre continuamente il rischio di applicare strumenti nuovissimi, sia tecnici sia conoscitivi a vecchie procedure, vecchi modi di organizzazione del lavoro. Allora la flessibilità può essere molto importante per far sì che con le nuove tecnologie si facciano effettivamente cose nuove invece di cercare di automatizzare le vecchie, perché molte delle nuove tecnologie sono impiegate precisamente in questo modo, si accetta in qualche modo la vecchia organizzazione, il corso tradizionalmente assestato e si pretende di innestare qualche forma di nuova tecnologia. Questo è un grave errore perché non si ottengono gli scopi che si volevano, e per di più si contamina, si inquina, la reputazione delle nuove tecnologie. Dopo 1-2-3-5 insuccessi ci sarà sempre qualcuno che dice “Avete visto ? Abbiamo speso 10 milioni o 100 milioni o 1 miliardo per rinnovare tecnologia e organizzazione e adesso lavoriamo peggio di prima”. E questo avviene perché si è applicata una tecnologia nuovissima a un modello organizzativo vecchio. Se usando una buona dose di flessibilità intellettuale si riescono a modificare i modi di lavorare, il modo di costruire, i modi di pensare affinché siano sintonizzati con le nuove tecnologie, probabilmente si riuscirà sia a migliorare il lavoro sia a fare un uso congruo delle nuove tecnologie e chissà che non si incida anche positivamente sulle possibilità di occupazione.

    Back

    Domanda 9
    Esiste, secondo lei, la giusta attenzione alla definizione e tutela dei nuovi diritti di chi telelavora?

    Risposta
    Il telelavoro è un po' tutto da inventare e su di esso sicuramente girano molti equivoci. Io credo che la questione dei diritti di chi telelavora vada esaminata insieme alla questione del: “Come mai in presenza delle nuove straordinarie tecnologie che stanno da tutte le parti, il telelavoro in Italia, ma anche altrove, si è così poco diffuso ?”, perché questa è la domanda da cui si dovrebbe partire. E le risposte non sono del tutto scontate. Una delle risposte è che il telelavoro a molti non è gradito per il grandissimo numero di controlli a cui esso è sottoposto. I dirigenti del personale, gli imprenditori, i capi azienda, eccetera, hanno un sacrosanto terrore all'idea che qualcuno, non visto da loro, possa lavorare da qualche parte e si chiedono se fa delle pause più lunghe del necessario, se lavora nei tempi convenuti, se esegue esattamente il compito che gli è stato o le è stato prescritto e quindi, per avere risposta a queste angosciose domande, moltiplicano i controlli. Qui entra in campo la questione dei diritti perché il telelavoro sicuramente dà origine a nuove forme di doveri ma dovrebbe dar luogo anche a nuovi diritti. Però la questione dei diritti non può essere posta sul tavolo in modo indipendente da quelle altre ragioni che dicevo, le ragioni per cui il telelavoro trova ancora molte resistenze. Il telelavoro si diffonde poco perché i controlli sono assillanti ma si diffonde poco anche perché, se si pensa al telelavoro come qualcosa che si svolge nell'abitazione, esso si scontra con altre realtà, si scontra col fatto che le persone amano uscire di casa, amano cambiare ambiente, e soprattutto si scontra col fatto che chi pratica assiduamente il telelavoro ben difficilmente fa carriera, perché in un’organizzazione fare carriera significa essere presenti sotto gli occhi del capo, significa essere presenti alla riunione giusta, significa farsi vedere, farsi sentire e il telelavoro è qualcuno che lavora sì, e che però nell'organizzazione, di fatto, non c'è. Quindi, tra i diritti del telel avoratore c'è anche il diritto a far carriera ma questo non può essere erogato, elargito sulla carta. Va connesso a provvedimenti, a interventi di tipo tecnologico e organizzativo che finora si sono visti in minima parte in questo campo.

    Back torna a inizio pagina