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    Sebastiano Bagnara

    Roma, 23/11/1998
    I corsi di formazione per le nuove professioni della comunicazione
  • Comunicazione è oggi un termine molto alla moda, dietro al quale si cela un'offerta di professionalità che spesso si rivela selvaggia e priva di qualità (1) .
  • Il corso di Laurea in Scienze della Comunicazione garantisce una formazione che prevede la combinazione e il bilanciamento di quattro componenti essenziali: quella umanistica, quella giuridica, quella economica e quella tecnologica (2) (3) .
  • Ciò che l'Università dovrebbe essere in grado di garantire è, oltre alla qualità dei contenuti, la competenza tecnologica e l'acquisizione di esperienza lavorativa, cosa, quest'ultima, possibile solo attraverso stage aperti a larghi numeri di studenti (4) (5) .
  • I risultati importanti positivi ottenuti dal corso in Scienze della Comunicazione sono fondamentalmente tre: il primo è che il numero di laureati in corso è di circa sette volte superiore a quello dei laureati in altre facoltà; il secondo è che i laureati del corso in Scienze della Comunicazione riescono ad ottenere, in breve tempo, un posto di lavoro soddisfacente; il terzo è, infine, che i laureati del corso riescono a sentire, prima di altri, una forte identità professionale (6) (7) .
  • In Europa, ma ormai anche in Italia, esistono validi corsi di formazione professionale (8) .
  • La sola formazione online, secondo l'autore, non garantisce una preparazione sufficiente; essa, infatti, esclude quel cosiddetto "faccia a faccia" che consente alla comunicazione di esprimersi non attraverso un unico strumento, sia pure altamente tecnologico, ma attraverso più strumenti e più linguaggi (9) .
  • L'interfaccia è il luogo della comunicazione tra il computer e la macchina, è il linguaggio attraverso il quale l'uomo interagisce con la macchina; lavorare sui linguaggi significa allargare la possibilità di tramutare le intenzioni dell'uomo in azioni della macchina. In futuro si ipotizza che l'unico interfaccia, quale quello del computer, si trasformi in tanti interfaccia quante sono le cose che si devono fare, avremo così quelli che gli americani chiamano "appliances", svariati strumenti (10) (11) (12) .
  • La psicologia cognitiva moderna, che studia anche i comportamenti umani quando si interagisce con il computer, in alcune sue ricerche, come in quelle di Sherry Turkle, ha osservato che il fenomeno della fluidità della personalità, se pur già presente nella vita normale, si rivela alquanto accentuato quando si interagisce sulla rete; sempre in riguardo allo studio dell'uomo in relazione al computer, un altro filone di ricerche, orientate in diversa direzione, rovesciando quella che è una metafora acquisita e provocando una sorta di "rivoluzione copernicana", ipotizza che non sia la mente umana a funzionare come un computer ma che dovrebbe essere il computer a funzionare secondo il modello della nostra mente. Secondo tale ipotesi, quindi, se riuscissimo a far funzionare un computer come funziona la nostra mente, esso risulterebbe estremamente più potente della macchina digitale su cui siamo abituati a ragionare (13) (14) (15) .




  • INTERVISTA:

    Domanda 1
    Da anni cresce l'offerta di formazione per le nuove professioni della comunicazione: corsi universitari, scuole di formazione superiore post lauream e tanti corsi locali, pubblici e privati, i quali spesso offrono diplomi dai titoli tanto suggestivi quanto fantasiosi. Secondo lei è solo il mercato che ha dato luogo a questa situazione o ci sono anche altri motivi?

    Risposta
    Responsabile è, a mio avviso, in parte il mercato, in parte il fatto che parlare di comunicazione sia un fenomeno di moda, e in parte anche il fatto che stiano nascendo professioni, che non si capisce bene cosa siano, le quali cercano di trovare un loro spazio e un nuovo nome. Il termine 'comunicazione', che può essere riferito un po' a tutto, credo sia anche un termine stupendo per riempire il vuoto. Ci troviamo oggi difronte ad un'offerta enorme di professioni della comunicazione a cui non sono però convinto che corrispondano altrettanti lavori di comunicazione; ritengo inoltre che una grande quantità di quell'offerta sia selvaggia e, in qualche maniera, senza qualità. Uno dei compiti più importanti dell'Università è sicuramente quello di garantire uno standard di qualità nella formazione e soprattutto dare dei contenuti.

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    Domanda 2
    Secondo lei, come Preside di un corso di laurea in Scienze della Comunicazione all'interno della Facoltà di Lettere, è giusto che il nuovo professionista della comunicazione abbia una formazione prevalentemente umanistica? Se sì per quale motivo?

    Risposta
    Il fatto che il corso di laurea in Scienze della Comunicazione sia dentro la Facoltà di Lettere, come a Siena, non significa che la formazione sia prevalentemente umanistica. Diciamo allora innanzitutto che i corsi di laurea, presenti in tutta Italia, si differenziano al quanto tra loro: alcuni sono nella Facoltà di Lettere, altri in quella di Sociologia, altri ancora in quella di Scienze Politiche e la combinazione delle componenti varia. A Siena, per esempio, la componente tecnologica è molto alta, almeno cinque o sei esami, da informatica a tecnologie della comunicazione o dei media, la riguardano; c'è poi la componente economica, anch'essa importantissima e c'è una componente di diritto, con gli esami di Diritto dell'informazione e Diritto della comunicazione, lo stesso importante. A mio modo di vedere, in realtà, il corso di laurea in Scienze della Comunicazione prefigura una facoltà pluridisciplinare che ha, al suo interno, almeno 3-4 facoltà diverse: da Ingegneria per la fase delle telecomunicazioni ed informatica, a Giurisprudenza ed Economia per le Scienze dell'informazione in senso stretto e poi, certamente, anche una componente umanistica perché la comunicazione è un fatto che nasce dall'umano e questa componente è quindi fondamentale. Comunque, in generale, come accennavo prima, i corsi di laurea in Scienze della Comunicazione si differenziano tra loro per la combinazione e il bilanciamento delle loro componenti, e le loro anime sono diverse tenendo conto proprio di questo bilanciamento e di quella combinazione.

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    Domanda 3
    Lei crede che sia giusto che questi nuovi professionisti abbiano anche competenze umanistiche?

    Risposta
    Debbono avere componenti umanistiche molto forti, ma non solo quelle. Devono avere competenze tecnologiche, essere in grado di seguire le nuove tecnologie, devono avere competenze di tipo economico e giuridico: si devono conoscere le norme che regolano il diritto alla proprietà intellettuale, il diritto alla privacy, il diritto all'informazione. Queste, in definitiva, sono quindi sostanzialmente le quattro componenti fondamentali.

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    Domanda 4
    In che modo si può integrare la formazione di base con la concreta esperienza lavorativa e con le competenze tecnologiche?

    Risposta
    Le competenze tecnologiche vanno innanzitutto acquisite all'Università cosi come l'esperienza lavorativa che dovrebbe essere, anch'essa, una componente necessaria della formazione universitaria. Partecipare agli 'stage', stare nel lavoro in qualsiasi maniera, dovrebbe essere una parte fondamentale della formazione universitaria stessa. Lavorare per almeno 3-4 mesi, acquisendo anche competenze tecnologiche, è fondamentale per far sì che il passaggio dalla scuola al lavoro diventi sempre meno critico e difficile. L'Università dovrebbe garantire agli studenti anche la possibilità di lavorare sia nei suoi laboratori che, e sarebbe ancora meglio, fuori: nelle imprese e nelle istituzioni.

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    Domanda 5
    Secondo Lei c'è carenza dell'aspetto lavorativo nell'università italiana?

    Risposta
    Generalmente si, anzi, è molto carente in realtà. Per dirla tutta anche solo garantire uno stage a tutti è estremamente difficile, perché oggi il numero di studenti che ha accesso all'università è indiscriminato, mentre per garantire la qualità dell'insegnamento, così come la possibilità di fare esperienza nel lavoro, è necessario fare un minimo di programmazione, di pianificazione, non è un problema di numero chiuso, il problema è che, oltre certi numeri, è proprio impossibile farlo. Per esempio, nella nostra Università, noi potremmo offrire la possibilità di uno stage di tre, quattro o cinque mesi a centocinquanta o duecento studenti al massimo mentre, nella pratica, a Siena chiedono di iscriversi circa duemila persone.

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    Domanda 6
    I corsi di laurea in Scienze della Comunicazione ormai esistono da sette anni. Si può tracciare un primo bilancio sulla situazione di questo corso di laurea?

    Risposta
    Se contiamo il valore in numeri hanno avuto un successo enorme, infatti il numero delle domande, per entrare in questa facoltà, è almeno 5-6 volte quello dei posti disponibili. Il numero degli iscritti dell'anno scorso mi pare che fosse di 2800, all' incirca, mentre le domande per entrare erano, forse, almeno cinque volte tanto. Faccia conto che noi, a Siena, l'anno scorso avevamo 200 posti disponibili e che le domande fossero invece 1400. Cose simili capitano a Roma con numeri moltiplicati, ovviamente, capitano a Bologna, a Torino e anche nelle altre città. Da un lato c'è una grandissima domanda, dall'altro un'offerta non molto elevata, e per questo siamo dovuti ricorrere al numero chiuso; il risultato è stato ottimo da tre punti di vista: il primo è che noi abbiamo un numero di laureati in corso che è almeno 7-8 volte maggiore di quello dei laureati di altre facoltà, mentre le altre facoltà laureano in corso il 2-3% degli iscritti noi ne laureiamo il 15-20%; il secondo è che i laureati sono, di solito, di ottima qualità e trovano abbastanza presto un posto di lavoro; il terzo è che, infine, hanno anche, diciamo, una forte identità, sentono di avere, in qualche modo, una propria identità professionale che è abbastanza forte. Io credo che questi siano i nuovi grandi risultati ottenuti dal corso di laurea. L'elemento negativo è, invece, che non siamo capaci di soddisfare interamente la domanda di iscrizione, questa è sicuramente una deficienza, però, d'altra parte, le nostre capacità di offerta sono queste.

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    Domanda 7
    E questo vale soprattutto per Siena?

    Risposta
    No, parlo in generale, o meglio, diciamo che i corsi si possono distinguere in due grandi gruppi: gli storici e quelli che sono venuti dopo. Cioè il corso di laurea in Scienze della Comunicazione è iniziato prima a Torino, Siena, Salerno, Roma e subito dopo a Bologna, e la grande domanda si è da sempre diretta soprattutto in queste città; successivamente sono nati altri corsi di laurea a Palermo, a Padova, a Trieste, e in altre città, però la domanda è rimasta comunque concentrata sulle prime. I primi corsi di laurea, quelli come dicevo a Torino, Roma, Siena, Salerno e Bologna hanno fatto già da qualche hanno i primi laureati. Da Siena sono usciti già, a partire da un anno e mezzo fa, 120-130 laureati, un numero molto elevato, lo stesso vale anche per Roma, per Bologna e Salerno, il discorso vale allora soprattutto per queste città. I laureati dei corsi di laurea che sono iniziati più tardi devono ancora uscire: da Padova, ad esempio, non è uscito ancora un laureato, da Trieste non è uscito ancora un laureato e così da Palermo e così via. Quindi quello che ho detto riguarda soprattutto i corsi di laurea storici, quelli che hanno avuto già dei laureati e in cui si è ottenuto, come dicevo, un numero molto elevato di laureati in corso, che è indice dell'efficacia del corso di laurea, e un numero elevato di laureati che hanno già trovato un lavoro soddisfacente; i nostri, mi pare, tutti ormai.

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    Domanda 8
    Lei ritiene che esistano esperienze pilota di formazione particolarmente promettenti, in Italia o all'estero, per i professionisti di questo settore?

    Risposta
    All'estero c'è una tradizione, in questo campo, molto più antica che nel nostro Paese. Negli Stati Uniti, ad esempio, ho visitato il College of Communication University of Boston che ha una storia molto importante; lo stesso vale per l'Europa, e soprattutto per la Francia e per l'Inghilterra. In Italia gli studi sulla comunicazione sono invece recentissimi. Recenti sono anche gli studi al Gemelli di Milano che partono dagli anni Cinquanta e Sessanta: quegli studi che venivano fatti dietro la rivista "Icon", per esempio. Però, gli esempi di formazione professionale di livello elevato, di livello universitario voglio dire, in realtà sono proprio recenti, sono questi, quelli che abbiamo raccontato adesso e sono gli unici che abbiamo. Vi sono anche alcune esperienze, private o semi private, che non sono malvagie, anzi, in alcuni casi, sono buone, formano a un livello un po' più basso rispetto alle professionalità garantita dalle nostre Università, diciamo un livello tecnico intermedio. Ad esempio l'Ateneo di Comunicazioni di Milano, o altri, hanno un buon livello professionale anche se, ripeto, meno elevato di quello universitario, e poi vi sono anche altre offerte, vi sono svariati master, forse troppi.

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    Domanda 9
    Secondo lei la formazione online è applicabile all'educazione superiore e in che limiti?

    Risposta
    L'educazione online, che poi è insegnamento a distanza, è un settore nel quale io non ho lavorato, comunque, a mio avviso, non garantisce una formazione completa. Io credo che sia possibile affrontare online una parte della formazione, ma che sia comunque indispensabile, soprattutto quando la formazione arriva ad un livello alto, una componente faccia a faccia, non reputo sia possibile ottenere una laurea online, se si intende interamente a distanza. Va sempre prevista, costruita, creata una situazione in cui il faccia a faccia, il rapporto non solo con il docente, ma anche degli allievi tra loro, nello stesso posto, sia garantito; c'è una componente di comprensione, di scambio, che in ogni caso, anche se ci si avvale di un mezzo ricchissimo ed interattivo, verrebbe in qualche maniera troppo ridotta; lo scambio fatto nello stesso posto, con altre persone, è invece estremamente più ricco. Io credo che la comunicazione sia un fenomeno completo, non è l'uso di qualche mezzo, è l'insieme di tutti i nostri mezzi, quindi anche del nostro corpo e di quella componente faccia a faccia che è anch'essa indispensabile nella formazione. Credo che l'on line sia utile ma che non possa andare avanti da sola, va sempre combinata con l'altra, sostanzialmente. È un po' come innamorarsi, il telefono è utilissimo, ma la relazione non può reggersi solo con quello.

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    Domanda 10
    La sua materia verte sull'Interazione uomo-macchina. Ci può parlare dell'importanza dell'interfaccia?

    Risposta
    Nella comunicazione uomo-macchina l'interfaccia è il centro del problema. Da una parte c'è la macchina, o, come noi la chiamiamo, l'artefatto, qualcosa che è stato fatto dall'uomo, che incorpora, in qualche maniera, la sua intelligenza, l'intelligenza che l'uomo ha messo là dentro insieme ad una parte della sua esperienza; dall'altra c'è l'uomo con la sua intelligenza, con i suoi desideri, i suoi bisogni, le sue intenzioni. Il problema è come far comunicare questi due, l'unico modo è quello di trovare un linguaggio, uno strumento, che permetta l'uno di parlare con l'altro: l'interfaccia è il luogo, non una pagina, ma il luogo della comunicazione. Studiare l'interfaccia vuol dire sostanzialmente studiare i linguaggi, le possibilità, i vincoli, le costrizioni e le opportunità attraverso le quali io tramuto le mie intenzioni in azioni che la macchina farà. L'interfaccia è anche, dall'altro lato, ciò che mi permette di leggere le azioni che la macchina ha fatto sull'ambiente, per capire se ho ottenuto il risultato che volevo o se devo dare nuovi comandi; l'interfaccia è quindi un luogo in cui, possibilmente, si riducono le distanze fra io che parlo, io che penso, io che ho intenzioni e la macchina che agisce e che poi agisce anche un po' per conto suo.

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    Domanda 11
    Secondo lei, come si trasformerà in futuro l'interfaccia soprattutto fra uomo e computer?

    Risposta
    Sostanzialmente, anche se forse non ci pensiamo tanto, il computer, come la televisione fra l'altro, è una delle macchine più strane di questo mondo. Bisogna andare lì per fare qualcosa, cioè è una macchina estremamente costrittiva e qualsiasi cosa noi vogliamo fare bisogna andare al computer: se voglio scrivere devo andare al computer, se voglio disegnare devo andare al computer, se voglio mandare un messaggio a qualcuno devo andare al computer. Praticamente è un posto dove devo andare per fare tutto. Ma in realtà noi siamo abituati al fatto che, per fare le varie cose, abbiamo degli strumenti diversi. Allora, probabilmente, l'evoluzione sarà il passaggio da un'unica interfaccia, quella del computer, per fare tante cose diverse, a tante interfacce quante sono le cose che io voglio fare. Ciascuna di queste cose incorporerà la capacità computazionale. Sostanzialmente avremo, non più l'interfaccia uomo-computer, ma avremo tante interfacce quante sono le attività che possono venire potenziate dalla potenza di calcolo che ha il computer e quindi, al posto di un computer, avremo, come dicono gli americani, 'appliances', avremo, in sostanza, svariati strumenti. Gli strumenti ci indicheranno come vorranno e come potranno essere utilizzati al meglio e le interfaccia saranno tante quanti saranno gli oggetti di cui avremo bisogno.

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    Domanda 12
    Qualcuno ha parlato, in questo settore, dell'elettrodomestico intelligente. Nelle nostre case ci saranno vari oggetti che ci aiuteranno a fare cose diverse, è così?

    Risposta
    Sostanzialmente sì. Per esempio, Donald Norman ha scritto un libro, che sta per essere pubblicato, in cui proprio prevede il fatto che noi in realtà, avremo, come appunto lui dice, tante 'appliances', tanti strumenti, esattamente come in cucina abbiamo tanti strumenti. L'idea di fondo è che la potenza di calcolo che il computer ha si tradurrà in quello che è attualmente l'elettricità. Tutti gli oggetti che noi abbiamo intorno, in qualche maniera, hanno a che fare con l'energia elettrica ma non necessariamente noi attacchiamo un trasformatore per ciascuno di essi; ognuno di essi incorpora, in qualche maniera, la parte necessaria di cui ha bisogno e noi non ci accorgiamo nemmeno che c'è dentro l'elettricità. La stessa cosa avverrà probabilmente per la gran parte degli oggetti che abbiamo; questo un po' sta già succedendo nel caso, per esempio, della trasformazione che ha avuto il telefono: pensi al telefono che una volta era attaccato al muro e io, per usarlo, dovevo andare al muro, poi man mano si è "remotizzato", in qualche maniera, e adesso me lo porto dietro. Qualcosa di simile capiterà, e sta già capitando, anche col calcolatore, con la potenza di calcolo.

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    Domanda 13
    Un altro elemento interessante è lo studio dei comportamenti umani attraverso il computer. In che direzione si sta andando?

    Risposta
    Diciamo che ci sono due grandi filoni. Il primo è osservare come la gente, le persone, cambiano o si comportano quando interagiscono con il computer, o meglio con la rete, in qualche maniera; per quanto riguarda questo argomento ci sono ad esempio tutti gli studi di Sherry Turkle: "Il secondo io" o "La vita sullo schermo", e così via, in cui si mostra, diciamo, la molteplicità delle identità che noi possiamo assumere quando interagiamo con la rete, nel senso che possiamo dichiarare di essere quello che non siamo se uno è maschio può sentirsi che è donna e viceversa; questo è già uno stadio molto interessante perché mostra la fluidità della nostra personalità quando stiamo nel mondo delle reti. Che questi siano fatti positivi o negativi non sta a noi valutarlo, ma comunque quello che viene mostrato è che, fuori dal mondo reale, quando entriamo nella rete virtuale, il nostro comportamento cambia molto rapidamente. In realtà, noi abbiamo 'secondi sé' anche nella vita normale, ciò che voglio dire è che quando cambiamo ambiente possiamo benissimo assumere un altro ruolo, la gente in treno, ad esempio, spesso si spaccia per una persona diversa da quello che è nella realtà. La cosa interessante della rete è la facilità con cui si può far questo, la facilità con cui, nel giro di pochissimo tempo, si può cambiare la propria identità; questo, diciamo, è un primo, filone.

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    Domanda 14
    Il secondo filone di studi, invece?

    Risposta
    Il secondo filone, invece, è quello che studia il modo di pensare delle persone per vedere se questo modo di pensare non sia uno strumento efficiente per lavorare dentro la rete; gli studi, per esempio, su come noi selezioniamo le informazioni, come le passiamo in rassegna, e così via, possono diventare strumenti potentissimi per analizzare l'immensa informazione che c'è in rete. Per esempio, vengono fuori gli strumenti tipo avatar, gli automi, gli agenti, che permettono, dentro la rete, di selezionare l'informazione di cui noi abbiamo bisogno e di cui la gente diventa capace di capire, e quindi di cercarcelo dentro la rete. Esiste un secondo filone, un po' diverso dal primo, che al limite, è anche quel filone che porta a pensare i calcolatori rovesciando la metafora: noi eravamo abituati a pensare, fino a poco tempo fa, che la mente fosse un calcolatore e pensavamo alla mente in termini di metafora come un calcolatore potente ma fatto sostanzialmente come un calcolatore, attualmente si sta pensando alla rovescia, si possono immaginare i calcolatori fatti come la mente, e quindi in maniera più organica, e così via. Questo è un altro filone completamente diverso dal primo.

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    Domanda 15
    Infatti questa era proprio la mia ultima domanda, il fatto che si è spesso paragonato il funzionamento del cervello umano al computer, ci può dire qualcosa a riguardo?

    Risposta
    Sì, diciamo innanzitutto che la psicologia cognitiva moderna nasce proprio da questa metafora, e si è studiata la mente avendo in testa il suo funzionamento in termini di come funziona un calcolatore. La coscienza è l'unità centrale di controllo, le varie parti sono le sotto componenti e così via. Questo tipo di impostazione si è conservata fino a poco tempo fa. Attualmente, invece, si sta rovesciando il tutto, e si sta iniziando ad ipotizzare che intanto la mente non è detto che funzioni come un calcolatore, ma è invece molto probabile, anzi certo, che un calcolatore fatto sul modello della mente sarebbe molto più potente della macchina digitale su cui siamo abituati a ragionare, quella insomma che fa parte del nostro linguaggio comune.

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