Paolo FerriMilano, 26 novembre 1997La comunità virtuale
INTERVISTA:
Domanda 1
Risposta
Esistono siti dedicati a particolari aspetti della cultura, come il grosso sito americano alla Brown University che si occupa del Decameron : lì sono presenti coloro che studiano il Decameron , e gli studiosi provengono da qualunque parte del mondo; quest'ultimo aspetto rappresenta un altro vantaggio delle comunità virtuali rispetto a quelle reali, che possono essere fruite da punti molto lontani anche spazialmente: lì, nel sito, tutti coloro che sono interessati al Decameron possono trovare il testo, le analisi del testo, le analisi critiche. Ci sono, in rete, pezzi di film di Pier Paolo Pasolini sul Decameron e altri pezzi filmati sul Decameron; c'è, dunque, tutta una struttura sulla storia degli effetti del Decameron nella storia della cultura. Soprattutto può succedere che lo studioso interessato può lasciare lì il suo contributo, il quale diventa immediatamente parte del Decameron Web . Le comunità di ricerca sono un aspetto di questi luoghi nella rete; altri aspetti sono le comunità di azione politica. Noi sappiamo che, in realtà, questa realtà ha anche un suo lato negativo, poiché la rete viene utilizzata dalle organizzazioni criminali. Si stanno generando, tuttavia, comunità particolari dal punto di vista politico-sociale; in Italia, quella più nota è la 'Città invisibile': una libera associazione che è nata sulla rete tre o quattro anni fa, dove, sulla base di uno statuto si aderisce alla 'Città Invisibile': sostanzialmente, si tratta di una comunità di azione rispetto a fatti o eventi politici o sociali; una parte del così detto 'popolo dei fax' è stato coordinato, per larga misura, dalla 'Città invisibile'. Oppure, esistono organizzazioni politiche che hanno il loro luogo, la loro isola, nella rete, da dove diffondono messaggi. Durante la scorsa campagna elettorale io ho ricevuto messaggi da tutti e due i poli, per esempio! La simpatica candidata del polo della mia zona, che io non ho votato, mi ha scritto per invitarmi a votarla, così come ho ricevuto messaggi dalla coalizione che ho votato. Dunque, queste comunità virtuali che si stanno strutturando costituiscono, per molti versi, un doppio virtuale della vita reale, che, però, ha caratteristiche differenti e singolari rispetto alla vita, alle comunità che si strutturano nel mondo reale.
Domanda 2
Risposta
Una bellissima immagine di Hegel dice: "la società è la legge del giorno e la comunità è la legge della notte"; quest'ultima contiene in sé, dunque, una istanza più solidaristico-affettiva che formale. In realtà, questa distinzione classica tra comunità e società è stata criticata da alcuni teorici della filosofia contemporanea, come dal grande filosofo francese Jean Luc Nancy: egli sostiene che, in realtà, la distinzione tra comunità e società non è così netta ma, che anzi, non esiste; non si può dire che esista una comunità mitica, originaria, tutta buona e una società fredda, calcolistica e tutta cattiva; i due fenomeni si intersecano. Questa è una tesi che io condivido molto. Per quanto riguarda le comunità della rete, esse posseggono tutte e due le istanze: ci sono siti e comunità che sono di natura strettamente commerciale, oppure istituzionale, dove vi si partecipa in ragione di una funzione o di un ruolo regale che si sfoggia. Ci sono, poi, comunità che si basano molto più su reti di affinità, su interessi comuni. Tra gli studiosi il dibattito sul concetto di comunità virtuale e sulla differenza tra comunità in senso tradizionale e comunità virtuale, si è sviluppato proprio su questo problema: quello della persistenza e della durata delle comunità virtuali; il teorico Tomàs Maldonado ha ripreso questa tesi nel suo ultimo libro: Critica della ragione informatica , sostenendo che le comunità virtuali hanno delle caratteristiche di eccessiva fragilità; non reggono, per esempio il conflitto interno tra i membri, mentre nelle comunità reali, posizioni spesso diverse stanno dentro un unico contenitore. Altri teorici post-moderni fautori del pensiero debole sostengono che tale debolezza sia strutturale, sia intrinseca delle comunità virtuali, e sia un vantaggio, perché - come analizza la psicologa Turkle - questa debolezza, in realtà, permette di stabilire i vincoli comunitari non sulla base di rapporti di potere, ma sulla base di scelte libere basate su affinità di interessi; dunque, in questa prospettiva, tale debolezza si trasforma in un valore positivo. Io penso che la verità stia un poco nel mezzo, perché se si pensa ad alcune comunità della rete come la comunità dei banchieri, non si può dire certo che sia una comunità debole: è basata su una rete di affinità, nel senso che tutti puntano al profitto; se si pensa alla comunità degli speculatori, si tratta di una comunità molto forte, basata su reti di affinità che nei fatti ha degli effetti molto pesanti sulla realtà; queste comunità mettono in discussione le teorie di Talbot o Maldonado, che sostengono il contrario! In questo senso, io credo, si esca dal paradosso che le comunità virtuali possano costituire una estensione delle nostre possibilità di relazione comunitaria. Se analizziamo l'ambito più ristretto dell'università, ciò si comprende molto bene: l'università nasce nel medioevo proprio come 'universitas', cioè come comunità di studiosi che tendenzialmente provenivano da luoghi disparati d'Europa (ciò può sembrare inverosimile, ma allora c'era una mobilità molto alta tra gli intellettuali), e come tentativo di mettere insieme saperi diversi. In seguito si struttura secondo le regole dello stato-nazione e, in qualche modo, si chiude; ciò soprattutto per quello che riguarda i saperi umanistici. Nel campo della comunità scientifica è diverso perché i fisici, i matematici hanno sempre comunicato sulla base di un linguaggio comune, ed è sempre stato più facile per loro interagire. Le comunità dei filosofi, degli anglisti, dei letterati, viceversa, erano comunità chiuse che avevano regole di comportamento definite all'interno della singola comunità virtuale. Da questo punto di vista, la comunità della rete, come nel caso del Decameron Web , sono luoghi dove si studiano collettivamente soggetti, ed in questa direzione possono rompere questa chiusura un poco provincialistica; ciò vale per l'università italiana che ha tratti molto spesso più provinciali delle altre, e le comunità virtuali possono effettivamente promuovere un ritorno all'ideale originario dell'università come 'universitas', aperta ai contributi di tutti gli studiosi. In questa prospettiva, mi sembra che, come sempre, il problema riguardi la gestione delle possibilità di accesso alla rete, perché il diritto all'essere connessi dovrebbe essere un diritto di cittadinanza; questo processo può avvenire soltanto se l'accesso alla rete non resterà un privilegio di pochi. Se questo non accade la rete potrebbe diventare uno strumento di, addirittura, discriminazione sociale.
Domanda 3
Risposta
I media telematici hanno, invece, la caratteristica di favorire una comunicazione 'tutti-tutti': per mettere in piedi un centro di produzione televisiva ci vogliono molti più soldi che non per dotarsi di un collegamento alla rete. Lo schema a rete non è una connessione gerarchica, o ad imbuto, non c'è un centro, come per la televisione. Ciò, evidentemente, permette una circolazione più democratica delle informazioni e potrebbe permettere anche dei livelli di democrazia diretta. Alcuni studiosi hanno detto: "attraverso la telematica noi potremmo votare su molte più questioni che tradizionalmente" ; si corre, però, un rischio, quello del plebiscitarismo, come per i referendum: se i referendum diventano estesi a questioni che non sono controllabili direttamente dalla popolazione, il rischio che si corre è che questa estensione della democrazia diventi uno strumento di manipolazione; e, come sempre, ancora, il problema è quello della gestione politico - istituzionale, che si realizza nella pratica dei nuovi media che in sé sono neutri, io credo.
Domanda 4
Risposta
La Turkle: nel suo primo libro, Il secondo Io , la studiosa sostiene come progressivamente noi siamo passati, nel rapporto con la tecnologia, da un approccio di tipo strumentale, ingegneristico, per così dire, ad un modello del computer come simulazione dell'identità. E' vero che quando uno si rivolge al computer, soprattutto quando gli cancella qualcosa, lo insulta come insultasse un essere umano, e questo atteggiamento è il segno di un momento più profondo che si stabilisce nel rapporto con il mezzo: si tende a considerare il computer o come un interlocutore o come un'estensione del nostro corpo. La Turkle, riprendendo il ragionamento di Foucault sull'individuo come bio-corpo tecnologico, dove la tecnologia è un'estensione della natura, sviluppa l'idea del computer come secondo 'Io', e dice che questa estensione si è data nel momento in cui i computer sono passati dall'essere macchine ingegneristiche ad essere macchine di finzione: da quando si è passati da una struttura di dati e di comandi molto complessi, come quelli del DOS, a una struttura che equivale ad un ambiente virtuale, il precursore del sistema operativo Macintosh da cui poi derivano anche tutti quelli più recenti. Da quando si sono creati questi ambienti virtuali, ha cominciato a costruirsi questo doppio virtuale della nostra identità che, in qualche modo, la tramuta anche.
Domanda 5
Risposta
E' vero che nella visione di Rheingold, le comunità virtuali sono alternative, per esempio, allo stato-nazione, nella possibilità di realizzare un grandissimo stato trasnazionale fatto di relazioni più umane più solidaristiche. A mio avviso, in questo aspetto del pensiero raingoldiano si coglie un vizio, per dir così, concettuale: in opposizione alla sociologia classica, si ipotizza una comunità mitologica, allo stesso modo in cui Rousseau concepiva la sua idea dello stato di natura: l'idea di un eden nel quale tutti i problemi sociali del conflitto, dello scontro, il problema della gestione spesso autoritaria del potere si risolvono; ecco perché dico che Rheingold è un utopista. Se la rete è, come dice Sherry Turkle, un doppio virtuale del mondo reale, allora, anche sulla rete si daranno conflitti, anche sulla rete si daranno lotte di potere, lo vediamo già: la Microsoft ha tentato di monopolizzare la rete con la creazione di Microsoft network, poi ha fallito perché la rete ha questa struttura effettivamente troppo policentrica per essere governata da un soggetto solo! E' vero, però, che questo è un problema che si porrà; in questa prospettiva, l'ideale un poco utopico di un ritorno ad una sorta di comunitarismo - visto che di comunismo è difficile parlare in questi tempi -, originario di Rheingold non tiene conto anche degli scontri di potere concreti che si verificano per la gestione della rete. La sua teoria è molto affascinante e, certamente, insieme a Pierre Levy, il quale teorizza il fenomeno di 'intelligenza collettiva' che la rete dovrebbe produrre, ha contribuito a creare grande entusiasmo intorno a questa trasformazione tecnologica. Ma bisogna tenere conto che accanto ad una idea di neo comunitarismo se ne può sviluppare un'altra, antitetica: quella di un accentramento del potere; forse è meglio stare in mezzo a queste due alternative.
Domanda 6
Risposta
I siti internazionali su oggetti specifici che stanno nascendo sulla rete sono un esempio di globalizzazione, poiché lo scambio tra gli studiosi si sta allargando. Ciò produrrà un elemento positivo: la nascita - sta' già accadendo- di una comunità globale di ricerca; al di là delle utopie è un fatto che sta' accadendo! Io, per esempio, dovendo scrivere un saggio sullo storicismo tedesco, ho trovato un saggio molto interessante su Weber in rete di uno studioso del Camerun: non avrei mai letto questo scritto senza la rete. |