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    Ammar Eloueini

    Firenze, 12/12/1998
    Architettura virtuale: nuova frontiera dello spazio
  • Nell'ambiente virtuale le nozioni classiche di geometria o di peso non valgono necessariamente e certe forze, che non è possibile realizzare nella realtà, si possono simulare grazie appunto alla virtualità. Questo secondo l'architetto francese uno degli aspetti più interessanti della virtualità (1) .
  • Secondo Eloueini l'opposizione tra architettura virtuale e reale è basata su falsi presupposti. Un'architettura virtuale vera e propria non esiste. Il virtuale è un mezzo di cui un architetto si serve per creare un progetto (2) .
  • Lo spazio virtuale è ancora un territorio di cui non si conoscono le regole. Il limite nell'utilizzo di questo nuovo ambiente è dunque legato alla mancanza di familiarità con esso (3) .
  • Incremento della produzione, riduzione dei costi del progetto, e una nuova concezione dello spazio sono secondo Eloueini gli effetti più importanti dell'uso delle nuove tecnologie nella progettazione architettonica (4) .
  • Secondo l'intervistato, a torto, c'è un certa resistenza da parte degli architetti a ricorrere al disegno computerizzato. Eloueini cita il museo Guggenheim di Bilbao come un esempio di una perfetta conciliazione fra la progettazione tradizionale e le nuove tecnologie (5) .
  • La tecnologia e Internet cambiano radicalmente l'idea dello spazio e il rapporto che abbiamo con esso. E questo influenza naturalmente anche il modo in cui un architetto deve pensare la progettazione dello spazio fisico (6) (7) .
  • Eloueini spiega il motivo che lo spinse negli anni '80 ad andare a studiare negli Stati Uniti (8) .
  • Creare delle belle immagini, con la tecnologia oggi a disposizione, non è più solo prerogativa dell’artista o dell’architetto.
    Da qui la necessità da parte dell’architetto contemporaneo di sviluppare prima di tutto la capacità di costruire il proprio pensiero in modo che l’immagine oltre che bella esteticamente sia ben strutturata (9) .
  • L'architettura virtuale non è in opposizione con la realtà. Lo spazio virtuale è un'estensione dello spazio reale, una sorta di protesi attraverso la quale guardiamo la realtà (10) (11) .




  • INTERVISTA:

    Domanda 1
    Potrebbe dare una definizione dell'architettura virtuale?

    Risposta
    E' difficile definire l'architettura virtuale. Penso non ci sia una sola definizione valida. Ce ne sono molte e si possono considerare diverse cose come architettura virtuale. La virtualità è un'estensione di tutto ciò che è realtà, come sostiene Gilles Deleuze. C'è dunque un ambiente virtuale nel quale gli architetti possono lavorare, e si potrebbe aggiungere che tutti gli architetti sono in fondo "virtuali", poiché non fanno altro che concepire le loro costruzioni e non le costruiscono. Per quanto mi riguarda, il potenziale più interessante che la virtualità può offrire sta nell'ambiente virtuale, ambiente nel quale le nozioni classiche di geometria o di peso non valgono necessariamente, e certe forze, che non è possibile realizzare nella realtà, si possono simulare grazie appunto alla virtualità. E questo è un fatto che arricchisce enormemente l'architettura. Al di fuori di quest'ambito, di questo potenziale, si può parlare di un'architettura per uno spazio virtuale. Quello virtuale è infatti uno spazio che si aggiunge allo spazio reale nel quale si vive, o si è abituati a vivere. Progettare architettura per questo spazio fa parte, deve far parte ormai dell'attività degli architetti e del loro mestiere. Per quel che mi concerne, questa non è la mia occupazione primaria, ma penso che ci siano molte persone interessate a questo aspetto della virtualità nell'architettura.

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    Domanda 2
    Generalmente, quando si pensa all'architettura si pensa a qualcosa di costruito, e sembra ci sia una contraddizione nel concetto di architettura virtuale?

    Risposta
    Spesso, e a torto, si mettono a confronto reale e virtuale, o attuale e virtuale. Il virtuale è l'estensione del reale, e penso che non ci sia un'architettura del virtuale così come ne esiste una del reale. Si può creare architettura per uno spazio virtuale, ma un'architettura virtuale vera e propria non esiste. Tutta l'architettura che non viene realizzata può essere considerata, a un dato momento, come virtuale, ma questa opposizione tra architettura virtuale e reale mi sembra basata su falsi presupposti.

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    Domanda 3
    E qual è, secondo lei, il limite dell'architettura virtuale?

    Risposta
    Penso che oggi siamo ancora alle premesse di quanto potrebbe offrire questo spazio che viene detto virtuale, e si muovono appena i primi passi in questo spazio: sono come i primi passi sulla luna di trenta anni fa. Oggi ci troviamo molto a disagio nella dimensione virtuale, non abbiamo ancora raggiunto un perfetto equilibrio, lo stiamo ancora cercando, e credo ci siano ancora numerosissimi aspetti da sviluppare in relazione allo spazio virtuale. In un certo senso, occorre che esso venga architettato: bisogna che architetti, artisti, filosofi e sociologi lavorino a questo spazio per circoscriverlo, per poterlo sfruttare. Questo spazio esiste, solo che finora non si disponeva di tecnologie che ci permettessero di sfruttarlo: oggi si cominciano a intravedere queste tecnologie, e si svilupperanno ancora. Gli architetti dovrebbero interessarsi molto da vicino a ciò che accade in questo spazio.

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    Domanda 4
    Che rapporto c’è fra le nuove tecnologie e l’architettura?

    Risposta
    La maniera più semplice di vedere le nuove tecnologie applicate all'architettura è nel modo di incrementare la produzione, vale a dire di lavorare più velocemente. Oggi gli architetti nel loro lavoro possono produrre una grande quantità di progetti, fino a cinquantamila progetti per un palazzo o per un aeroporto, e con grande facilità grazie a queste nuove tecnologie. Questo è l'aspetto più immediato: la rappresentazione dell'idea diventa estremamente semplice, e la produzione può lavorare molto più facilmente e rapidamente con le nuove tecnologie. Ma la cosa più importante, e che più mi interessa in relazione alle nuove tecnologie è l'impatto sulla produzione stessa dell'architettura, sul processo del design. In altri termini, l'architetto ha, o aveva, l'abitudine di lavorare con la carta, le matite, i modellini: oggi il suo ambiente di lavoro è cambiato, e gli strumenti con cui l'architetto svolge il proprio compito diventano estremamente rilevanti. L'architetto non costruisce, contrariamente all'artista che dà vita a un'opera, un testo o un'installazione: l'architetto progetta sempre un lavoro che dovrà essere realizzato da altri, di qui l'importanza degli strumenti. Lo si può vedere risalendo indietro nel tempo: gli strumenti con cui gli architetti hanno lavorato in passato hanno influenzato enormemente la produzione dell'architettura. Oggi è possibile immaginare che le nuove tecnologie, o le cosiddette nuove tecnologie, potranno influenzare moltissimo il modo di lavorare dell'architetto. Gli architetti hanno l'abitudine di lavorare con elementi statici: la carta, i modellini. Oggi con le nuove tecnologie si può cominciare a introdurre le nozioni di tempo, di movimento, di flusso, fare simulazioni che permettono all'architetto di operare diversamente, di immaginare lo spazio, di rapportarsi ad esso in un altro modo, di affrontare l'architettura in un altro modo. C'è un terzo punto che riguarda le nuove tecnologie, ed è la produzione stessa degli edifici, anch'essa molto importante. Oggi esistono macchine a comandi numerici, ossia, a partire da elementi disegnati al computer si possono ottenere direttamente parti di costruzione prodotte a un costo identico a quello di una produzione su larga scala. Perciò anche la nozione di produzione di massa si trasforma in una standardizzazione; particolari ed elementi variabili si possono realizzare sempre allo stesso costo, e questo è un aspetto importantissimo che oggi si presenta grazie alle nuove tecnologie.

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    Domanda 5
    Pensi che gli architetti siano pronti all'utilizzo di queste nuove tecnologie, oppure sono in ritardo?

    Risposta
    Non penso che ci sia un ritardo, ma piuttosto un sistema che si autoconserva. Le nuove tecnologie sono arrivate molto rapidamente, e in brevissimo tempo si è realizzato un mutamento radicale nell'ambiente di lavoro dell'architetto. Questo mutamento disturba enormemente gli architetti abituati a metodi tradizionali. In genere un architetto elabora un suo modo di procedere nel corso degli anni, ci lavora, lo sviluppa ulteriormente, ma è molto difficile ottenere che egli cambi dall'oggi al domani il suo sistema di lavoro, o che si trovi subito a suo agio in un ambiente diverso: questo crea enormi scompensi, e perciò esiste una certa resistenza degli architetti a trasformare il loro ambiente di lavoro e i loro metodi, a parte quei pochi che ci riescono. Uno degli esempi più pertinenti è quello di Frank Gehry, che ha saputo continuare a lavorare secondo i suoi sistemi, ma che nel fare ciò ha introdotto nuove tecnologie. In altre parole, Frank Gehry ha l'abitudine di fare ampio uso di modellini: i suoi metodi risalgono a venti, trent'anni fa, ed è riuscito a seguirli nel suo lavoro, soltanto che oggi ricorre anche alle nuove tecnologie, scannerizza i suoi modellini a tre dimensioni, li elabora al computer per poi riprodurli con macchine a comandi numerici. Così ha progettato, per esempio, il Museo di Bilbao, un esempio illuminante e importantissimo per l'architettura di oggi e il suo legame con le nuove tecnologie.

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    Domanda 6
    Come immagina una città del futuro?

    Risposta
    C'è un progetto a cui lavoro da due anni, che riguarda un quartiere di Tokyo. Credo che una delle prime cose che si potrebbero fare è cominciare a rimettere in discussione le nozioni dell'urbanistica classica, che prevedevano composizioni assiali o una sovrapposizione di elementi nella città. Oggi possiamo cominciare a lavorare su nuove basi. La città è una realtà estremamente dinamica, è fatta di flussi, di movimento, e anche se l'architettura è fondamentalmente statica la città è piena di vita, respira, e così si può cominciare a immaginarla, a lavorare alle città con tutto ciò che esse hanno di dinamico. Oggi è possibile simulare questi flussi, questi movimenti, per non dire che si procederà a realizzare simulazioni scientifiche di intere città, e anche se in certi casi la cosa è interessante di per sé, in effetti queste simulazioni possono contribuire enormemente all'immaginazione degli architetti in rapporto alle città, alla loro gestione, alla correlazione fra i vari programmi, eccetera. Si possono ideare vari scenari nei quali le città non sono come le concepiamo oggi a causa dei nostri strumenti tradizionali, ma appaiono molto diverse da come le potevamo immaginare in passato.

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    Domanda 7
    Come cambierà il rapporto fra uomini ed edifici in futuro nelle città digitali? Come pensa che cambierà il rapporto fra gli uomini e i nuovi stili architettonici?

    Risposta
    A quel livello si possono immaginare diverse cose, ad esempio che la tecnologia si applichi direttamente agli edifici: questo è un aspetto che già si comincia a sviluppare, ossia, si vedono già componenti interattive, facciate, elementi mobili e altre cose del genere. Ma soprattutto credo che la città cambi completamente perché le viene aggiunto uno spazio che non è il suo spazio reale ma quello virtuale, e questo mi sembra di grande importanza. Ciò modifica profondamente il rapporto fra lo spazio e gli individui. Oggi le persone entrano in gioco nel momento in cui si collegano in diretta via Internet o per altre vie a tre città contemporaneamente, e dialogano in tempo reale. Questo comporta una enorme trasformazione del nostro rapporto con lo spazio, ed è più questo rapporto a modificarsi che non lo spazio in se stesso. Si può immaginare o fantasticare di uno spazio più interattivo, uno spazio in movimento, ma in definitiva credo che la più radicale trasformazione in rapporto al nostro spazio sia questa compressione dello spazio che si viene a ottenere. Lo spazio è compresso nella dimensione virtuale, e questo modifica radicalmente il nostro rapporto con la città e il suo spazio.

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    Domanda 8
    Lei ha studiato negli Stati Uniti. Per una persona come lei, nata in Europa, quali stimoli sono venuti da quell'esperienza in America? Aveva deciso di studiare in quel paese per qualche ragione particolare?

    Risposta
    Anzitutto sono nato sulle rive del Mediterraneo, e non in Europa, bensì in Libano. Ho studiato architettura a Parigi, e in quel periodo, erano gli anni Ottanta, mi accorsi che in Europa non si affrontavano problematiche veramente innovative in rapporto all'architettura. Per questo mi interessai molto di più a quanti esercitavano e insegnavano negli Stati Uniti, piuttosto che agli europei; in altre parole, l'architettura in Europa, e specialmente in Francia, mi annoiava terribilmente, e perciò avevo sempre il desiderio di partire, di entrare finalmente in contatto con persone interessanti. Negli Stati Uniti lavoravano molte persone che stavano elaborando teorie che mi apparivano molto più rilevanti che non le costruzioni semplici e le facili commissioni così frequenti in Francia e in Europa negli anni Ottanta.

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    Domanda 9
    Oggi la figura dell'architetto, soprattutto in Europa, sembra essere in grave crisi: quali pensa dovrebbero essere le strategie di un giovane architetto nell'Europa di oggi?

    Risposta
    Sì, sono giovane, e mi sarebbe piaciuto fare molto di più di quanto mi è possibile al momento, ma purtroppo spesso manca il tempo, ventiquattr'ore al giorno sono un periodo alquanto limitato. Credo comunque che la cosa più importante, soprattutto nel momento presente, all'alba della nuova era digitale, sia fare attenzione. Al giorno d'oggi produrre belle immagini è un'impresa alla portata di tutti, non c'è bisogno di essere architetti a tal fine, e in un certo senso qui sta il pericolo di quest'era digitale, nella quale l'architettura potrebbe anche colare a picco. Ciò che reputo importante, e che cerco io stesso di fare dedicandovi una parte consistente del mio lavoro, è l'essere in grado, ancor prima di fare l'architetto e costruire palazzi, di costruire un pensiero. Oggi per diventare architetti occorre saper costruire il proprio pensiero, fare qualcosa che non sia solo l'immagine, o la produzione diretta. Gli strumenti attuali richiedono un'attenzione molto speciale per il modo in cui si procede nel nostro lavoro. C'è una parte teorica che occorre sviluppare e che è di fondamentale importanza: in Europa, però, negli ultimi anni, e mi riferisco soprattutto alla Francia, ci si è sostanzialmente disinteressati della teoria dell'architettura. Ora, non dico che bisogna diventare dei teorici puri, sebbene vi siano molti che guardano con interesse a una teoria dell'architettura, ma un architetto deve essere capace, a sua volta, di costruire il proprio pensiero, di esprimerlo con estrema chiarezza prima di passare alla fase della costruzione degli edifici che esistono nella realtà.

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    Domanda 10
    Quali sono le difficoltà che incontri nel tuo mestiere?

    Risposta
    Credo che le maggiori difficoltà provengano dalla resistenza di certi ambienti. Si sente continuamente parlare di una crisi generazionale, che in sé è un fatto normale e governabile, ma che nella fattispecie viene esacerbata dall'introduzione delle nuove tecnologie, poiché in effetti fra le generazioni viene a crearsi una spaccatura profonda, e di natura diversa rispetto a quanto poteva avvenire in passato. Da qui potrebbero provenire le maggiori resistenze, ovvero da una mancata comprensione di quella che è la nostra ricerca, del nostro lavoro, che viene preso per l'appunto per una forma di architettura virtuale, ossia priva di qualsiasi legame con la realtà. Questo, a mio avviso, è l'errore più grave, al quale si deve sempre fare attenzione per evitare di sprofondare in ciò che, a torto, viene chiamata architettura virtuale, ossia qualcosa che sta al di fuori dell'architettura. Ma l'architettura virtuale è nella realtà, deve esistere nella realtà.

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    Domanda 11
    In che modo questo sarà possibile?

    Risposta
    Come dicevo poc'anzi, l'architettura virtuale non è in opposizione con la realtà. La virtualità, lo spazio virtuale è un'estensione dello spazio reale, soltanto che cambia l'ambiente di lavoro dell'architettura, e anche lo spazio stesso si trasforma a causa di questa estensione. Per fare un esempio: quando si guarda si ha il cosiddetto spettro visivo che ci permette di vedere un campo limitato, fra raggi infrarossi e ultravioletti. In definitiva, mi piace considerare lo spazio virtuale come una protesi che, una volta applicata, ci permette di vedere ultravioletti, infrarossi, e lo spazio nel quale si vive. In fondo i computer di oggi non sono che delle protesi che ci consentono di penetrare in questo spazio virtuale, che viene ad aggiungersi ed è un'estensione dello spazio reale, e che certamente non si trova in opposizione o in contraddizione con esso.

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