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    Giuseppe De Rita

    Roma, 13/01/1996
    Progressi tecnologici dell'informazione e società
  • La tecnologia dell'informazione potrebbe cambiare tutta la società, trasformando completamente il nostro modo di vivere. Queste nuove tecnologie hanno già i propri convinti sostenitori. D'altro canto, però, esistono atteggiamenti più prudenti, cauti (1) .
  • Prima di schierarsi tra i fideisti o i pessimisti o, in ultima analisi, trovare una posizione intermedia, è più corretto stabilire se le nuove tecnologie sono o meno autoreferenziali. De Rita si dichiara scettico sulla presunta autoreferenzialità dei nuovi sistemi dell'informazione (2) .
  • E' necessario stabilire la collocazione storica dell'attuale innovazione informativa. Anche in questo caso si possono avere due ottiche contrapposte: da un lato individuare nella tecnologia dell'informazione un segno di millenarismo; dall'altro è legittimo pensare ad un'ultima espressione della voglia di controcultura, presente nella società moderna. Ancora una volta De Rita non trova una soluzione nello schierarsi con una delle due posizioni estreme (3) .
  • Al contrario, il ragionamento va rivolto ad una valutazione complessiva della società, senza rischiare di cadere nell'equazione: siccome c'è l'innovazione, cambierà la società. Il rapporto è sempre estremamente differenziato. Analizzando la connessione fra l'innovazione tecnologica del campo informativo e la realtà sociale, si può notare come si vengano a ricreare una serie di problemi che sembrano smentire lo slogan: l'autoreferenzialità e l'invincibilità dell'innovazione risolveranno tutto (4) .
  • I problemi più profondi sono culturali e sono legati a due parole chiave: il gioco e l'intrattenimento. Ridurre il tutto a queste parole, a queste due funzioni, significa rendere la rete un'eterna promessa priva di un qualsiasi fine effettivo (5) ,
  • Dal momento che l'informazione è stata potere, è lecito chiedersi se la rivoluzione dell'informazione è ancora potere. Si può affermare che la cultura della rivoluzione dell'informazione è una cultura libertaria, individualista, pertanto il potere sta nel signolo. Oppure si può rispondere che la rivoluzione della società dell'informazione porterà ad un autoritarismo soft che può riassumersi nella frase:"Non abbiamo più incentivi a mediare, basta essere in rete". Ossia una democrazia diretta che usa le nuove tecnologie per poter imporre, un autoritarismo intriso di una sorta di partecipazione emotiva in rete. Infine si può affermare una via di mezzo fra l'individualismo e l'autoritarismo "soft". Quest'ultima strada sembrerebbe la migliore, ma la campagna elettorale americana sembra dimostrare che i circuiti intermedi "confuciani" possano poi essere più dettati dall'interesse che dalle opinioni (6) .




  • INTERVISTA:

    Domanda 1
    Come a suo avviso modificheranno la società le nuove tecnologie?

    Risposta
    Approfondire come le innovazioni tecnologiche nel settore dell'informazione modificano la società è un tema che richiederebbe moltissimo tempo. Io cercherò di trattarne solo per flash. Il primo punto su cui notoriamente ci dividiamo tutti è quello della dimensione - ottimistica o pessimistica - da adottare nel guardare le modifiche della società indotte dallo sviluppo della realtà delle informazioni. La tecnologia dell'informazione potrebbe cambiar tutta la società, trasformare completamente il nostro modo di vivere. C'è una sorta di voglia di pensare in termini fideistici a questa cultura dell'informazione. In un sondaggio fatto in America, su 16.000 persone, il 95% ritiene che la tecnologia dell'informazione modificherà completamente la vita americana, però tra quelli che rispondono a questo sondaggio, l'80% si ritene più intelligente della media nazionale, il 60% ha un livello universitario o post-universitario, l'80% paga direttamente le prestazioni della rete, quindi lo fa per lavoro o per gioco, non lo fa perché sta dentro una scuola o fa un lavoro dipendente, e ha un livello medio di 60.000 dollari l'anno, cioè il doppio della media americana. Abbiamo già, potremmo dire, i nuovi credenti di questa nuova tecnologia: abbiamo cioè un'enfasi - in parte utopica, in parte festosa, in parte esaltata - delle capacità d'influenza della innovazione dell'informazione sulla realtà sociale. Sotto certi punti di vista vale la frase di uno degli studiosi di quest'argomento: "Nulla ha più successo dell'eccesso". D'altro canto, però, abbiamo una serie di atteggiamenti più prudenti, cauti, se non proprio pessimistici. Ovvero, c'è una certa tendenza a considerare questa rivoluzione dell'informazione come un qualcosa di destinato a non avere poi quel successo che qualcuno pensa. La stessa frase: "Nulla ha più successo dell'eccesso" vuol dire: "Va bene, siamo in una fase di eccesso, poi, alla fine, quando questo eccesso stuferà, ricadremo nella normalità".

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    Domanda 2
    Rispetto alle innovazioni tecnologiche lei è ottimista o pessimista?

    Risposta
    Come si fa a capire se hanno ragione i pessimisti o gli ottimisti, oppure se c'è la possibilità di non dipendere né dall'eccesso dell'innovazione né dal luddismo della negazione? Secondo me, va chiarito innanzitutto se la nuova tecnologia dell'informazione sia autoreferenziale o meno. Per qualcuno c'è come una sorta di autogenerazione, ovvero di un processo inarrestabile. Innovazione che genera innovazione. Ma è vero o non è vero? E' vero o non è vero che questa realtà della tecnologia dell'informazione è continuamente autogenerante, che può permettersi di non avere cultura di dialettica nei confronti dei soggetti sociali? Oppure la storia è sempre il frutto di una dialettica, che non è per forza marxiana? La storia è sempre fatta dal contrasto fra le realtà effettive della storia - soggetti, stati, nazioni, sovranazionalità, culture, anime, religioni - e l'innovazione. La rivoluzione informativa non è come quelle del telegrafo, dell'elettricità e del treno, potenzialmente esenti da problemi culturali di dialettica con la società. Questa ce li ha. Sono dell'opinione che ne abbiamo viste anche troppe di realtà che in qualche misura hanno preteso di essere autoreferenziali e autogeneranti.

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    Domanda 3
    Qual è il punto di collocazione storica dell'attuale innovazione informativa?

    Risposta
    Nel suo bellissimo libro "Confucio nel computer", Furio Colombo dice che, in fondo, in questo momento di innovazione, la tecnologia dell'informazione è in qualche misura un segno di millenarismo. Un secolo che finisce, addirittura un millennio che finisce, un secolo che finisce ammaccato e spera in una sorta di rinascita. E non può che vivere la sua rinascita, non nella realtà del secolo, perché le realtà del secolo ce le siamo consumate tutte - le ideologie, l'anima interiore con il freudismo, la violenza di massa del nazismo o dello stalinismo - ma andando verso la cultura più raffinata, più astratta, più pacificante della rete, della non fisicità, della pace non fisica. Un secolo conflittuale, insomma, si chiuderebbe avviandosi verso una realtà non conflittuale. Può darsi che sia così. Può darsi che questa rivoluzione dell'informazione sia il segno di una caratterizzazione del secolo. Ma si potrebbe anche pensare che ci si trovi di fronte all'ultima espressione della voglia di controcultura, presente nella società moderna. Chi ha assistito alla presentazione di "Windows 95" nei "campus" americani, ha visto che non c'era poi molta differenza rispetto alle grandi masse di fans di Joan Baez e di Bob Dylan. La controcultura del '68 andava verso un certo tipo di entusiasmo, di promessa infinita, di un senso di un mondo migliore. Ebbene, non potrebbe esserci anche una sorta di controcultura annidata all'interno di questa speranza, di questa continua promessa di qualcosa che non finisce mai che l'"Information tecnology" incarna? Non è un aspetto secondario cercare di capire se la rivoluzione dell'informazione sia l'inizio di un ciclo secolare di trasformazione reale del mondo, oppure altro non sia che il riemergere di una voglia di controcultura, di una voglia di élitismo, anche giovanile, per cui l'80% di quelli che stanno in rete si ritengono più intelligenti, vogliono esser pagati il doppio, ritengono che stanno facendo i sacerdoti del nuovo, che sono il nuovo potere mentale. Dove sta la verità? Ritengo che nessuna delle due posizioni estreme valga. Come non credo che si abbia a che fare con un'autorefenzialità sul punto di innovare tutto il secolo, così non credo che si possa parlare soltanto uno sboccio di controcultura.

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    Domanda 4
    Quale sarà l'impatto sociale delle nuove tecnologie?

    Risposta
    Dobbiamo ragionare in termini di valutazione complessiva della società. La società odierna, secondo coloro che vivono l'eccesso della realtà tecnologica, è una società continuamente "up growing". L'eccesso, l'andare avanti, l'avere di più, il volere di più, più informazioni, più elementi, più "bit", più "ram", tutto di più. La società americana ha sempre vissuto di "up growing". Ma nella società europea è valsa più che altro una logica di "down growing", di assestamento su livelli medi di comportamenti, di valori. E' pensabile una trasformazione sostanzialmente legata al continuo "up growing", al rampantismo continuo, al griffaggio continuo, all'esasperato protagonismo continuo? Non si può essere deterministi: siccome c'è l'innovazione, cambierà la società. Il rapporto è sempre estremamente differenziato. Non c'è autoreferenzialità, ma dialettica storicistica. E nella cultura collettiva di tutti quanti noi c'è più "down growing" che "up growing". Andiamo a vedere allora dove stanno i punti pragmatici di connessione fra l'innovazione tecnologica del campo informativo e la realtà sociale. Primo: bisogna rilevare un meccanismo di crescita delle differenze fra ricchezza e povertà. I più ricchi saranno sempre più ricchi, i più poveri saranno sempre più poveri: non ci sarà media, la media non vorrà dir più nulla. Lo avrete notato immediatamente nel piccolo sondaggio che vi ho indicato: siamo più intelligenti, vogliamo esser pagati di più, arrivederci, degli altri non ci frega niente. Dovremo andare a misurar la povertà, come ormai fanno gli Americani, isolandola dalle medie, isolandola dai rapporti annuali di valutazione di scenario, dovremo andare a vedere la povertà come il nuovo fenomeno e non come una componente della società. Secondo: probabilmente la rivoluzione informativa creerà ulteriore spinta a uno squilibrio a favore dell'economia finanziaria sull'economia reale. E' vero che negli ultimi dieci anni abbiamo abbandonato l'ipotesi che si può diventar ricchi a mezzo di soldi, però il problema dell'informazione in tempo reale, del gioco sugli scarti dello 0,075, sui cambi o sui titoli, eccetera, sarà sempre più accentuato. Terzo: la struttura sociale sarà giocata non più in termini di segmenti generazionali di età, ma di segmenti generazionali di computer. Quarto: il meccanismo della cultura fondamentale porta a una sorta di giovanilismo. Nel "campus" di Microsoft a Seattle, tutti sono fra i venti, venticinque, massimo trent'anni, poi vanno via. Significa che c'è una sorta di schiacciamento verso i giovani del processo di trasformazione, con una sorta di marginalizzazione degli anziani, e, siccome il meccanismo è sempre autogenerante, si rischia che il meccanismo sia anche sociale. Quinto: il problema è non più nella conoscenza reale dei contenuti, ma nello strumento che si ha a disposizione. Quando l'oppositore più a destra dell'amministrazione americana, cioè Gingrich dice: "La mia proposta è di ridurre i soldi per le scuole, e di garantire a ciascun singolo giovane americano un computer di proprietà e di allacciarlo in rete", evidenzia una trasformazione sociale profonda. La scuola, che è uno strumento con dentro dei contenuti, dei programmi standard, diventa l'affidamento di uno strumento esplorativo: si può navigare nella rete. Dalle certezze formative alla navigazione a vista. Sesto: aumenta il meccanismo dei lavori remotizzati. Aumenta perché oggi voi potete avere a disposizione un programmatore di Singapore, un ingegnere indiano, un contabile di Hong Kong, un grafico indonesiano. Settimo ed ultimo punto: c'è una ridistribuzione sul territorio, perché, come dice uno dei guru di questa realtà, l'agricoltura aveva legato l'uomo alla terra, l'industria l'ha legato alla città, la rivoluzione informativa lo porterà nei piccoli centri, in campagna. E quindi noi non avremo più il primato della questione urbana. Tutte queste cose, come vedete, ricreano una serie di problemi, per i quali non credo si possa dire: l'autorefe

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    Domanda 5
    Il gioco e l'intrattenimento due aspetti della rete cosa ne pensa?

    Risposta
    Tutte queste innovazioni, che io vi ho messo in sequenza senza poterle spiegare compiutamente, sono innovazioni che sono dietro la porta. Storicamente entreranno nei comportamenti collettivi italiani e dell'Occidente. E quindi dobbiamo saperci lavorar sopra. Ma ci sono soltanto questi aspetti pragmatici? O ci sono problemi un po' più profondi in questa realtà? I problemi più profondi sono culturali e sono legati a due parole chiave: il gioco e l'intrattenimento. Perché noi parliamo di "Information tecnology", però, alla fine, i due valori fondamentali che stanno nella grande rete sono il gioco e l'intrattenimento. Il gioco, perché in fondo l'80% dell'utilizzo della rete è per gioco e probabilmente il 90% dei prodotti che si comprano nei "computer shop" è di gioco. E allora, se rivoluzione c'è, non è una rivoluzione giocosa, una rivoluzione che porta la gente ad una sorta di smemoramento nel gioco? Allontanarsi dalla società per giocare? Andare e navigare per la rete per poter giocare? Ma una rete senza cultura non vive, una rete senza contenuti, una rete che vive solo di gioco, non vive. E' un altro nome del gioco, ma non è poi la rivoluzione che cambia la società. Fino a quando la logica della rete non mi riporta dentro nelle cose serie - magari nel mio contratto con il contabile indiano o con l'ingegnere di Hong Kong - io resto nel gioco, resto in una dimensione astorica. "Ma questo vogliamo", potrebbero dire gli esaltati dell'eccesso che ha successo "questo vogliamo: garantire al mondo un secolo di gioco, senza dover avere secoli di guerre, secoli di angosce, di depressioni psichiche, un secolo di gioco". Mi andrebbe bene, ma andrebbe dichiarato, non mi si può gabellare per cosa seria una grande lotteria. Secondo: l'intrattenimento. Alla fine, il meccanismo della rete e dell'utilizzo della rete ha sempre meno finalità, resta intrattenimento, resta presente che sta nel presente, senza nostalgia del passato - perché non può averla: la memoria non esiste in rete, neppure la memoria tecnologicamente definita - e senza futuro: finisce il fine, è senza fine. E infatti è una promessa continuata, infinita. Massimo Cacciari sostiene che la rivoluzione informatica, la rivoluzione della tecnologia delle informazioni, porterà la cultura moderna a ragionare in termini di simulateneità e non di sequenza, che noi siamo tutti figli di una cultura storica di sequenza, una cosa dopo l'altra, mentre invece oggi la rivoluzione dell'informazione ci permette di avere in simultanea tutto, potenzialmente. Può darsi che abbia ragione, ma noi siamo figli della sequenza. Ed è difficile - ci vorranno due, tre generazioni - che si possa capire cosa significa simultaneità. Perché adesso la simultaneità, siamo onesti, è lo "zapping", è l'idea che, premendo un tasto, puoi avere tutto e il contrario di tutto.

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    Domanda 6
    Quale potere con la rete?

    Risposta
    Vedete quanti problemi, culturali, umani, sociali ci sono dentro questa innovazione. Ma permettetemi un'ultima riflessione sul potere. Perché, in fondo, l'informazione è stata potere. La rivoluzione dell'informazione è ancora potere? Una rivoluzione che porta in rete, che fa simultaneità, che elimina la sequenza, che elimina la mediazione, per certi versi, perché ognuno fa per proprio conto, che elimina la finalità, che sembra sempre un continuo gioco, fa ancora potere? La televisione faceva potere, il giornale faceva potere. La grande rete influisce su questo punto cruciale della società moderna che è il potere? Qui le ipotesi sono tre. Secondo la prima, la cultura della rivoluzione dell'informazione è una cultura libertaria, individualista, e quindi bisogna far propria una logica libertaria e individualista. Il potere sta nel signolo e chi vuole potere, vuole essere eletto Presidente degli Stati Uniti o Presidente della Repubblica Italiana, deve andarselo a cercare in un mare di individualismo. Ciò che possiamo individuare come futuro è una società ulteriormente individualistica. Credo che se ad uno di questi ragazzi americani che navigano dodici ore su dodici nella rete si ricordasse una frase di Lévinas per cui "Il volto di Dio comincia dal volto dell'altro", alzerebbe le spalle: chi è l'altro, chi se ne frega dell'altro. Una forma di estraneità totale alla stessa solidarietà, quindi al rapporto, alla coesione sociale. Ci troveremmo in una realtà di caos, perché l'individualismo crea una proliferazione di diritti e di attese tipicamente individuali e quindi difficilmente controllabili in termini di potere. Questa è la prima ipotesi, ipotesi non di secondaria importanza, probabile. La seconda ipotesi, invece, sostiene che la rivoluzione della società dell'informazione porterà ad un autoritarismo soft, perché una società di quel genere sarà propensa alla democrazia diretta, sarà propensa a pensare alla rete come quarto potere, sarà propensa a dire: non abbiamo più incentivi a mediare, basta essere in rete. Potremo fare - dice uno di questi guru - un referendum al giorno, perché stiamo in rete. Potremo chiedere: "Vi va il caffé o l'orzo?" e sapremo tutti, immediatamente, cosa chiediamo, se l'orzo o il caffé. Una democrazia diretta, quindi, probabilmente plebiscitaria, tendente a usare lo strumento informativo tecnologico per poter imporre, non un autoritarismo forte, di violenza fisica, ma intriso di una sorta di partecipazione emotiva in rete. Del resto, da quei provinciali che siamo, ne abbiamo avuto un sentore con il popolo dei fax. Tutti: "Ah, il popolo dei fax". Quattrocento persone che mandano un fax diventano il popolo dei fax. Ma è il sintomo simbolico della possibilità di fare democrazia diretta, forse anche plebiscitaria, di autoritarismo soft. La terza ipotesi ci parla di una miscela fra l'individualismo individuale, personalizzato, e l'autoritarismo soft. E' in fondo il formarsi di dimensioni intermedie, di istituzioni leggere, di forme fluide ed aperte, della condensazione di realtà "confuciane" appunto, che siano più grandi della famiglia, più piccole dello Stato, corpi intermedi, anche volatili, che si formano e si rendono evanescenti, su cui però si aggrega la società, che non può avere soltanto individualismo o democrazia diretta. Si formano livelli intermedi, realtà intermedie, perché al caos dell'indvidualismo continuato, del particolarismo continuato, non si reagisce attraverso un autoritarismo dall'alto, onnicomprensivo, ma si possono fare, come diceva Nietzsche, solo degli "orizzonti": al caos si reagisce facendo orizzonte. E quando uno fa orizzonte, angolo visuale, anche il caos viene riordinato. E siccome ci sono diversi orizzonti, ogni orizzonte può farsi forma fluida, istituzione leggera, cultura intermedia, "confuciana", che permette l'aggregarsi. Ma l'aggregarsi di cosa? Da quarant'anni sono il più grande assertore in Italia dei corpi intermedi, quindi mi va meglio quest'ultima ipotesi "confuciana", di istituzioni leggere

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    - NOTA - Questo intervento è stato raccolto alla Conferenza internazionale sul futuro dell'informazione organizzata dall'Agenzia ANSA "L'informazione su misura", tenutasi a Roma il 12 e 13 febbraio 1996. torna a inizio pagina