Una banca dati online con il Dna del genere umano
Da Internet, gratis ai ricercatori il Dna di mille individui che
rappresentano il campione della popolazione umana.
È l'iniziativa più recente del grande genetista Luigi Luca
Cavalli Sforza, che abbiamo incontrato a Roma per una lunga conversazione.
Intervista realizzata grazie alla collaborazione di Incontri
sul Pianeta
Roma, 22/5/2002
Luigi Luca Cavalli Sforza, lei è universalmente riconosciuto
come uno dei più grandi genetisti del nostro tempo. Ci può dire
quali sono stati i suoi maestri, le correnti o le intuizioni scientifiche
e filosofiche che l'hanno maggiormente influenzata?
I miei maestri maggiori sono stati due: Adriano Buzzati Traverso,
con cui ho studiato gentica a Pavia ed anche uno dei suoi maestri,
Timovieff Ressovskij un grande genetista russo con cui ho avuto
dei contatti che mi hanno influenzato molto nella scelta della genetica
come disciplina di studio.
Poi ho avuto la fortuna di lavorare con uno dei più grandi genetisti
inglesi, Fisher, a Cambridge, al quale devo moltissime delle ispirazioni
che ho avuto.
Qual è stato lo studio più importante che ritiene di aver fatto
nella sua vita di scienziato e perché?
Ho iniziato facendo il batteriologo e ho avuto occasione essere
uno dei tre che hanno fatto una scoperta molto importante, ovvero
il sesso dei batteri, però poi non me ne sono più occupato. Invece
ho cominciato ad occuparmi di genetica umana, soprattutto per capire
cos'è stata l'evoluzione. Ci ho messo cinquant'anni. Nel corso di
questo lavoro ho fatto moltissime ricerche e non saprei dire quale
sia stata la più importante. Ma aver fatto per cinquant'anni lo
stesso lavoro partendo da zero, perché prima non esisteva niente
del genere, aiutare a portarlo allo stadio di oggi, questo mi sembra
sia stato il mio contributo più importante.
Le tecnologie, Internet, hanno cambiato la scienza e la comunità
scientifica?
L'importanza della tecnologia nella scienza è assolutamente fondamentale
perché permette di fare il lavoro molto più rapidamente e continuare
ad aumentare l'efficienza del proprio lavoro.
Internet e la condivisione dei dati sono fondamentali per rendere
rapido il progresso scientifico. Io ho cominciato adesso una collezione
di Dna di gente di tutto il mondo per studiare la variazione individuale.
Ho preso delle cellule clonate che riproducono il Dna dell'individuo,
che si fanno da trenta o quarant'anni, le ho messe in una banca
dati a Parigi,
dove c'era già tutto lo strumentario, e mandiamo gratis ai ricercatori
il Dna di mille individui che rappresentano il campione della popolazione
umana. Ma loro in cambio devono mandarci i loro risultati e mettiamo
tutto in una banca dati. Abbiamo iniziato da pochissimo e c'è già
un grosso laboratorio che ha studiato 400 geni su tutti i mille
individui, che è più di tutto quanto è stato fatto fino ad ora.
Ritiene possibile un connubio tra uomo e macchina?
Il connubio tra uomo e macchina esiste già: con l'uso del calcolatore
si possono fare cose fino a pochi anni fa inimmaginabili. Ci sono
già piccoli calcolatori inseriti nel corpo per controllare il ritmo
cardiaco. Se poi vogliamo intendere qualcosa di più ambizioso, non
so: a me piacerebbe avere un calcolatorino nella testa che mi aumentasse
la memoria.
A quali risultati ha portata la sua ricerca?
Oggi noi abbiamo il modello standard dell'evoluzione umana. Abbiamo
capito soprattutto gli ultimi centomila anni, che sono stati di
gran lunga i più importanti e sappiamo che gli uomini che vivono
oggi sono partiti da un piccolo gruppo che viveva in Africa orientale
e di lì si sono moltiplicati ed espansi, prima al resto dell'Africa
e poi all'Asia e di lì al resto del mondo: l'Europa, l'Oceania,
l'America. Questo è avvenuto negli ultimi centomila anni e questo
è uno dei motivi per cui siamo estremamente simili anche se può
sembrare che siamo diversi, perché gli africani di solito sono neri,
i cinesi sono bruni, gli europei sono bianchi. Queste sono differenze
minime, legate alla variazione di pochissimi geni in risposta a
condizioni ambientali che non hanno un'importanza fondamentale.
L'unità degli uomini è veramente notevole sul piano genetico ed
è largamente dovuta al fatto che siamo tutti discendenti di un gruppo
molto piccolo: quello dell'homo sapiens-sapiens. Altri gruppi
che vivevano allora e sono vissuti fino a 30-40mila anni fa, come
i Neanderthal in Europa, non hanno lasciato discendenti, almeno
non ne abbiamo ancora trovati. Di conseguenza, noi uomini di oggi
siamo tutti discendenti da questo piccolo gruppo e siamo molto simili
gli uni agli altri. È all'interno di ogni singola popolazione che
ci sono profondissime differenze tra gli individui: questa è una
necessità genetica perché qualunque popolazione contribuisce alla
supremazia della specie e una popolazione è sempre estremamente
variabile geneticamente per far fronte a tutti i moltissimi pericoli
che possono assediarci. Per esempio, uno dei nostri maggiori nemici
sono i parassiti, che continuano ad evolvere, a cercare di attaccarci,
e noi abbiamo bisogno di contenere almeno qualcuno che sa rispondere
per permettere alla specie di andare avanti.
Come è stato possibile arrivare a queste conclusioni? Il progetto
genoma è stato d'aiuto?
Il progetto genoma è finito solo adesso e fino ad ora non ha contribuito
praticamente in nulla a questo tipo di lavoro. Adesso cominceranno
ad arrivare i primi risultati anche dal progetto genoma ma per arrivare
a questo risultato non occorre conoscere tutto il genoma umano:
basta conoscere un numero sufficiente di geni e questi si sono accumulati
nel corso del tempo, man mano che si sperimentavano nuove tecniche
e si espandevano le conoscenze. Però anche prima di poter usare
il Dna, il lavoro principale è stato fatto sui prodotti del Dna:
le proteine. Lavorando sulle proteine abbiamo raggiunto un certo
numero di conclusioni che poi abbiamo mantenuto completamente. Il
Dna ci ha permesso di usare del preziosissimo materiale genetico
che prima era impossibile utilizzare, ovvero il Dna mitocondriale,
cioè il Dna di piccolissimi organelli presenti in tutte le cellule,
che è un Dna molto più piccolo, separato da quello del genoma che
si ritrova nei cromosomi. E un altro Dna molto utile è stato il
cromosoma Y. Il primo ci dice tutto quello che viene trasmesso per
via femminile (perché i mitocondri sono dappertutto ma li trasmette
solo la madre). Il secondo si trova solo nei maschi e viene trasmesso
di padre in figlio. Ora, lo studio di queste due parti del genoma
(intese in senso generale) è molto più semplice dello studio di
tutti gli altri geni, in quanto c'è un solo genitore che passa uno
dei due e quindi si possono formare delle genealogie molto più semplici
rispetto a quelle dei geni normali, in cui ci sono sempre due genitori
che conducono ad un individuo e sono infinitamente più complicate.
La prima mappatura importante del Dna mitocondriale è stata fatta
nel 1987 e la prima mappatura importante del cromosoma Y è stata
fatta nel 1994 nel mio laboratorio, ed è oggi forse il più bell'oggetto
di ricerca genetica che ci sia. Grazie al metodo Dhplc
, un'invenzione dei miei collaboratori che serve a rilevare le mutazioni
nel DNA, abbiamo potuto estendere queste mappature.
Come si è svolta, tecnicamente, la mappatura del genoma umano?
La mappatura del genoma richiede l'uso di apparecchi, che si chiamano
"sequenziatori" i quali determinano la sequenza del Dna. Il Dna
si può considerare come un filo di perle (in una spiegazione semplice
ma imperfetta che rende comunque l'idea) e queste perline sono solo
di quattro tipi , che chiamiamo A, T, G, C. Quello che il genoma
ci dice è l'ordine in cui si trovano queste perline su ogni cromosoma,
che è lungo in media più di un centinaio di milioni di perline.
Consideriamo che ci sono 23 cromosomi diversi più il Dna mitocondriale
che è molto corto e quindi è un lavoro enorme che ha richiesto un'enorme
pazienza. Le macchine esistevano già quando il progetto genoma umano
è iniziato, nel frattempo sono diventate più rapide e meno costose.
Si è trattato soltanto di trovare i soldi e la gente che avesse
voglia di fare questo lavoro, che in realtà è pesante e ripetitivo.
Dei circa 80mila geni che conosciamo oggi di quanti ci si può
verosimilmente servire nella ricerca? Ogni tanto si sente dire
che è stato isolato il gene dell'indifferenza o quello della paura.
Bisogna distinguere due modi di dire "è stato isolato il gene" di
questo o di quello. I geni in teoria già sono stati tutti isolati.
Abbiamo avuto una crisi nel senso che c'è stato un momento di errore
nel conteggio di tutti i geni: in realtà se è vero come è vero che
abbiamo sequenziato praticamente tutto il genoma (ne mancano ancora
dei pezzettini) e sappiamo riconoscere che cos'è un gene, dobbiamo
poterli contare. Come se noi volessimo dire "vogliamo contare le
parole della Divina Commedia": è lungo, è noioso, però è un lavoro
che deve portare a un risultato perfettamente rigoroso e ripetibile.
Però abbiamo ancora delle difficoltà a capire che cosa dobbiamo
veramente chiamare "gene", perché un gene può dare anche diversi
prodotti: non è detto che un gene dia sempre gli stessi prodotti.
E allora contiamo i prodotti o contiamo i geni? Queste ambiguità
comunque sono facilmente risolvibili. Quando invece si parla del
gene dell'Indifferenza o della Cupidigia (ancora non è uscito fuori,
ma non tarderà.) è una questione diversa. Non basta andare a guardare
il genoma e dire: questo è il gene della cupidigia. Bisogna andare
a fare una ricerca su delle persone che si possano classificare
come affette o meno da cupidigia: ed è estremamente difficile fare
questo, in realtà è una ricerca un po' folle che fra l'altro non
ci informa affatto su un gene. Ci possono essere stati degli avvenimenti
della nostra infanzia che ci hanno reso molto avari o molto generosi.
Caratteri soprattutto di tipo psicologico sono molto difficili da
studiare. E in ogni caso, anche se vogliamo studiare un carattere
anatomico dobbiamo prendere delle famiglie, studiare come si trasmette
il carattere in queste famiglie. La cosa più difficile è quella
di definire bene il carattere, la maggioranza mostra sempre una
grande variabilità tra gli individui, quindi ci sono problemi. Oggi
diciamo che conosciamo circa 10 mila geni di cui si è studiata la
trasmissione e di cui possiamo dire che si trasmettono approssimativamente
secondo le leggi di Mendel. Poi c'è un grandissimo numero, ma più
piccolo, di fenomeni e malattie di cui possiamo dire che non si
trasmettono con il modo mendeliano, perché c'è una situazione più
complicata. C'è per esempio l'effetto di fattori esterni, ambientali,
psicologici, sociali, che rende difficile capire. Ci sarà una base
biologica, genetica, dietro, però è complicata da tutti questi altri
fattori sociologici. Ora, il caso dell'indifferenza o della cupidigia
è questo. Io non credo a questi lavori: quando se ne annuncia uno
ci vorranno altri venti anni di ricerche per scoprire se c'è qualcosa
di vero oppure no.
La biologia evolutiva e la paleontologia hanno mostrato la mancanza
di un piano nell'evoluzione della specie ed hanno anche dato al
termine "caso" un significato più ampio. Lo stesso Darwin aveva
avuto a che fare con il concetto di caso ma probabilmente non si
rese conto di quanti tipi di casualità vi fossero. Aver decifrato
i segreti del codice genetico ci dà una risposta definitiva sull'origine
della vita su questo pianeta e sulla storia della specie umana?
L'importanza del caso nell'evoluzione è stata capita bene solo in
questo secolo (anzi nel secolo passato.), in quanto si è stabilito
che la mutazione provvede al materiale che dà origine all'evoluzione:
quindi la mutazione è sostanzialmente casuale e questo determina
anche una casualità dell'evoluzione. Però c'è anche un altro modo
completamente diverso in cui il caso ha un'influenza determinante
nell'evoluzione ed è un fatto esclusivamente statistico. Molte volte
nell'evoluzione umana ci sono state condizioni in cui anche un intero
continente o un isola sono stati fondati da un piccolissimo numero
di colonizzatori. Prendiamo per esempio il gruppo AB 0, il primo
gene che è stato conosciuto: nel mondo ci sono circa il 50 per cento
di individui del gruppo 0. Se l'America fosse stata colonizzata
da un gruppo di 7 o 8 individui (cosa che non è impossibile, perché
c'era un passaggio molto stretto e difficile da attraversare) questi
potevano essere per caso tutti di gruppo 0. E in effetti, tranne
individui arrivati in migrazioni successive, gli indiani d'America
sono tutti di gruppo 0, quindi questo potrebbe essere un episodio
di "deriva genetica", un fenomeno in cui il caso è molto importante.
Certamente la conoscenza del genoma può aiutare ogni fase della
ricerca genetica; però tutto quello che sappiamo oggi lo abbiamo
scoperto senza aver conosciuto l'intero genoma.
Cosa effettivamente porterà alla società, agli individui, l'utilizzazione
dell'informazione ricavata dal completamento del Progetto Genoma?
Il genoma è la speranza migliore di mettere la medicina su una base
profondamente scientifica ed aumentarne enormemente l'efficienza.
Possiamo arrivare a capire il nostro destino medico molto meglio
conoscendo il genoma, anche perché ci sono variazioni individuali
forti nella sensibilità ai diversi farmaci e queste informazioni
sono sicuramente contenute nei geni. Quindi attraverso il genoma
potremo migliorare la diagnosi e la prognosi ed anche migliorare
la terapia, la scelta e la produzione di nuovi farmaci. Però non
è una cosa che succede dall'oggi al domani: sono processi che richiedono
decine di anni per ottenere differenze sensibili. Io noto una grandissima
differenza rispetto a quando ho iniziato a fare il medico, quasi
sessanta anni fa: allora la medicina, diciamolo pure, non valeva
quasi niente. Le malattie che si potevano curare senza aspettare
che il malato guarisse spontaneamente erano veramente molto poche,
le medicine utili erano pochissime. Oggi ce ne sono molte di più,
il panorama è molto cambiato. Nonostante questo si continua a morire,
ed è anche un bene. Sarebbe bello continuare a vivere a lungo se
si potesse rimanere giovani. Sono sicuro che qualunque progresso
si desideri potrà avvenire se non siamo distrutti prima da una guerra
nucleare o da un meteorite che ci cade sulla testa, ma ci vorrà
molto tempo.
Secondo lei, la possibilità di intervenire sul genoma umano in che
modo modificherà la nostra specie in futuro? E' ipotizzabile pensare
a cloni umani immortali, come nei film di fantascienza?
Quando si parla di cloni c'è una confusione fondamentale che bisogna
immediatamente eliminare. Ci sono i cloni di cellule e i cloni di
individui. In tutti e due i casi si parte da una cellula sola. Il
clone cellulare però è la cellula di un organismo che si sta sviluppando,
che è ancora molto indietro e quindi in grado di produrre tessuti
e organi diversi: questo è particolarmente utile per la medicina
se possiamo analizzarlo e isolarlo, perché ci permette di rigenerare
parti nostre che sono andate distrutte per qualche motivo. Ci sono
animali per esempio che, tagliati in due, sono capaci di ricostruire
da ogni metà un individuo completo. Ora noi siamo ancora molto lontani
da questo tipo di capacità di rigenerazione ma i cloni cellulari
ci danno la possibilità di diventare molto più potenti di quanto
siamo adesso. Oggi possiamo rigenerare molto poco: le cellule della
pelle e dell'intestino continuano a riprodursi, ma il resto no.
I cloni cellulari non dovrebbero determinare la minima resistenza.
La resistenza viene da incomprensione e dal terrore che vengano
sacrificati embrioni. Il clone che fa paura è quello in cui viene
clonato un individuo completo, partendo da zero: prendono una cellula
da me e fanno un embrione che dovrebbe diventare come me. Se questo
si fa, l'individuo diventerà certamente molto simile a me però avrà
comunque un'esperienza di vita diversa quindi, soprattutto sul piano
psicologico, sarà una persona diversa. La speranza narcisistica
di riprodurre se stessi credo che intanto potrebbe rivelarsi fonte
di grande delusione, e soprattutto no ha senso: che vantaggio porta
all'uomo, all'umanità? Io trovo che oggi la clonazione dell'individuo
è semplicemente da bandire, come è stato fato in molti paesi ragionevoli.
Ma quella delle cellule va mantenuta.
La parola "immortalità" è meglio dimenticarsela. Però quella di
allungare la vita più che una possibilità è una certezza: già l'abbiamo
allungata di parecchio.
"Derubati della promessa della vita". E' il titolo di un articolo
apparso sul Washington Post lo scorso 13 maggio 2002, che ricorda
come tra il 1907 e il 1979 in 29 stati degli Usa siano state in
vigore delle leggi sull'eugenica. In quasi ottant'anni, più di 60mila
persone sono state obbligate dalle autorità alla sterilizzazione
perché ritenute "a rischio" sia in termini sanitari che puramente
sociali: ciechi, orfani, sordi, ragazze violentate, poveri e disadattati.
Come è stato possibile avvallare un'azione di questo tipo? La genetica
oggi può ancora verosimilmente abbracciare teorie che si ispirano
al concetto di purezza razziale?
L'eugenica è una disciplina fondata nell'Ottocento che voleva migliorare
l'umanità sopprimendo le malattie. Non è un'idea razzista. Il razzismo
parte dalla convinzione che tutte le differenze tra le razze dipendano
dalla genetica, mentre invece noi sappiamo che tutte le differenze
dipendono dall'ambiente culturale. Non esiste nessuna prova che
esistano differenze genetiche, di quoziente d'intelligenza, tra
gli africani e i bianchi. Per quanto riguarda l'eugenica, che ha
dato luogo ad una serie di leggi ancora in vigore ma non applicate
in molti stati, la speranza di questo movimento era di diminuire
o annullare la proliferazione di malattie ritenute genetiche. Questo
era praticato purtroppo nella totale ignoranza della genetica, dato
che queste presunte malattie niente avevano a che vedere con la
genetica stessa. Ne sono scaturite risoluzioni oggi intollerabili:
negli Usa individui resi incapaci di procreare, in Germania, uccisione
dei malati di mente e degli zingari e degli ebrei, ritenuti geneticamente
"malvagi". Questi genocidi su scala non scientifica sono stati perpetrati
dall'umanità su larga scala, basta pensare alle atroci vicende del
Ruanda. E' strano che questi atteggiamenti folli siano stati seguiti
fino a pochi anni fa negli Stati Uniti. Bisogna dire che l'America
è un paese di entusiasti e quando sono colpiti da un'idea che sembra
buona non stanno a pensarci troppo. D'altra parte anche in Italia
in passato sono state bruciate le streghe o i filosofi che erano
ritenuti eretici.
Ci può illustrare la sua teoria secondo la quale il linguaggio
si trasmette fondamentalmente in parallelo ai geni? Insomma: per
quale motivo gli uomini parlano lingue diverse?
Le lingue sono sempre in rapida evoluzione. Dante Alighieri ha scritto
che se un abitante di Pavia di mille anni fa tornasse a vivere avrebbe
delle difficoltà a capire la gente di Pavia. Ora l'esempio è giusto:
se noi tornassimo indietro nel tempo non capiremmo i latini e questi
non capirebbero i sumeri. Le lingue evolvono per lo stesso motivo
per cui evolve la biologia e cioè perché nella trasmissione c'è
la riproduzione di un altro individuo: che si tratti della riproduzione
dei geni o della riproduzione della lingua, c'è sempre un errore
di copia. Nel caso del Dna le chiamiamo mutazioni. Anche il linguaggio
si trasmette in buona parte da genitori a figli e inevitabilmente
anche il bambino farà qualche errore nell'apprenderlo, senza contare
che poi sarà sottoposto ad altre influenze: i professori a scuola,
gli amici, i colleghi di lavoro, ognuno con i suoi accenti. Quindi
c'è sempre una variazione da una generazione all'altra. A volte
poi viene imposto un linguaggio dall'esterno. A noi non è successo,
dato che l'italiano deriva dal latino per evoluzione spontanea.
Ma in Ungheria alla fine del IX secolo, nell'897, sono arrivati
i magiari, che hanno imposto una monarchia molto forte sopprimendo
le lingue di origine latina parlata dalle popolazioni locali, che
nel giro di poche generazioni hanno parlato un'altra lingua. Ora
questo è un fenomeno che in genetica non sarebbe possibile ma è
tipico dell'evoluzione culturale. Io mi sono occupato molto di evoluzione
culturale perché sono convinto che l'uomo come animale culturale
ha avuto un'influenza profondissima, anche nella sua evoluzione
biologica, dalle sue scoperte tecnologiche e dalle invenzioni. Succede
che la cultura, la capacità di apprendere, permette l'accumulo di
conoscenze che vengono trasmesse da una generazione all'altra. La
nostra cultura è infinitamente più ricca di quella degli animali
perché noi possiamo insegnarci l'un con l'altro. Negli animali,
i genitori insegnano ai cuccioli, ma è molto meno di quello che
noi apprendiamo dagli altri, dalla storia: soprattutto dopo l'introduzione
della scrittura, la possibilità di insegnare cose antiche è enormemente
aumentata. Questo è ciò che ha reso l'uomo diverso da tutti gli
altri animali. Il linguaggio evolve perché nel processo di copia
da un individuo all'altro ci sono degli errori ma dobbiamo continuare
a capirci.
La trasformazione e la trasmissione genetica del linguaggio si
applica solo alle lingue parlate o anche ai codici di espressione
come il linguaggio musicale, pittorico, grafico, gestuale?
Io ho fatto un confronto tra l'albero genetico e l'albero d'evoluzione
delle lingue e c'è una forte corrispondenza tra i due. Questo dipende
dal fatto che sia i geni che il linguaggio vengono trasmessi dai
genitori e inevitabilmente c'è una correlazione tra i due fenomeni.
Anche una buona parte della cultura è trasmessa così. La cultura
può essere trasmessa sia dai genitori che da tutti gli altri: se
viene trasmessa solo dai genitori, il carattere nella sua evoluzione
somiglia al gene. Se invece la trasmissione avviene attraverso la
società, i mezzi d'informazione, Internet, i compagni di scuola,
allora segue delle leggi diverse. Per quanto riguarda le attitudini
artistiche, musicali, lì probabilmente c'è della genetica diretta.
La cultura può imitare i geni sul piano evolutivo quando c'è una
parte importante di trasmissione attraverso i genitori, però normalmente
è molto più diretta e rapida: somiglia più alla trasmissione delle
malattie infettive.
Come immagina il futuro della ricerca scientifica e quali consigli
dà ai suoi studenti di oggi?
La ricerca scientifica avrà un grande futuro anche se sta diventando
meno popolare di quanto fosse prima e io la trovo molto divertente
e io la consiglio sempre come carriera se uno ha la curiosità necessaria
e la voglia di farlo. Purtroppo la situazione italiana non è florida:
ci sono degli ottimi laboratori in cui si fa un ottimo lavoro ma
sono pochi e non riescono assolutamente ad ospitare tutti i giovani
che avrebbero voglia di lavorare e quindi molti vanno all'estero
e i governi finora non hanno fatto sforzi significativi per attirarli
indietro. L'ambiente che i ragazzi trovano all'estero, se vanno
nei laboratori giusti, è talmente più attraente, talmente migliore,
soprattutto sul piano del successo che possono avere nel campo della
ricerca, che poi non hanno voglia di tornare.
|
|
|